Controlli rafforzati, soprattutto sui treni e nelle
stazioni. Perquisizioni e attività investigativa. E un certo fastidioper quel ditino puntato verso le nostre forze dell'ordine dalla Germania:
che lascia filtrare di aver avvertito l’Italia già sette mesi fa del
fatto che Anis Amri era un jihadista pericoloso. Al Viminale, mentre si intensifica la caccia al giro di amicizie del presunto attentatore del mercatino di Natale, sale l'irritazione. Il risalto dato a quelle rivelazioni sull'alert lanciato alla nostra Digos viene letto come il tentativo di scaricare altroveerrori compiuti a Berlino. Perché
mentre si lanciavano allarmi internazionali Amri ha potuto
agire
indisturbato e fuggire in
Italia
dove,per altro, si rimarca al Viminale,
il tunisino è stato ferma todai nostri agenti, risolvendo (tragicamente, con la morte del ragazzo) un serio problema alle forzedi polizia tedesche che ne avevano perso le tracce? Lo dice, chiaro, il presidentedel
Copasir, Giacomo Stucchi:«Cosa significache la polizia tedesca ci aveva segnalato a maggio che Anis Amri
era pericoloso? Ce l'avevano a casa loro. Sette mesi fa era in Germania. E le autorità tedesche sapevano che era pericoloso perché l'Italia glielo aveva segnalato già un anno prima, a giugno – luglio 2015. Tanto è vero
che stavano preparandosiad espellerlo. Grazie dell'avvertimento, ma noi lo sapevamo. Erano loro, che ce l'avevano sul proprio territorio, a dover agire». Quantoalle segnalazioni su
avvistamenti del tunisino in Italia prima e dopo l'attentato il Viminale è piuttostoscettico. Dal
19 dicembre in poinon si contano più le persone
che
credono di aver visto Anis Amri. E costringono a verifiche.Distogliendoforze
alla pista delle coperture italiane einternazionali, sulle quali Amri contava per fare forse come Salah Abdeslam. Fingersi martiree
invece
sparire. Pista che promette
una svolta. Intanto
si intensificano le misure di sicurezza
anti-attentati. «C'è una forte preoccupazione razionale, non una fobia», spiegaStucchi. «Ciò che è accaduto trasforma soft target in hard-target. Ma la paura non deve bloccare ildivertimento. Io stesso farò Capodanno in piazza».
giovedì 29 dicembre 2016
mercoledì 24 agosto 2016
IL GIORNALE (MILANO) - 23/08/16 - "ALTRO CHE 3.300 IN CITTA' IL NUMERO DEI MIGRANTI OGGI NON E' CALCOLABILE
Giacomo Stucchi, presidente del
comitato di controllo sui servizi (Copasir),
senatore leghlsta, bergamasco, qual è oggi la situazione dei migranti? «C'è un errore
clamoroso del govemo.Quando si accolgono persone nel territorio nazionale, a
prescindere dal fatto che scappino o meno, si fa una scelta sbagliata. Bisogna
rifarsi all'Onu, aiutare i veri profughi e rifugiati, non i migranti economici che
poi diventa un modo elegante per definire clandestini. Milano, il Comune ha parlato di
3.300 migranti in città i numeri veri sono impossibili da definire.
Questa tendenza sarà costante". Non sono più di passaggio. La prima cosa
che fanno è domanda di protezione umanitaria, che coi tempi delle commissioni e
dell'appello garantisce di restare assistiti per circa 4 anni. E questo vuoi
dire qualche decina di migliaia di euro, circa 40mila curo a testa. E non è
neanche vero che le spese sono coperte dall'Europa». Alfano dice che
Ventimiglia non è la nostra Calais. Como e Milano? l francesi sono molto attenti a fare controlli
soprattutto dopo quei terribili attentati. La Svizzera ha una possibilità anche
maggiore di controllo, perché non essendo nell'Ue. pur aderendo all'area di
libero transito, ha gli strumenti per impedire arrivi incontrollati". Oggi anche al governo ammettono che fra i
migranti potrebbero infiltrarsi anche cellule dell'lsis. «Ogni tanto ci sono
indagini che testimoniano come si sia passati dalla possibilità alla
probabilità. Per fortuna. grazie al lavoro del comparto sicurezza, non ci sono
segnalazioni specifiche di soggetti con intenzioni ostili fra i presenti. L'arresto
presunto In Libia di Moez Al Fezzani,
che ha vissuto a Milano? Mi limito a dire che voglio avere la conferma che ci sia stato questo arresto. Fezzani ha frequentalo
un centro lslamico di Milano. In base alle analisi di cui si può disporre,
qual è la situazione su questo fronte? C'è un'osservazione fatta per chiarire cosa
viene detto e cosa viene professato,nei centri islamici e in altre realtà
possibili punti di aggregazione di soggetti che porrebbero avere intenzioni
"da chiarire". Questo controllo ha dato ottimi risultati, credo sia efficace.
Ma ci sono strumenti per tracciare i flussi di denaro in arrivo dall'estero? La
guerra di che c'è stata nella sua Bergamo è inquietante. C'è un'attività importante dell' intelligence
sulla reale provenienza di questi fondi. E ora c'è anche un ausilio, il Gift
della Guardia di Finanza. Su Bergamo ho presentato un'interrogazione . Dei 25 milioni
dalla Quatar Charity Foundatition ne sono arrivati 5, gestiti in modo
ambiguo". Approva la legge dalla Lombardia
sulle moschee? «S'i, ogni Comune nel pgt deve disciplinare in modo puntuale la
destinazione delle aree. Se ci sono aree previste si possono realizzare edifici
di culto, , altrimenti non si deve costuire un edificio di culto, senza
distinzione fra religioni". Burqa e burkini? Vietati? Il burqa è già vietato
dalle legge Reale del '75, che impedisce di girare senza mostrare il volto. E
andrebbe fatta applicare. Il burkini è una cosa diversa ma collegata. perché si
tratta di un mezzo di sottomissione dei diritti della donna. E' inaccettabile
per quello. Passi indietro verso il medioevo non si possono fare".
venerdì 19 agosto 2016
AFFARI ITALIANI 19/08/16 - - ISLAM, STUCCHI (PRESIDENTE DEL COPASIR): BURQA E BURKINI VIETATI IN ITALIA
In base alle informazioni in suo possesso, c'è il
rischio concreto che potenziali terroristi islamici arrivino in Italia con i
barconi? Ci sono già stati casi in tal senso? E quanti? "Non esiste
nessun caso accertato fino ad ora della presenza in Italia di potenziali
terroristi islamici arrivati sulle nostre coste sui barconi che attraversano il
Mediterraneo. La possibilità che gli uomini di Daesh utilizzassero questo
tipologia di trasporto era certamente remota in passato ma, probabilmente, lo è
meno oggi. Lo dimostra anche il recente arresto in Tunisia di un soggetto
pericoloso che cercava di raggiungere via mare l'Europa. Bisogna continuare a
tenere elevato il livello dei controlli e a monitorare attentamente ogni
singola situazione".Quanti
sono i cosiddetti "lupi solitari" pronti a colpire seguiti
dall'intelligence italiana? "Non è possibile dare una
risposta. I lupi solitari si attivano autonomamente, spesso senza condividere
con nessuno le proprie intenzioni e questo rende più difficile la loro
individuazione preventiva. Ad oggi però, parlando in generale, grazie anche al
prezioso lavoro svolto da chi opera nel comparto sicurezza, non vi sono
evidenze di specifiche e puntuali progettualità ostili riferite al nostro
Paese". L'intelligence
italiana è preparata per garantire la sicurezza dei cittadini ed evitare
attentati sul nostro territorio? "L'intelligence ricopre
un ruolo strategico a tal fine. Se fino ad ora l'Italia non è stata interessata
da eventi terroristici dalle conseguenze drammatiche lo si deve anche al grande
impegno profuso quotidianamente dalle nostre Agenzie, oltre che a quando viene
fatto, a valle, dalle Forze dell'ordine e dalle Procure". Il governo sta facendo abbastanza in
termine di prevenzione contro il rischio di attentati terroristici? "Io
credo che, in una logica di maggiore sicurezza complessiva, occorra potenziare
ulteriormente il controllo del territorio con nuove risorse, mezzi e
soprattutto personale. Inoltre è necessario capire con certezza chi è presente -
o cerca di entrare - nel nostro Paese, valutando la loro reale situazione e
allontanare tutti coloro che sono in Italia senza averne titolo ed in
violazione delle norme in vigore". Ritiene
che il burkini e il burqa debbano essere vietati anche in Italia? "Il
divieto di mostrarsi in luoghi pubblici con il volto coperto è previsto dalla
Legge Reale del 1975 quindi, a prescindere dagli aspetti religiosi della
questione, l'utilizzo del burka, che nasconde completamente il volto della
persona che lo indossa, non è consentito. Ma quello che più mi preme
sottolineare è che burka e burkini sono due "strumenti" di negazione
dei diritti delle donne. Sono la manifesta negazione di tante conquiste, la più
importante quella della parità tra uomo e donna, costate spesso anche la vita a
tante eroine nei secoli e nei decenni passati".
giovedì 18 agosto 2016
LA PRESSE - 18/08/16 - STUCCHI (COPASIR): CI SONO SEGNALI DI RADICALIZZAZIONE ISLAMICA
Ma aggiunge: "Cerchiamo tutti di
non cedere alla paura e alla fobia"
"L'arresto
in Libia di Al Fezzani, più noto come Abu
Nassim, è certamente una buonissima notizia. Tocca ora agli
inquirenti svelare gli intrecci che Al Fezzani poteva avere in Italia".
