sabato 24 aprile 2010

IL GIORNALE - 24/04/10 - LEGA, BOSSI TUONA: "COSI' IL GOVERNO CROLLA SUBITO IL FEDERALISMO O CI SEPARIAMO"

Il Senatùr attacca Fini: "Ha esagerato, dice bugie. A Montecitorio è un problema". Poi frena: "Farò il mediatore". "Ma senza riforme meglio le elezioni anticipate". Riunione blindata in via Bellerio. Il "giallo" del messaggio al giornale la Padania. La Russa: "Tutta la verità su Gianfranco"


Prima il botto pirotecnico, poi la correzione di tiro, non una rettifica ma quasi. Quel che rimane dopo la lunga giornata di Umberto Bossi, iniziata con un faccia a faccia con Berlusconi e poi via in volo a Milano per un vertice ristretto in via Bellerio, non è però, come sembrava minacciare l’intervista del leader leghista alla Padania, una possibile (e clamorosa) rottura col Pdl. Tutt’altro, l’alleanza - filtra nel pomeriggio dal quartier generale leghista - non sarebbe in discussione, ma dopo l’attacco di Fini alla Lega e al suo dogma politico (il federalismo), serviva un messaggio forte per la pancia dell’elettorato padano. E il messaggio c’è stato: «Siamo di fronte a un crollo verticale del governo e probabilmente della fine di un’alleanza, quella tra Pdl e Lega - spara Bossi nella conversazione col direttore del quotidiano leghista Leonardo Boriani -. Fini ha rinnegato il patto iniziale, ha lavorato per la sinistra come un vecchio gattopardo democristiano. È palesemente contro il popolo del Nord, a favore di quello meridionale. Berlusconi avrebbe dovuto sbatterlo fuori subito».Poi la parte più sorprendente dell’intervista, la più difficile da decifrare: «Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una stagione nuova, un nuovo cammino del popolo padano. Saremo soli, senza Berlusconi. La gente non digerirà facilmente la mancata conquista del federalismo e noi, Lega, dovremo comportarci di conseguenza». E dunque? Un ritorno alla Lega secessionista del ’97? Qual è il «cammino solitario» che Bossi ha in mente? Un chiarimento, anche se molto parziale, arriva dopo qualche ora dallo stesso Bossi, che torna a vestire i panni del paciere. All’Ansa Bossi spiega che la Lega non vuole «gettare benzina sul fuoco», e che lui è «per la mediazione». «Ma la gente del nord, i leghisti, sono arrabbiatissimi, non ne possono più di sceneggiate, rinvii, tentennamenti... Noi vogliamo fare le riforme, i miei vogliono le riforme, la gente è stufa». Come sottofondo costante ci sono le urne, la possibilità di un voto anticipato, che la Lega tiene come extrema ratio nel caso le cose si mettessero male, ma che certo non esclude. «Senza riforme bisogna andare alle elezioni anticipate» dice Bossi in serata. «Il governo va avanti ugualmente nonostante i propositi bellicosi di Fini. Ma Fini ha esagerato, ha raccontato delle bugie» e dovrebbe dimettersi «se è un uomo d’onore». Perché «come presidente della Camera è un problema».Insomma, la sparata mattutina di Bossi come atto dovuto verso il popolo della Lega, ma anche come avvertimento (forse in parte concordato col Cavaliere) per far capire ai potenziali parlamentari pro-Fini che non c’è spazio per una maggioranza traballante e litigiosa e che lo scranno non è un diritto naturale. Una tipica mossa bossiana, che alza spericolatamente il tiro e poi rapidamente lo riabbassa, e che in effetti qualcosa l’ha già portato a casa: la rassicurazione da parte del premier sul federalismo. «La Lega è un alleato fedele, ma Fini sta tirando troppo la corda e noi vogliamo garanzie sulle riforme» conferma il deputato del Carroccio Giacomo Stucchi. «Bossi teme che Fini imponga una serie di voti segreti che possano nascondere insidie. Come è già successo sull’immigrazione», spiega Flavio Tosi, sindaco di Verona. Sulla linea di moderazione e attendismo si muovono gli altri fedeli di Bossi, che ieri orbitavano attorno a via Bellerio. «È vero, c’è preoccupazione nel nostro elettorato perché questa vicenda ha distolto l’attenzione dalle riforme - spiega Marco Reguzzoni, vicepresidente dei deputati leghisti -. La Lega però non entra in un problema che è del Pdl e che devono risolvere loro. A noi interessano le riforme. Una rottura? La escluderei, perché il Pdl è rappresentato da Berlusconi, non certo da Fini». Anche il presidente del Veneto Luca Zaia insiste sul leitmotiv: «Tutta questa vicenda ha solo come effetto negativo quello di rallentare le riforme. Sono preoccupato».Intanto prende piede un nuovo grande slogan leghista, che già risuona nelle onde di Radio Padania, affidabile indice dell’umore padano (in questo momento, sull’«incazzato» andante): il partito del Sud, il partito del non-cambiamento e dei privilegi che si oppone alla riforma federale dello Stato. Dentro ci sono Fini, come primus inter pares, ma poi anche l’Udc, i centristi di Rutelli, forse i veltroniani, i famosi poteri forti, e insomma lo spettro del «democristianume» da Prima repubblica che cerca di ostacolare il cammino del Carroccio.Dunque la Lega riconferma la sua fedeltà a Berlusconi, come garante del processo riformatore, ma lascia capire che se starà a guardare non lo farà passivamente. Rimane l’incognita di quel passaggio formulato da Bossi, quel cammino solitario della Lega «senza Berlusconi», con un progetto differente dal federalismo, affossato - ipotesi ancora solo futuribile - dalle lotte intestine del Pdl. Una nuova Lega, con una nuova mission, che per ora rimane un oggetto misterioso. Come minaccia, invece, insieme a quella delle urne, è chiarissima.