Giacomo Stucchi presidente
del Copasir,
il comitato parlamentare per la sicurezza, commenta con la LaPresse l'arresto
in Libia la notizia dell'arresto
dell'uomo considerato il principale reclutatore dell'Isis in Italia. Presidente,
dunque abbiamo la prova che nel nostro paese agiscono persone che si
preoccupano di reclutare terroristi per conto dello Stato Islamico. E'
prematuro dire che nel nostro paese esista e lavori una struttura che si occupa
di reclutare terroristi. Ci sono in corso indagini dei nostri apparati di
sicurezza ed è bene che li si lasci lavorare evitando di anticipare
conclusioni. Ma
allora le preoccupazioni da cosa derivano? Dal fatto
che c'è una indubbia radicalizzazione nel mondo islamico conalcuni fenomeni
anche nel nostro paese che non possono essere sottovalutati. Ricordo che pochi
mesi fa è stato arrestato un giovane pugile marocchino che secondo le indagini,
voleva partire con la moglie per unirsi all'Isis. Inoltre il giovane si diceva
pronto per attentati a Roma e al Vaticano. Dunque segnali preoccupanti ci sono
e vanno attentamente segnalati e controllati. E'
questo il motivo per cui nelle ultime settimane si è alzato per così dire il
livello di pericolo per possibili attentati nel nostro paese? Non ci sono
segnali specifici. C'è come dicevo prima il segnale di una possibile crescente
radicalizzazione di alcuni settore dell'islam in Italia. Parlo non a caso di
preoccupazione e di attenzione che sono cose ben diverse dalla fobia. Però
è difficile per la gente comune in vacanza distinguere come fa lei e come ha
fatto il ministro degli Interni Alfano. Non c'è
dubbio però ricordiamoci che dar conto della naturale preoccupazione che c'è
per possibili attentati anche in Italia serve anche a tenere alta la tensione
dei nostri apparati investigativi e far capire che la guardia non va abbassata.
Poi sono consapevole che l'Italia come tutto l'occidente non può dirsi esente
da attentati, non c'è e non esiste, insomma come è stato più volte spiegato, un
rischio zero. Una
paura condivisa dai nostri vicini francesi che dicono le statistiche, proprio
in questi giorni di vacanza, abbandonano le loro spiagge per riversarsi sulle nostre
spaventati da nuove possibili tragedie come quella recente di Nizza. E' vero che
i francesi scelgono il nostro paese perchè si sentono più sicuri. Ho potuto
verificarlo io stesso visto che sono in Liguria, molto frequentata dai nostri
vicini, per alcune manifestazioni politiche. Detto questo mi preme lanciare un
appello alla calma: cerchiamo tutti di non cedere alla paura e alla fobia e
cerchiamo soprattutto di non cambiare nulla, o il meno possibile, nella nostra
vita di tutti i giorni.
domenica 14 agosto 2016
IL MATTINO - 14/08/16 - "ISIS ALLO SBANDO IN FUGA SUI BARCONI"
"Affiliati lsis
in fuga dalla Libia sui barconi": Giacomo Stucchi, presidente del Copasir,Comitato
parlamentare per la sicurezza della Repubblica, rilancia l'allarme in un'intervista
al Mattino. «Roma - spiega Stucchi è una metafora, vuol dire cristianità, Occidente:
la minaccia è quindi generica, non necessariamente riferita a un progetto
ostile verso la capitale. Ma il presidente del Copasir sottolinea: Con
la liberazione di Sirte il rischio che i cani sciolti dell'lsis decidano di raggiungere
l'Europa oon i barconi dei clandestini è diventato concreta. E' quindi urgentissimo aumentare mezzi e
personale per migliorare i controlli».Quella scritta in arabo su un muro di
Sirte, «Da qui la porta per Roma, non stupisce né aggiunge preoccupazione alle non poche preoccupazioni del senatore leghista
Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la
sicurezza della Repubblica. "Roma è una metafora, Roma vuol dire
cristianità, vuoi dire Occidente: la minaccia è quindi generica, non necessariamente
riferita a un progetto ostile verso la capitale" assicura Stucchi. Che indica
invece altri e più pressanti motivi di allarme, in questo ponte di Ferragosto
sospeso tra le nuove speranze dei libici
finalmente liberi di tagliarsi barbe e levare
burka e la sottile sensazione di attesa che anima, al di qua del Mediterraneo,
popolazioni che si sentono sotto attacco. Con la liberazione dì Sirte - dice
Stucchi - il rischio che cani sciolti dcll'Isis decidano di raggiungere I'Europa
con i barconi dei clandestini è diventato concreto». Presidente Stucchi, finora
questo scenario è stato considerato poco realistico: mai l'lsis avrebbe rischiato
di "condannare'" a un sempre possibile naufragio propri affiliati,
addestrati all'odio ed equipaggiati per uccidere. Cosa spingerebbe oggi quegli stessi
uomini ad affrontare la traversata? "La logica che spinge da sempre i soldati
di qualsiasi esercito in rotta. Quelli che ieri erano combattenti del Califfato,
inquadrati e fedeli alla causa, oggi sono militanti
in fuga, uomini sconfitti in cerca di una via d'uscita. Sappiamo che in molti
si stanno dirigendo verso il sud della Libia, verso il deserto. Ma non possiamo
escludere che altri, pochi o molti che siano, cerchino di raggiungere in qualche
modo l'Europa.Verrebbero «in pace», con l'intenzione cioè di
nascondersi e cambiare vita, o al contrario per portare a termine le
"missioni" a loro affidate dai capi dell'lsis? « Trattandosi di gente
allo sbando è davvero difficile dirlo. Certo, la sconfitta può rendere piu' feroce
l'odio fondamentalista,la volontà di rivalsa,anche attraverso gesti
"eroici" del lupo solitario di turno». Se questo è il rischio,
esistono possibilità di difesa? "E' evidente che la difesa passa attraverso
la capacità degli Stati nei quali approdano i barconi, l'Italia in primo luogo,
di identificare tutti quelli che arrivano sulle proprie coste". Presidente,
è quello che Bruxelles ci chiede c che noi non riusciamo a fare: i centri di
prima accoglienza scoppiano, e dalle strutture che ospitano l migranti
le fughe sono quotidiane. "Lo so bene: bisogna investire di più nel
sistema di controlli, utilizzare più uomini, coordinare le banche dati, accelerare
tutti i tempi. Al governo lo chiedo da tempo. Dovrebbe aiutarci l'Europa, ma se
aspettiamo quella stiamo freschi". Il governo non vi dà ascolto? " Se
aumentano gli sbarchi, se aumentano i soggetti in arrivo e non puoi
incrementare attrezzature, il personale, lo scambio di informazioni allora
ottenere efficacia diventa difficile.
Intervenire non è solo necessario, è urgentissimo".La scritta minacciosa
su Roma è la quasi contemporanea decisione d innalzare il livello di allerta
nei porti hanno diffuso nel Paese nuove paure. L'Italia è nel mirino? L'Italia
è nel mirino dei terroristi del Daesh come
lo sono tutti gli Stati occidentali. Lo è oggi come lo è stata fino a ieri: se
finora abbiamo evitato eventi tragici è perché abbiamo uno tenuto la guardia alta,
in un quadro ottimale di sinergia tra le istituzioni, la magistratura e le forze
dell'ordine. Ciò premesso, fra il muro di sirte e l'allerta nei porti non c'è
alcun collegamento. Quella scritta è propaganda, è uno dei tanti proclami contro
l'Occidente e i suoi valori, contro le sue radici laico - cristiane. Non
è certo una novità che il Daesh abbia Roma fra i suoi obiettivi, ma al momento
non esiste nessuna evidenza di progetti ostili alla capitale». Il rischio è generico,
insomma? E? sempre alto ma generico. A Roma come altrove. Diciamo che la
scritta di Sirte va intesa come un monito a non abbassare la guardia mai. Neanche
adesso che Daesh è costretta a ritirarsi grazie ai raid americani". La stretta
sui porti è un segnale in questo senso?
"Nei porti si è semplicemente provveduto ad allineare il livello di sicurezza a quello già
in vigore in aerostazioni e grandi stazioni ferroviarie. Dato il volume dei movimenti
nella stagione estiva, è star o un adeguamento necessario. L'ottica è sempre quella
della prevenzione". Secondo voci attribuite ai servizi segreti di Tripoli,
tra le carte ritrovate a Sirte ce ne
sarebbero alcune che fanno riferimento a una rete jihadista in azione
nella provincia di Milano, composta da clementi libici, tunisini e sudanesi. Il
Copasir ne ha contezza? «Si tratta evidentemente di materia che interessa la magistratura,
di indagini coperte dal segreto istruttorio. Nel Milanese ci sono state
inchieste, arresti, espulsioni. Le carte di Tripoli potrebbero far riferimento
a persone passate in quella zona e che adesso si trovano altrove. lo posso solo confermare che in Italia la collaborazione
tra intelligence, procura e polizia giudiziaria funziona molto bene, sapendo
che sul terrorismo ogni informazione può fare la. Differenza e che nulla va sottovalutato».
Questa sinergia funziona anche sul piano internazionale? C'è consapevolezza che
non solo occorre scambiarsi informazioni, ma bisogna farlo in tempo reale. La collaborazione
fra servizi segreti è valida, mentre quella giudiziaria inciampa sull' ostacolo
del segreto istruttorio. Se la procura di un Paese indaga su un soggetto che si
è spostato lì da un altro Paese, dovrebbe poter conoscere le carte dell'
inchiesta del Paese di provenienza. In attesa della nascita, che chissà se
avverrà mai, di una superprocura europea, questo luogo di scambio di informazioni
andrebbe individuato". A proposito
di luoghi dove si scambiano
informazioni, quanto è penetrante il controllo della nostra intelligence sulla
rete? "Sappiamo che la radicalizzazione in Europa avviene in prima istanza
utilizzando il web; lì avvengono i contatti tra potenziali attentatori, si cercano
anche sistemi per immolarsi, si lanciano proclami. ll controllo sulla rete da parte
dei Servizi e degli inquirenti è garantito, ma se vogliamo vincere la guerra non
possiamo fermarci, dobbiamo correre sempre di più. Qualcuno non corre abbastanza?
Non quanto corre la tecnologia: non facciamo in tempo ad adeguare i nostri
strumenti, che ne vengono fuori altri più avanzati. I nostri "nemici"
tengono il passo, noi facciamo fatica». Nella legge di stabilità il governo ha
stanziato i 50 milioni per la cybersicurezza. Non basteranno? Il punto
è che bisogna investirli in fretta, mi auguro che lo si faccia. Oltre ai mezzi,
serve personale già addestrato: quando si lavora per disinnescare pericoli non
si può perdere tempo in corsi di aggiornamento». Come si concilia la necessità
di agire in fretta e di raccogliere il maggior
numero di informazioni con il diritto alla privacy degli utenti che con il terrorismo
non c'entrano niente? I controlli vanno fatti in modo mirato. Per dirla con una
metafora: dobbiamo pescare nel grande fiume del web le bottiglie di plastica che lo
inquinano- i terroristi e i loro complici senza disturbare i pesci, i cittadini
per bene".
giovedì 4 agosto 2016
GEOPOLITICALCENTER - 04/08/16 - Le sfide dell’intelligence: intervista al presidente del COPASIR on. Stucchi
domenica 17 luglio 2016
IL TEMPO - 17/07/16 - AUMENTARE OVUNQUE I CONTROLLI
sabato 16 luglio 2016
AVVENIRE - 16/07/16 - "L'ASTICELLA DEL TERRORE SALE, SUBITO PIU' RISORSE" Stucchi (Copasir): in questi casi prevenzione più ardua, attenti agli "internal fighters"
Ogni volta, l'asticella del terrore si alza. in questo caso, è bastato un camion lanciato a forte velocità in un luogo affollato per fare quasi un centinaio di vittime... con simili modalità di attentati, purtroppo, la sfida della prevenzione per gli apparati di sicurezza diventa sempre piu' ardua...." Dopo la strage sul lungomare di Nizza, il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica Giacomo Stucchi (Lega Nord) ragiona con Avvenire sui nuovi scenari di potenziali minacce: "L'uso di un veicolo, in sè, non è del tutto inedito. C'erano già stati attentati con auto lanciate contro le fermate degli autobus, in Israele e in altri Paesi - considera il presidente del Copasir - . In questi casi, gli attentatori avevano per fortuna causato meno vittime. ma quegli episodi costituiscono i primi segnali di questa ulteriore modalità di colpire persone inermi..."Un camion, un "lupo solitario", la folla come obiettivo. niente bombe, pochi preparativi. Così le speranzedi "agganciare" i terroristi prima di un attentato si riducono al lumicino....Purtroppo è così. Dobbiamo essere realistici: si tratta di un problema enorme, perchè per prevenire situazioni simili si dovrebbe immaginare di poter controllare qualsiasi eventuale obiettivo, cosa impossibile. Cosa invece si può ragionevolmente fare? Oltre che sui siti istituzionali già sorvegliati, si potrebbe intensificare i controlli sui cosidetti soft target, piazze, teatri, luoghi che come unica caratteristica, hanno quella di ospitare in un certo momento la presenza di tante persone, come avvenuto a Nizza. I francesi avevano vigilato benissimo durante gli Europei, ma chi voleva colpire ha atteso un evento successivo e un bersaglio più accessibile. Servirebbero ancora più agenti da schierare nelle città italiane? In generale, in questo frangente, credo che governo e Parlamento non debbano stare a lesinare sulle risorse da investire nel comparto sicurezza. Non solo in agenti ma in nuoce competenze, strumentazioni elettroniche e informatiche, perchè quotidianamente aumentano sia il numero dei soggetti "problematici" che quello dei luoghi da "attenzionare". E' un equilibrio difficile, occorre dare una percezione di sicurezza, ma non si può neppure pensare a una militarizzazione totale delle nostre città: non sarebbe fattibile in termini di risorse e darebbe anche un messaggio sbagliato. Tutto ciò che serve a contrastere chi vuole distruggere i nostri valori e le nostre comunità va fatto, ma senza stravolgere la nostra vita quotidiana. sarebbe l'errore più grave... L'attacco a due passi dal confine italiano fa salire l'allarme anche da noi? La nostra intelligence lo ripete da tempo: nessun Paese è purtroppo, al sicuro da questo tipo di minaccia. L'attacco di Nizza è stato compiuto da un franco-tunisino, forse senza o con poche complici. E' la strategia del teorico del Daesh Al Adnani: rimanere nel Paese dove ci si trova a coplire gli occidentali con ciò che si ha, anche una vettura. Così i foreign figthters che prima partivano dall'Europa per combattere in Siria e Iraq, possono diventare internal fighters. C'è rischio di emulazione? Si può innescare un meccanismo agghiacciante di competizione fra chi punta a realizzare attentati sempre più cruenti per avere un posto nella storia del terrore. Il Copasir si occuperà presto della vicenda? Lo faremo la prossima settimana con due audizioni già previste, ma che ora saranno attualizzate alla luce di quanto avvenuto: la prima con l'autorità di governo delegata all'intelligence, il sottosegretario Marco Minniti, e la seconda col capo della Polizia Franco Gabrielli. Faremo il punto sulla situazione, sia sotto il profilo internazionale che della sicurezza interna.