giovedì 22 aprile 2010

IL GIORNALE - 22/04/10 -IL CARROCCIO TEME PER IL FEDERALISMO: LA PACE E’ ARMATA

Le mosse degli alleati
La Lega sta al balcone, ma se per adesso è pace, è pace armata. Gli uomini di Bossi stanno scrutando gli avvenimenti in casa Pdl con un misto di apprensione e malcelata soddisfazione. Apprensione perché ogni sussulto nell’alleato si riverbera sul Carroccio in quel che è più essenziale per il mandato leghista: portare a casa il federalismo. Sotterranea soddisfazione perché ogni crepa nel Pdl rafforza (per contrasto) l’immagine della Lega come partito monoblocco e privo di tensioni interne. La linea prevalente, ma non ufficiale, punta alla riconciliazione nel Pdl, ma con una postilla di calibro molto pesante: se la situazione resta confusa, e non c’è in accordo vero, meglio votare. È quello che dice una nota diffusa ieri, verosimilmente dal partito, mentre i vertici del Carroccio tacciono: la Lega ritiene che quando non si trovano soluzioni accettabili a dei contrasto all’interno di una coalizione “la cosa migliore da fare è quella di rivolgersi al popolo sovrano”, perché “a fare le spese di un conflitto magari a bassa intensità ma permanente” dentro il Pdl, sarebbero proprio le riforme, vale a dire la mission elettorale leghista. E che il caso Fini tocchi un nervo scoperto della Lega è evidente anche dai titolo della Padania, uno dei pochi spiragli accessibili per decriptare le prossime mosse del Carroccio, ieri, per dire, il giornale della Lega apriva con un titolo che suona come un chiaro avvertimento ai “disturbatori”: “Vogliamo parlare di riforme”, l’apertura della Padania, sottotitolo: “A non si è mai visto che una maggioranza che ha vinto tre elezioni consecutive non proceda compatta a realizzare il programma voluto dai cittadini”. “Sembra dividere un incubo da una decina di giorni – scrive nell’editoriale il direttore Leonardo Boriani -. Tutto ristagna, tutto bloccato. Sembra di essere tornati nelle paludi della Prima Repubblica. Ci piacerebbe tanto ritornare a parlare solo di riforme”. Intanto sul piano diplomatico la Lega mantiene un ruolo di “mediatore unilaterale”, solo con il Cavaliere, a cui Bossi e i suoi ambasciatori Calderoli, Maroni e Rosy Mauro stanno consigliando cautela. Le dichiarazioni del ministro della Semplificazione, al termine dell’ultimo incontro a Palazzo Grazioli, vanno in questa direzione: “In questo momento la discussione è all’interno del Pdl. Noi siamo alleati fedeli, attendiamo il loro chiarimento interno, auspicando che immediatamente dopo il chiarimento si parta per la stagione delle riforme”. Se la mediazione è “unilaterale” non è perché la Lega rifiuti un dialogo con Fini, ma perché – fanno capire i leghisti – il segnale dovrebbe arrivare dal presidente della Camera. Per un motivo semplice: ”E’ lui che ha espresso dei problemi nei nostri rigusrdi. E lo ha fatto con Berlusconi, non direttamente con noi – spiega il deputato lombardo Giacomo Stucchi -. Invece sarebbe opportuno che, attraverso un incontro ufficiale con la Lega, chiarisse i motivi delle sue recriminazioni. Facendolo lui in persona, senza portavoce”. Un imminente faccia a faccia Bossi – Fini? “Potrebbe essere, magari nei prossimi giorni, ma dipende da Fini”, spiega il deputato del Carroccio. La minaccia bossiana di elezioni potrebbe essere solo un avvertimento, ma Bossi è pronto all’azione, perché da un accordo a ribasso la Lega avrebbe solo da perdere. Anche perché, come raccontano nell’entourage del Senatùr, ogni parola dei finiani è percepita come una diretta provocazione alla Lega. Sugli immigrati, sul Sud, sulle istanze liberal e laiche, il nodo della questione Fini riporta sempre alla Lega. E tre anni così, fatti di sgambetti e ostruzionismi, sarebbero uno stillicidio che il Carroccio non intende sopportare. Paolo Bracalini