venerdì 15 luglio 2016
AFFARI ITALIANI - 15/07/16 - STRAGE NIZZA, STUCCHI (COPASIR): IN ITALIA NUMERO "PREOCCUPANTE" DI TERRORISTI
"Quello che è successo a Nizza potrebbe accadere in ogni singola realtà occidentale, quindi anche in Italia". Lo afferma al ad Affaritaliani.it il presidente del Copasir Giacomo Stucchi, commentando il drammatico attentato terroristico accaduto a Nizza, in Francia. Impossibile prevenire attacchi di questo tipo? "Più è complessa e numerosa la composizione della struttura che progetta l'attentato e è più 'agevole' acquisire informazioni e quindi prevenire lo stesso. Più è ridotta la composizione numerica di chi vuole compiere l'attentato, arrivando fino all'attore solitario, e più il tutto diventa difficile". L'intelligence italiana ha qualche segnale di allarme specifico per quanto riguarda il nostro Paese? "Non c'è in questo momento nessun allarme puntuale su un evento specifico in un dato luogo. Ma è logico però pensare che ci siano tutta una serie di realtà e di soggetti che vengono ritenuti problematici e per questo attentamente monitorati". Quante persone vengono 'monitorate' dall'intelligence italiana? "I foreign fighters partiti sono un centinaio ma quelli diventano un problema se e quando rientrano. In Italia i soggetti problematici noti sono un numero non irrilevante, seppur inferiore ad altri Paesi occidentali ". Più o meno di mille? "Non posso essere più preciso ma sono un numero che genera legittime preoccupazioni". L'estate e le vacanze soprattutto al mare, in spiaggia, possono essere un pericolo ulteriore di attentati terroristici? "Nizza ci insegna che i luoghi di aggregazione, soprattutto all'aperto durante il periodo estivo, ove vi sia un numero elevato di persone, potrebbero risultare interessanti per chi vuole compiere degli attentati. Sono soft target. Servono quindi maggiori controlli e presenza delle FFOO anche in questi luoghi per aumentare il livello di sicurezza. Bisogna esserne consapevoli. Però è fondamentale anche stare attenti a non far vincere il terrore che paralizza". Tra i migranti che arrivano con i barconi in Italia potrebbero esserci anche terroristi islamici? "Nessuno lo può escludere. Chiaramente vengono fatti tutti i controlli che bisogna fare in questi casi, soprattutto quando il livello di allerta aumenta. Ma è altrettanto evidente che più soggetti arrivano contemporaneamente e più il lavoro di analisi per capire con certezza chi si ha di fronte, se non vengono potenziati mezzi e personale, non potendo svolgersi in condizioni ottimali diventa difficile", conclude Stucchi.
FANPAGE.IT - 15/07/16 - STUCCHI (PRESIDENTE COPASIR): "ANCHE L'ITALIA E' A RISCHIO MA LA NOSTRA INTELLIGENCE FUNZIONA"
"Noi dobbiamo cercare di individuare i terroristi in un momento delicato: le attività di intelligence fino ad ora hanno funzionato in Italia dando risultati che hanno permesso di evitare che accadesse qualcosa, ma siccome che il numero di soggetti e luoghi da controllare aumenta, dobbiamo anche noi incrementare le risorse". Ai microfoni di Fanpage.it
martedì 5 luglio 2016
IL SECOLO D'ITALIA - 03/07/16 - L'ISIS, CONTORDINE DEL CALIFFO. IL DIKTAT E': ”UCCIDERE GLI OCCIDENTALI OVUNQUE”
L’ordine è uno solo: uccidere gli occidentali ovunque.
Di più: sarebbe in corso una vera e propria gara tra chi fa più
vittime. Rivela sempre nuovi e sempre più inquietanti risvolti l’odio
etnico e religioso che arma il pugno degli spietati miliziani del
terrore agli ordini del Califfo Al Baghdadi. Un odio
atavico elevato all’ennesima potenza dalla rabbia jihadista seguita ai
colpi messi a segno sul piano militare dall’alleanza internazionale
anti-Isis che, in Siria come in Iraq, ha riguadagnato terreno e riconquistato posizioni strategiche, costringendo i miliziani alla ritirata. L’Isis, intervista al presidente del Copasir“È un bene che in Iraq, in Siria, e ora anche in Libia, si stia
riducendo l’area di influenza dell’Isis, ma il contraccolpo, da quanto
ci dicono i servizi segreti, è evidente” A parlare è il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, che in un’intervista alla Stampa spiega anche come ormai “il Califfo non chiama più i foreign fighters
a combattere da loro, ma li invita a colpire dovunque si trovino. Al
limite, l’indicazione che hanno è di spostarsi in Occidente. E il primo obiettivo restano gli infedeli.
Cioè noi. Stanno tornando alle origini, agli attacchi suicidi”. E
ancora: “L’Isis ha cambiato strategia. Dal conflitto simmetrico, tra
eserciti, in campo aperto, stanno passando a un conflitto asimmetrico.
Pochi uomini che si immolano per ottenere un risultato enorme”, spiega
Stucchi. Il ritorno dell’Isis a una vecchia strategia di guerra E allora, ecco spiegato l’attacco all’aeroporto di Istanbul. La strage di Dacca. I continui agguati esplosivi a Baghdad.
“Piuttosto che perdere dieci miliziani in battaglia, meglio mandare uno
o due aspiranti suicidi a colpire un obiettivo facile, con tanta gente
innocente. E meglio ancora se occidentali. Così è garantita un’eco
mondiale, devastante per l’opinione pubblica”. Una strategia lucida e
agghiacciante che, purtroppo, sta confermando la sua spietata
applicazione sul campo ad ogni efferato attentato terroristico
organizzato su punti lontani dello scacchiere di guerra e di morte preso
in considerazione dai miliziani dell’Isis.”Il passaggio di Daesh
alla seconda fase, se possibile, preoccupa ancor più di prima, perché
s’è visto che potrebbe esserci tanta gente che simpatizza per loro, e
poi perché colpiscono sempre più spesso obiettivi facili, i cosiddetti soft target‘”, prosegue infatti Stucchi. L’Italia nel mirino dell?Isis? Ecco come e perché Guardando all’Italia come possibile target nel mirino dell’Isis, dunque, “se i luoghi a rischio, gli hard target, sono più o meno presidiati, i soft target sono
troppi. Impossibile presidiare ogni ristorante, bar, cinema, piazza di
paese. Così è diventata una lotta impari”. Una guerra sleale combattuta a
colpi di stragi facili da pianificare e impossibili da prevenire, come
dimostrato negli attacchi di Parigi del 13 novembre o dei più recenti agguati in Belgio.
“Ai nostri servizi risulta che è in corso una sorta di gara a chi fa
più danni”, evidenzia Stucchi. “Gli aspiranti suicidi sognano di
sterminare più infedeli che possono, e allo stesso
tempo sperano che il loro nome venga ricordato per l’eternità come
quelli che hanno ucciso più di tutti”. Terribile, quanto realistico.
lunedì 4 luglio 2016
FLY ORBIT - 04/07/16 - ATTENTATO A DACCA, STUCCHI(COPASIR): «TEMIAMO NUOVE AZIONI»
A distanza di giorni dall’attentato a Dacca, capitale del Bangladesh, nel quale hanno perso la vita nove italiani, emergono dettagli sugli attentatori. Sono venti le persone rimaste uccise venerdì sera mentre si trovavano alla Holey Artisan Bakery di Dacca, non lontano dalla ambasciata italiana. Secondo il ministero dell’interno del Bangladesh, i terroristi sono tutti provenienti da famiglie ricche,
con una buona educazione scolastica: solo uno non aveva frequentato le
migliori scuole del paese. Nessuno straniero. Avrebbero abbracciato la
jihad assecondando una moda, sostiene il ministero dell’Interno del
paese asiatico che continua a non ritenere attendibile la rivendicazione
dell’ISIS. Le indagini sono ancora in corso. A Fly Orbit News, il senatore Giacomo Stucchi,
presidente del Coparis, il comitato di controllo sui servizi italiani,
ha dichiarato che il quadro internazionale riguardo il monitoraggio
delle cosiddette schegge impazzite che fanno riferimento all’ISIS e non
solo è «molto complesso e delicato: i numeri rimangono preoccupanti. La
loro decisione di optare per un conflitto asimmetrico rende ancor più
ardua la loro sconfitta e ci fa temere ulteriori azioni, contro obiettivi occidentali, dagli esiti drammatici». Per quanto riguarda l’Italia, dice il
senatore Stucchi, «nella comunità dell’intelligence si ritiene molto
realisticamente che in generale non sia possibile parlare di una
situazione di sicurezza assoluta e che al contrario vi possano essere,
in un contesto di massimo sforzo profuso per garantire la tutta la
sicurezza possibile, possibili situazioni che comportino una certa dose
di razionale preoccupazione».
domenica 3 luglio 2016
NAZIONE Carlino IL GIORNO - 03/07/16 - "SAPEVANO DOVE TROVARE GLI ITALIANI"
GLI
ITALIANI erano un obiettivo dei terroristi di Dacca. Giacomo Stucchi,
presidente del Copasir, non respinge l'ipotesi: «Nei prossimi giorni avremo
incontri che ci permetteranno di approfondire questo aspetto. Non è da escludere
che l'obiettivo fosse proprio colpire appartenenti alla comunità italiana, anche
se non mi sento in questo momento di confermarlo in via definitiva. Quel locale
era frequentato da occidentali c in particolare dagli italiani. Che solitamente
ce ne fossero tanti in quel posto era noto». Lei come spiega il fatto che i nostri
connazionali fossero nel mirino dei jihadisti? "Vogliono colpire un Paese
attaccando i suoi cittadini, indipendentemente che questo avvenga a Dacca, a
Bagdad, a Roma o a Milano. Uccidendo lanciano un segnale. Perché l'Italia?
Perché è meno militarista di altri stati e per questa ragione si tenta di
radicalizzarla con gli attentati? Per loro si tratta di colpire coloro che non
seguono le indicazioni del profeta Maometto. Hanno una visione islamista di contrapposizione bellica per la quale quelli
che non stanno con loro debbono essere eliminati». Italiani e anche altri? "Noi,
i francesi, gli americani e i belgi ai loro occhi siamo infedeli. La vita di un
italiano vale nel momento in cui gli viene tolta. Il messaggio è: non siete
sicuri, vi colpiamo dove e quando vogliamo». C'è un cambiamento di strategia globale?
"Daesh ha perso tantissimo territorio in Siria. Anche in Libia ha
problemi. Questo comporta che vengano privilegiate le reazioni asimmetriche. E
vero, l'attacco di Dacca è stato gravissimo. Purtroppo poche ore fa a Bagdad ce n'è stato un altro che ha lasciato una scia
di sangue impressionante, oltre 120 morti. Sono azioni, sostenute dal Califfo
con messaggi pubblici, che lasciano l'opinione pubblica colpita, sbigottita,
preoccupata. Fra lstanbul e Dacca c'è però una differenza. Quale? «A Istanbul
hanno per così dire osato l'hard target, l'obiettivo duro. Hanno giocato
pesante, sfìdando lo Stato turco in un luogo che era particolarmente protetto c
sorvegliato. In Bangladesh il target, l'obiettivo, era soft. come tanti altriin
giro per il mondo». Prendere possesso di un ristorante non era particolarmente arduo.
«Ma poi c'è stata l'azione incredibile di uccidere, quasi uno per uno, coloro
che non conoscevano il Corano. Hanno alzato ulteriormente l'asticella della
crudeltà». Come possiamo difenderci? In 'Italia abbiamo un sistema che per fortuna,
ma sopratutto per l'impegno dcll'intelligence e delle forze dell'ordine e, a valle della magistratura, finora ha
permesso di tenere sotto controllo la situazione. È logico però che più aumentano
i soggetti pericolosi, più cresce la galassia che gira attorno a quegli individui
e più si moltiplicano i luoghi che debbono essere controllati,più serve avere a
disposizione nuovi strumenti, nuovo personale e nuovi mezzi per poter condurre
in modo pari questa guerra. Più si incrementano i numeri che le dicevo più è
difficile dare risposte. Bisogna essere realisti. "Quindi in concreto? «Bisogna
avere il coraggio di dire che una situazione di sicurezza assoluta non è
possibile garantirla. Si fa tutto il possibile. Non bisogna illudere nessuno affermando che non accadrà assolutamente
nulla, ma neppure cadere nella paura paralizzante dell'attentato incombente.
Però si deve capire che la situazione è cambiata rispetto a qualche anno fa e
che in termini di sicurezza oggi siamo scesi probabilmente di un livello. Anche
le nostre abitudini, pur non dovendole mutare in modo radicale, sono state
condizionate.
LA STAMPA - 03/07/16 - "L'ORDINE DEL CALIFFO E' UCCIDERE GLI OCCIDENTALI OVUNQUE"
Il presidente del
Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, il senatore Giacomo
Stucchi, della Lega, normalmente è un ottimista. Oggi, no. «Dobbiamo essere
realisti. La situazione è sempre più grave». Eppure si dice che l'lsis sul campo arretra. «È verissimo. Ma ha anche cambiato strategia. Dal conflitto simmetrico,
tra eserciti, in campo aperto, stanno passando a un conflitto asimmetrico. Pochi
uomini che si immolano per ottenere un risultato enorme». Era sbagliato combatterli militarmente? «No, è un bene che in Iraq,
in Siria, c ora anche in Libia, si stia riducendo la loro arca di influenza, ma
il contraccolpo, da quanto ci dicono i servizi segreti, è evidente. Il Califfo non
chiama più i foreign fighters a combattere da loro, ma li invita a colpire
dovunque si trovino. Al limite l'indicazione che hanno è
di spostarsi in Occidente. E il primo obiettivo restano gli
infedeli. Cioè noi. Stanno tornando alle origini, agli attacchi suicidi. Sembrerebbe un bene che Isis rinunci all'idea
del Califfato in terra d'islam c che sia costretta alla clandestinità. Sono
in evidente arretramento. Però reagiscono nel modo che per loro è il più
produttivo. Piuttosto che perdere dieci miliziani in battaglia, meglio mandare
uno o due aspiranti suicidi a colpire un obiettivo facile, con tanta gente
innocente. E meglio ancora se occidentali. Così è garantita un'éco mondiale, devastante
per l'opinione pubblica». In effetti è impressionante il bollettino di guerra.
«Guardi, il passaggio di Daesh alla seconda fase, se possibile, preoccupa ancor
più di prima. Perché s'è visto che potrebbe esserci tanta gente
che simpatizza per loro. E poi perché s'è visto che colpiscono sempre più
spesso obiettivi facili, i cosiddetti soft target. L'effetto terroristico è lo stesso.
Il che, per venire all'Italia, ci deve spaventare: se i luoghi a rischio, gli "hard
target", sono più o meno presidiati, i "soft target" sono troppi. Impossibile
presidiare ogni ristorante, bar, cinema, piazza di paese. Così è
diventata una lotta impari». Lei conosce
molti dossier riservati. Le risulta che per questi attentati giungano indicazioni
precise del Califfo? «Ai nostri servizi risulta che è in corso una sorta di
gara a chi fa più danni». Vogliono
entrare nel Guinness degli orrori? «Qualcosa del genere. Gli aspiranti suicidi
sognano di sterminare più infedeli che possono, e allo stesso tempo sperano che
il loro nome venga ricordato per l'eternità come quelli che hanno ucciso più di
tutti. Cercano di segnare un record per
entrare
nella storia. Ma questo non è sport, questa è morte».
lunedì 27 giugno 2016
LOMBARDO VENETO MAGAZINE - 27/06/16 - STUCCHI, PRESIDENTE COPASIR: "IL TERRORISMO NON HA MAI VINTO MA...”