sabato 17 aprile 2010

IL FOGLIO - 17/04/10 - TESSITORI PADANI

Che cosa aspettano i pontieri leghisti per tentare di ricucire la frattura tra Fini e il Cav.

Milano. Stiamo a guardare. Per cercare di vincere la partita. In Via Bellerio ieri l’atmosfera era quella di attesa. Divertita per chi si compiace di essere sempre al centrocampo, all’attacco o in difesa non importa, a condizionare l’agenda politica (e gli scontri) nel governo. Inquieta per chi, più prudentemente, ritiene che la Lega, abbia bisogno di stabilità per completare l’iter delle riforme. Certo, la Lega continua ad affermare attraverso la Padania che governa chi vince, ma il fuoco aperto da Fini potrebbe essere qualcosa di più di una commedia del presidente della Camera. In Via Bellerio ieri nessuno era capace di prevedere le mosse del capo, Umberto Bossi, che però a Roma ha detto una frase da molti ritenuta inequivocabile: “ Se le cose non si rimettono a posto, si va alle elezioni”. Che tradotto vuol dire: vinciamo noi anche quando potremmo perdere. Eppure fino a qualche ora prima della dichiarazione di Bossi, le previsioni, o meglio le supposizioni che facevano leghisti e legologhi, erano al contrario basate su un unico, semplice, ragionamento: se il Pdl, dopo la minaccia di Fini, si sfascia e si va alle elezioni, perdono tutti. A cominciare dalla Lega che ha fretta di portare a casa il federalismo. E per questo motivo ci si aspettava semmai che il Carroccio mandasse avanti qualche pontiere, ma Bossi ha parlato e i suoi colonnelli per ora tacciono. Tace Roberto Maroni. E tace per il momento anche Roberto Calderoli che, secondo alcune indiscrezioni raccolte dal Foglio, ha infastidito il capo con il suo eccessivo protagonismo, non sempre concordato, pare, con Bossi. Apparentemente però i leghisti considerano che la partita sia tutta interna al Pdl e il tentativo di Gianfranco Fini di arginare il brand B&B Berlusconi e Bossi, non possa danneggiarli perché se si andasse a elezioni, questo è il ragionamento che si fa in zona Bellerio, il voto premierebbe ancora di più la Lega che avanza laddove il Pdl dimostra la sua fragilità. E magari riuscirebbe addirittura a segnare quel goal che non è riuscita a mandare in rete alle elezioni regionali: il pareggio con il Pdl in Lombardia. Sparate propagandistiche a parte, Bossi farà di tutto perché non si consumi la rottura. E non reciterà la parte di Ponzio Pilato. Come spiega al Foglio Giacomo Stucchi, bergamasco, parlamentare di lungo corso della Lega, sa bene quali siano i canali di dialogo fra il Carroccio e Fini. “La Lega ha bisogno di stabilità, ovvio, ma la contrapposizione Fini – Berlusconi danneggerà solo il presidente della Camera, che sta facendo lo stesso errore di Casini”, ha detto al Foglio. “A Montecitorio vedo molti di quelli che avevano il nome di Fini tatuato sul braccio, incerti, smarriti, pronti a fare un passo indietro. E poi non ha i numeri: anche se si allea con Casini e con Rutelli, non avrebbe mai posti sufficienti da dare a chi gli rimane fedele. Se si torna a votare, l’iter della legge sul federalismo verrà prorogato, ma ormai la road map delle riforme è delineata. Mi sembra che il colpo di coda di Fini sia stato maldestro e poco consapevole”. Certo, se Roberto Cota non fosse tornato sul territorio, come dicono i leghisti ogni volta che tornano nelle loro regioni di provenienza, a guidare il Piemonte, lui sarebbe l’uomo adatto a fare da pontiere fra Fini e Berlusconi. Visto che il neogovernatore, in qualità di capogruppo, del Carroccio a Montecitorio, ha sempre avuto un filo diretto (e anche una simpatia ricambiata) verso Gianfranco Fini, ma ieri Roberto Cota ha formato la sua giunta e, impegnato nel suo nuovo ruolo, anche lui tace. “Per il momento stiamo a guardare come se la cavano”, conclude Stucchi. Intanto Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, parla di una crisi istituzionale e politica seria, mentre i dietrologi sostengono che Bossi abbia tirato la corda per fare un favore a Berlusconi che vuole liberarsi di Fini. È presto per immaginare scenari certi, ma secondo i leghisti vincerà comunque il modello padano perché nessuno in questo momento ha la forza di proporre e a affermare un’alternativa alla diarchia B&B.