lombardovenetomagazine.it
Se è vero, com’è vero, che il terrorismo è un nemico comune a tutti gli Stati, allora la lotta per il contrasto di questo fenomeno è una battaglia comune. Per combatterla, quindi, un punto fondamentale e imprescindibile è la condivisione delle informazioni di intelligence fra i Paesi occidentali. Una lezione che, dopo gli attentati a Parigi e in Belgio, comincia a essere tenuta sempre più in maggiore considerazione. Dai fatti del Bataclan in poi l’atteggiamento dei Paesi occidentali, in particolare della Francia, è forse cambiato e si è senza dubbio assistito a un incremento dello scambio di informazioni; ma anche al rafforzamento del principio che non condividere tale impostazione depotenzia la lotta contro un nemico possente. All’interno della comunità delle intelligence europee lo scambio di informazioni in materia di contrasto al terrorismo è quindi molto elevato; e lo sarà anche dopo il voto sulla Brexit che non cambierà nulla in tema di lotta al terrorismo poiché gli accordi più importanti (bilaterali o multilaterali) sono tra le intelligence di singoli Stati e questi rimarranno in vita. Certo, non tutti gli ostacoli a una completa condivisione di intelligence a livello internazionale sono stati rimossi. Un problema cruciale, per esempio, sta nel fatto che tali informazioni siano detenute dalle procure dei singoli Paesi; e quindi, essendo protette da segreto istruttorio, è di fatto impossibile condividerle. Per questa ragione bisogna trovare una soluzione per permettere di agire su tutto il territorio occidentale. Oggi la necessità prioritaria è interloquire sul terrorismo con le procure europee, perché se un soggetto è indagato per terrorismo e si sposta in un altro Stato si deve poter indagare su questa persona. Anche questo tipo di indagini, del resto, fa parte di quell’attività di prevenzione che sino ad oggi, in Italia, ha dimostrato di funzionare bene. Molto è dovuto al lavoro svolto a monte dall’Intelligence, ma molto anche dalle forze dell’ordine e dalle procure. La recente operazione del Ros di Bari, per esempio, che ha portato all’arresto di una persona domiciliata presso il Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Bari-Palese, testimonia che bisogna controllare con grande scrupolo chi entra in Italia e capire bene chi abbiamo di fronte. Ma per fare questo occorrono più fondi per l’intelligence e per le forze polizia, serve investire in mezzi e personale perché, come dimostra la cronaca quotidiana sugli sbarchi, aumenta continuamente il numero delle persone da controllare. Noi non siamo immuni dalla minaccia terroristica, non possiamo illudere i cittadini e dire loro che non succederà nulla, ma le nostre forze di polizia e l’intelligence stanno lavorando al meglio, facendo tutto il possibile sul fronte della prevenzione. Il controllo del territorio è capillare e, ad oggi, non ci sono piani di attacchi o progettualità ostili che possano essere indirizzati in maniera specifica contro di noi. Questo non vuol dire che vi sia una situazione di sicurezza assoluta. Bisogna avere il coraggio di evidenziarla e serrare sempre più le maglie della rete di una sicurezza partecipata. Le sfide sono il terrorismo internazionale, la minaccia cyber ma anche gli attacchi alla sicurezza economico-finanziaria. La dimensione sfidante dell’Intelligence è cambiare le cose sul terreno. Guardare in lungo e in largo. Consapevoli del fatto che, pur avendo il terrorismo di oggi mutato pelle, e tenendo presente tra l’altro che storicamente nessuna forma di terrorismo ha mai raggiunto l’obiettivo per cui è nato, il controllo del territorio rimane decisivo nella diuturna lotta per sconfiggere il terrorismo sotto le sue molteplici forme. Del resto le situazioni di disagio sociale vissute nei quartieri ultrapopolari che hanno portato alcuni soggetti verso il terrorismo degli anni Settanta sono le stesse che si vivono oggi nelle banlieu nostrane, dove covano le maggiori ostilità nei confronti della cultura occidentale. Il problema è la perdita degli spazi sociali, il disagio delle periferie. L'Intelligence opera a protezione dei diritti e della libertà, oltre ad essere presidio di democrazia. Un sistema che funziona ma necessita, come tutti gli organismi, di controlli. Il nostro ruolo è delicato: il controllo democratico. Come Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) verifichiamo che tutto ciò che fanno le Agenzie avvenga rispettando le regole cui sono sottoposte, non solo le leggi ordinarie. Il rispetto della privacy, innanzitutto. Purtroppo la storia dei nostri Servizi è stata a volte legata a vicende che si tingevano di ‘grigio’. Ora la percezione dei nostri 007 è cambiata e vengono visti come uomini e donne dello Stato che lavorano per proteggere tutti. E’ davvero ‘una nuova narrazione’ e un indice di fiducia che l’Eurispes certifica a quota 64%. Fino a qualche anno fa sarebbe stato un consenso del tutto impensabile! Senatore Giacomo Stucchi Presidente del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica
Se è vero, com’è vero, che il terrorismo è un nemico comune a tutti gli Stati, allora la lotta per il contrasto di questo fenomeno è una battaglia comune. Per combatterla, quindi, un punto fondamentale e imprescindibile è la condivisione delle informazioni di intelligence fra i Paesi occidentali. Una lezione che, dopo gli attentati a Parigi e in Belgio, comincia a essere tenuta sempre più in maggiore considerazione. Dai fatti del Bataclan in poi l’atteggiamento dei Paesi occidentali, in particolare della Francia, è forse cambiato e si è senza dubbio assistito a un incremento dello scambio di informazioni; ma anche al rafforzamento del principio che non condividere tale impostazione depotenzia la lotta contro un nemico possente. All’interno della comunità delle intelligence europee lo scambio di informazioni in materia di contrasto al terrorismo è quindi molto elevato; e lo sarà anche dopo il voto sulla Brexit che non cambierà nulla in tema di lotta al terrorismo poiché gli accordi più importanti (bilaterali o multilaterali) sono tra le intelligence di singoli Stati e questi rimarranno in vita. Certo, non tutti gli ostacoli a una completa condivisione di intelligence a livello internazionale sono stati rimossi. Un problema cruciale, per esempio, sta nel fatto che tali informazioni siano detenute dalle procure dei singoli Paesi; e quindi, essendo protette da segreto istruttorio, è di fatto impossibile condividerle. Per questa ragione bisogna trovare una soluzione per permettere di agire su tutto il territorio occidentale. Oggi la necessità prioritaria è interloquire sul terrorismo con le procure europee, perché se un soggetto è indagato per terrorismo e si sposta in un altro Stato si deve poter indagare su questa persona. Anche questo tipo di indagini, del resto, fa parte di quell’attività di prevenzione che sino ad oggi, in Italia, ha dimostrato di funzionare bene. Molto è dovuto al lavoro svolto a monte dall’Intelligence, ma molto anche dalle forze dell’ordine e dalle procure. La recente operazione del Ros di Bari, per esempio, che ha portato all’arresto di una persona domiciliata presso il Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Bari-Palese, testimonia che bisogna controllare con grande scrupolo chi entra in Italia e capire bene chi abbiamo di fronte. Ma per fare questo occorrono più fondi per l’intelligence e per le forze polizia, serve investire in mezzi e personale perché, come dimostra la cronaca quotidiana sugli sbarchi, aumenta continuamente il numero delle persone da controllare. Noi non siamo immuni dalla minaccia terroristica, non possiamo illudere i cittadini e dire loro che non succederà nulla, ma le nostre forze di polizia e l’intelligence stanno lavorando al meglio, facendo tutto il possibile sul fronte della prevenzione. Il controllo del territorio è capillare e, ad oggi, non ci sono piani di attacchi o progettualità ostili che possano essere indirizzati in maniera specifica contro di noi. Questo non vuol dire che vi sia una situazione di sicurezza assoluta. Bisogna avere il coraggio di evidenziarla e serrare sempre più le maglie della rete di una sicurezza partecipata. Le sfide sono il terrorismo internazionale, la minaccia cyber ma anche gli attacchi alla sicurezza economico-finanziaria. La dimensione sfidante dell’Intelligence è cambiare le cose sul terreno. Guardare in lungo e in largo. Consapevoli del fatto che, pur avendo il terrorismo di oggi mutato pelle, e tenendo presente tra l’altro che storicamente nessuna forma di terrorismo ha mai raggiunto l’obiettivo per cui è nato, il controllo del territorio rimane decisivo nella diuturna lotta per sconfiggere il terrorismo sotto le sue molteplici forme. Del resto le situazioni di disagio sociale vissute nei quartieri ultrapopolari che hanno portato alcuni soggetti verso il terrorismo degli anni Settanta sono le stesse che si vivono oggi nelle banlieu nostrane, dove covano le maggiori ostilità nei confronti della cultura occidentale. Il problema è la perdita degli spazi sociali, il disagio delle periferie. L'Intelligence opera a protezione dei diritti e della libertà, oltre ad essere presidio di democrazia. Un sistema che funziona ma necessita, come tutti gli organismi, di controlli. Il nostro ruolo è delicato: il controllo democratico. Come Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) verifichiamo che tutto ciò che fanno le Agenzie avvenga rispettando le regole cui sono sottoposte, non solo le leggi ordinarie. Il rispetto della privacy, innanzitutto. Purtroppo la storia dei nostri Servizi è stata a volte legata a vicende che si tingevano di ‘grigio’. Ora la percezione dei nostri 007 è cambiata e vengono visti come uomini e donne dello Stato che lavorano per proteggere tutti. E’ davvero ‘una nuova narrazione’ e un indice di fiducia che l’Eurispes certifica a quota 64%. Fino a qualche anno fa sarebbe stato un consenso del tutto impensabile! Senatore Giacomo Stucchi Presidente del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica
mercoledì 8 giugno 2016
CITTA' DEI MILLE - GIU/LUG 20016 - 007 ITALIANI "SOTTO CONTROLLO" BERGAMASCO
Dal 2013 alla guida del Copasir, il Comitato
parlamentare per la sicurezza della Repubblica, c’è il senatore Giacomo
Stucchi: «Nel nostro Paese c'è un sistema che funziona, grazie al lavoro
dall'Intelligence e delle forze dell'ordine»
A
controllare chi ci controlla (per il nostro bene) è un bergamasco. Dal 2013,
alla guida del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della
Repubblica, c’è infatti il senatore leghista Giacomo Stucchi. Per legge - art. 30 della Legge 124 del 2007 -,
l’Intelligence italiana deve rendere conto della propria attività al Comitato
di palazzo San Macuto. Partiamo dall'inizio: come nasce il Copasir? Nel
2007 è stata superata la Legge 801 del 1977, riguardante i Servizi segreti, ed
è stata approvata la 124, che disciplina il nuovo sistema del Comparto
Intelligence. Sono stati eliminati Sisde e Sismi, e create Aisi (Agenzia
informazioni sicurezza interna) e Aise (Agenzia informazioni e sicurezza
esterna), coordinate dal DIS, il Dipartimento delle informazioni per la
sicurezza. Il DIS svolge la stessa funzione del DNI statunitense, che però di
agenzie ne coordina sedici. Il Copasir è l'evoluzione del vecchio Copaco
(Comitato parlamentare di controllo), previsto dalla legge 801/77, ma con più
poteri. Numero elevato quello delle agenzie USA? Sì,
ma anche i Ranger fanno parte del loro sistema di Intelligence, perché
controllano una riserva strategica come l'acqua, che deve essere tutelata da
possibili inquinamenti ad opera di terroristi. Aisi e Aise cosa gestiscono? Le
due agenzie operano su obiettivi prioritari e strategici, indicati dal Governo.
Il Presidente del Consiglio (art. 3 della legge 124) può delegare le funzioni
che non sono ad esso attribuite in via esclusiva a un ministro senza
portafoglio o a un sottosegretario - denominati Autorit à Delegata. In questa
legislatura, tale compito delicato è affidato al senatore Marco Minniti. E'
l'Autorità delegata a trasmette al Comitato tutte le informazioni legate alle
attività del Comparto Intelligence, anche mediante specifiche relazioni, a
cadenza periodica. Inoltre informa il Copasir dei risultati raggiunti e - in
alcuni casi anche ad operazione in corso - spiega le attivazioni delle Agenzie
per fronteggiare le minacce asimmetriche che si pongono sullo scacchiere
internazionale come sul versante interno. Veniamo al ruolo del Copasir Ha
dieci componenti, cinque deputati e cinque senatori. Cinque devono essere di
maggioranza, cinque di opposizione. Per legge il comitato deve essere guidato
da un presidente di opposizione. Si tratta del ruolo più delicato, all'interno
del Parlamento, riservato all'opposizione. In situazioni particolari, al
presidente viene fornito un quadro completo di quanto accade, con informazioni
in tempo reale. Poi chi guida il Copasir informa i membri del Comitato. Un ruolo di peso Una
bella responsabilità. Il Copasir è l'unico organismo autorizzato a lavorare in
concomitanza con le sedute di Camera e Senato, anche se sono previste
votazioni. I temi che trattiamo sono così delicati che sarebbe impossibile fare
diversamente. Quali autorità incontrate? Nelle
audizioni, i massimi vertici della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di
Finanza, dell'Esercito, Procuratori generali, oltre che i direttori delle
Agenzie (AISE e AISI), il Direttore Generale del DIS, ministri facenti parte
del CISR e ad altri soggetti in possesso di informazioni utili per il nostro
lavoro. Affrontiamo tematiche legate alla sicurezza del Paese. Abbiamo una
necessaria 'regola d'ingaggio': non possiamo dire nulla di quanto di specifico
apprendiamo ed elaboriamo nel corso dei lavori del Copasir. Una buona parte
dell'attività della nostra Intelligence può essere resa pubblica, e viene resa
nota con una Relazione annuale sulla politica dell'informazione per la sicurezza,
pubblicata su www.sicurezzanazionale.gov.it, il sito del Comparto Intelligence. La Relazione è
anche uno strumento strategico per decodificare scenari fluidi e costruire
anticipazioni. Nella Relazione di quest'anno peraltro si sottolinea il
confronto e la collaborazione con il Copasir, spiegando che "Il
Comparto è coprotagonista nella feconda e armonica collaborazione con il
Copasir, di una straordinaria e sempre aperta pagina di democrazia parlamentare...".
Una
parte delle informazioni che raccogliamo, invece, rimane classificata per
ragioni di riservatezza e sicurezza nazionale. Si rendono noti i risultati del
lavoro, tenendo presente che spesso i successi dell'Intelligence sono quelli
che non possiamo raccontare e che 'non sono mai accaduti'. Il sistema è complesso? E'
una Intelligence che opera a protezione dei diritti e della libertà, oltre che
presidio di democrazia. Un Sistema che funziona ma necessita, come tutti gli
organismi, di controlli. Il nostro ruolo è delicato: il controllo democratico.
Verifichiamo che tutto ciò che fanno le Agenzie avvenga rispettando le regole
cui sono sottoposte, non solo le leggi ordinarie. Il rispetto della privacy,
innanzitutto. Purtroppo la storia dei Servizi, in Italia, è stata a volte
legata a vicende che si tingevano di grigio, ora la percezione è cambiata e dei
nostri 007 - uomini e donne dello Stato che lavorano per proteggere tutti - c'è
una nuova narrazione. E un indice di fiducia che l'Eurispes certifica a quota
64%. Fino a una manciata di anni fa - quando ancora c'era il 'mito'
dell'impermeabile e degli occhiali scuri - sarebbe stato impossibile pensarci. Con che frequenza si riunisce il Comitato? Abbiamo
fatto più di 200 riunioni in due anni e 10 mesi. Durano in media un paio d'ore.
Il precedente Comitato, presieduto prima da Francesco Rutelli e poi da Massimo
D'Alema, in cinque anni ha svolto 150 riunioni. Non è che loro non lavorassero,
semplicemente è cambiato il mondo. In che senso? Fino
al 2013 sul fronte estero, Daesh quasi non esisteva, c'erano solo i problemi
dei Paesi della primavera araba e poco altro. Non c'era il Datagate, esploso
nel giugno 2013, pochi giorni prima che ci insediassimo: è stato un altro duro
banco di prova, perché la tutela dei dati personali delle comunicazioni è un
nostro tema. Siamo stati a Washington, all'NSA, a Bruxelles, a Tallin, per
riunioni internazionali volte a fronteggiare unitariamente l'emergenza. Ci sono
differenze di vedute tra noi e gli Usa. Infatti in Italia il dato, cioè il
contenuto di una conversazione, e il metadato, cioè quando-dove-numero del
ricevente e del chiamante, sono tutelati allo stesso modo. Negli Stati Uniti i
metadati non sono tutelati. Oggi gran parte delle conversazioni passa da
Whatsapp, Facebook, Skype: i server sono americani, quindi applicano la loro
giurisdizione. Sono dati che servono a fronteggiare il terrorismo L'obiettivo
è questo. E la messa a terra del discorso è semplice: se voglio controllare
l'inquinamento di un fiume verificando se vi siano o meno bottiglie di plastica
nelle sue acque, lo devo fare senza disturbare i pesci. Dobbiamo darci delle
regole ma senza depotenziare la lotta al terrorismo. Per fare questo abbiamo
interlocuzioni continue con i soggetti che si occupano di queste materie,
comprese le società che in Italia operano nel campo delle telecomunicazioni.
Devono garantire di essere pronte a fronteggiare attacchi esterni: la rete
delle telecomunicazioni è un'infrastruttura critica e un suo mal funzionamento
potrebbe mandare in crisi il sistema Paese. Sono pericoli tangibili Per
questo vengono seguiti, con l'impiego di tante persone. Altre attività del Comitato? Teniamo
anche incontri internazionali, in cui ci confrontiamo con i Comitati omologhi
al nostro, soprattutto europei. Il confronto parlamentare è infatti quello che
consente, al di là della diplomazia ufficiale dei governi, di capire se il
proprio strumento di controllo funziona o meno. Oppure se altri Paesi hanno
strumenti più efficaci. Che poteri avete? Non
pochi. Esprimiamo pareri sui bilanci del Comparto Intelligence che, pur non
essendo vincolanti, vengono quasi sempre totalmente recepiti. In alcuni Paesi i
comitati ad esempio possono obbligare il governo a spostare risorse da un obiettivo
all'altro. Da noi non c'è questo strumento ma opera una sorta di moral suasion,
per cui se decidiamo che c'è qualcosa di fondamentale da aggiungere o da
cambiare sui documenti a noi sottoposti - non solo i bilanci - il governo ne
prende atto. Il Comitato dà anche tutta una serie di pareri che riguardano
l'interna corporis delle Agenzie. Ogni settimana analizziamo una quantità
rilevante di documenti. Il Presidente li riceve tutti e li mette a disposizione
dei componenti. C'è sempre collaborazione tra maggioranza e opposizione? Ad
oggi abbiamo approvato ogni atto all’unanimità. Hanno avuto disco verde tanti
testi, diversi, e su questioni molto dedicate. Un altro dei vantaggi del
Comitato è che, essendo le sedute segrete, non vi è spazio per la polemica
politica. I nostri verbali pubblici riportano solo orari di inizio e fine
riunione. E i contenuti sono secretati. Non è mai successo che trapelasse qualcosa? A
volte capita, ma solo per i titoli, non per i contenuti. In alcuni casi però,
soprattutto per faccende molto delicate - come recentemente per i due italiani
morti in Libia, per il caso Regeni o per operazioni in corso - si decide che
qualcosa debba essere riferito in maniera corretta ai media, raccontando il
frame di un evento o alcuni tag fondamentali, anche per evitare fantasiose
ricostruzioni che non servirebbero a nessuno. E spesso questo compito è
delegato al Presidente. Dopo i fatti del Bataclan, ad esempio, la scorso
13 novembre, il giorno successivo ci siamo riuniti d'urgenza. All'uscita dalla
riunione nei corridoio c'erano decine di giornalisti ad aspettarci: in quei
casi devi trovare il modo di rispondere, fino al massimo consentito. Non si può
lavorare di fogging. La prevenzione lì ha fallito. E da noi? Nel
nostro Paese c'è un Sistema che funziona bene. Molto è dovuto al lavoro svolto
a monte dall'Intelligence, ma molto anche dalle forze dell'ordine e dalle
procure. Il controllo del territorio è capillare e, ad oggi, non ci sono piani
di attacchi o progettualità ostili che possano essere indirizzati in maniera
specifica contro il nostro Paese. . Questo non vuol dire che vi sia una
situazione di sicurezza assoluta. Bisogna avere il coraggio di evidenziarla e
serrare sempre più le maglie della rete di una sicurezza partecipata. Le sfide sono
il terrorismo internazionale, la minaccia cyber ma anche gl attacchi alla
sicurezza economico-finanziaria. La dimensione sfidante dell'Intelligence è
cambiare le cose sul terreno. Guardare lungo, e in largo. Questo terrorismo, però, è profondamente diverso Ha
mutato pelle, ma il controllo del territorio resta decisivo. Del resto le
situazioni di disagio sociale vissute nei quartieri ultrapopolari che hanno
portato alcuni soggetti verso il terrorismo degli anni Settanta sono le stesse
che si vivono oggi nelle banlieu nostrane, dove covano le maggiori ostilità nei
confronti della cultura occidentale. Il problema è la perdita degli spazi
sociali, il disagio delle periferie. Per Bergamo, ad esempio, la realtà di
Zingonia risulta anche per questo problematica. A livello cittadino, ci potrebbero essere individui
pericolosi tra gli ultrà? Se
determinate tifoserie possano avere collegamenti con gruppi estremisti
politici, occorre capire quali e in che modo. A Bergamo questo problema non
c'è: parlo di situazioni che riguardano l’Intelligence, naturalmente, non a
fattori di ordine pubblico. Tornando al terrorismo, sapete chi sono i soggetti da
tenere d’occhio Si
sa chi sono i soggetti problematici ma finché non ci sono reati non si può
procedere. L'Intelligence agisce a monte, analizzando situazioni sospette, con
i metodi ammessi dalla legge. A valle, c'è il lavoro di procure e forze
dell'ordine. Che effetto fa essere a capo di un organismo di
controllo parlamentare sull'Intelligence?
Ho
possibilità di conoscere molto di quello che accade e posso accedere a tante
informazioni, attuali o legate alla storia repubblicana. Ma ho anche la
consapevolezza di un compito istituzionale che mi porta sempre a cercare il
meglio per il nostro Paese e i suoi interessi. Potreste anche essere ricattabili. E in qualche modo? E'
un rischio reale. Infatti dico sempre: "meno cose so, meglio è". Come
diceva Condor nel celebre romanzo. Ma purtroppo non posso non sapere... Mi
consolo con un detto di Sun Tzu: 'Investi su spie destinate a vivere'. Ma con
un sorriso. È un lavoro a tempo pieno, quello del presidente del
Copasir? Da
mattina a sera, e spesso anche nel fine settimana. Ma è bello stare nel campo,
'operativo' anch'io. Comunque una vita molto interessante, considerando tematiche,
viaggi e incontri. Quanto dura il mandato?
Fino
alla fine della legislatura, e di solito l'incarico non viene rinnovato. Si
vengono a conoscere già troppe cose in 5 anni. E il vincolo di riservatezza
vale non solo durante l'incarico, ma per tutta la vita. Ci porta dietro il
tunnel di dati che si è attraversato, ma soprattutto l'esperienza di aver
lavorato davvero al servizio dello Stato. Una donna potrebbe ricoprire questo ruolo, visto che
veniamo considerate delle chiacchierone? Perché
no? All'interno del comitato c'è Rosa Villecco Calipari, deputata Pd e collega
capace e competente. Chi nomina il Comitato? I
presidenti dei gruppi parlamentari danno i nominativi ai Presidenti di Camera e
Senato. Sono nomine spesso molto ambite,
nel mio caso però mi è stata chiesta la disponibilità da Maroni, visto
che già nel '99 ero stato componente del Copaco, ma ho accettato solo dopo
essermi consultato con Silvia (Lanzani, compagna di partito e nella vita, ndr
), perché un ruolo del genere incide anche sulla vita privata. Siete a disposizione 24 ore su 24? Sì.
Ricordo ad esempio che dopo pochi giorni dalla nomina sono stato chiamato un
sabato mattina, molto presto, perché dovevano comunicarmi un'informazione
riservata. Lo fecero per telefono, utilizzando le procedure del caso. A
proposito di tutela delle comunicazioni, le racconto un aneddoto. Quando sono
stato nominato, ho detto scherzando a un amico dei 'Servizi segreti':
"Adesso però basta controllarmi il telefono". Lui si è messo a ridere
e mi ha risposto: "Noi non lo faremo, ma ci sarà almeno una dozzina di
Servizi di Paesi stranieri che da oggi in poi lo faranno". Qualche novità che vuole segnalare, riguardo
all’Intelligence? I
roadshow fatti dai Servizi nelle università italiane. Sono stati finora 24, da
Nord a Sud del Paese. Ci hanno messo la faccia, raccontando chi sono e cosa
fanno. Una volta l'arruolamento avveniva soltanto con i transiti dalla Pubblica
Amministrazione, quasi sempre comparto Difesa e Sicurezza. Oggi, oltre al bacino
'tradizionale, all'Intelligence servono esperti di informatica, matematica,
lingue rare. Quindi è importante il contributo che possono dare questi nuove
energie e menti, di cui gli atenei sono ricchi. È la prima volta che
l'Intelligence lo fa e sono stati finora 'arruolati' 30 giovani, i migliori
dalle università italiane. Un esperimento che ha portato 'sangue fresco' alle
Agenzie ma soprattutto ha contribuito ad allungare il campo di competenze e
passione. Nodi attivi di una rete nuova. Dopo la formazione alla Scuola del
Comparto -il campus dell'Intelligence nazionale - entreranno in attività,
portando il loro contributo. Cosa pensa la gente della nostra Intelligence? C'è molta stima. Uscendo da ragionamenti abbastanza accomodati, è
cambiato l'algoritmo: si è passati dalla cultura della segretezza alla cultura
della sicurezza. I Servizi lavorano per difendere la gente; sono composti da
uomini e donne che, per proteggere gli interesse del Paese o aiutare cittadini
in difficoltà, a volte mettono a repentaglio la propria stessa vita. Quando
leggo di connazionali sprovveduti, che si recano in zone pericolose, penso a
questo. Da un anno però se una persona compie un viaggio in un Paese a rischio
finendo nei guai, e i familiari chiedono l'aiuto dello Stato al termine della
vicenda, giustamente, lo Stato richiede il rimborso delle spese sostenute per
risolvere la vicenda. Responsabilità è una parola-valigia che non
dovremmo mai dimenticare.
Iscriviti a:
Post (Atom)