venerdì 16 aprile 2010

CORRIERE DELLA SERA - 16/04/10 - APERTURA ALLA LEGA. SI' DA CISL E UIL. CGIL: SONO RAZZISTI

Come diceva Deng Xiaoping, non conta il colore del gatto, l’importante è che prenda il topo. La lega, secondo il leader della Cisl lombarda, Gigi Petteni, sta dimostrando di saper cacciare il topo chiamato “crisi”. E le politiche sugli immigrati? “Il fatto di lavorare insieme su un problema non impedisce di dissentire su altre questioni”, chiarisce Petteni. Ma che ne dicono gli altri sindacati? “La Lega è un interlocutore credibile e necessario. Mi auguro che anche i lumbard abbiano lo stesso atteggiamento verso di noi”, va dritto al punto Walter Galbusera, segretario generale della Uil lombarda, dopo l’intervista di Petteni sul Corriere. Qualche dubbio serpeggia anche nella Cisl. “Nessuno della Lega mi ha mai telefonato per propormi un’iniziativa da fare insieme – dice Danilo Galvagni, a capo della Cisl milanese -. Gli altri, invece, sì”. Pdl compreso? “Certo, Pdl compreso”. Dal canto loro i leghisti fanno qualche distinguo. “Certo che il sindacato è un interlocutore per noi della Lega. Purchè si tratti di un sindacato moderno. Non schiavo di vecchi ideologismi”, divide il grano dal loglio il deputato della Lega, Giacomo Stucchi. I maggiori dubbi sulla credibilità della Lega vengono dalla Cgil. “Non condivido il giudizio secondo cui la Lega sarebbe attenta ai problemi dei lavoratori e delle lavoratrici – taglia corto Nino Baseotto, segretario generale della Cgil lombarda -. Se il paragone è con le forze politiche del centrodestra può anche darsi, ma questo non dà conto di contraddizioni clamorose, come l’atteggiamento xenofobo, le politiche discriminatorie abilmente spacciate come contrasto all’illegalità e le risposte spesso brutali ai problemi della povertà”. Onorio Rosati, segretario della Camera del Lavoro di Milano, va oltre. E si chiede se la presa di posizione di Petteni anticipi un “preoccupante cambiamento” della linea della Cisl lombarda sui temi sociali. Dialogo impossibile, quindi, tra Lega e sindacato rosso? “Non direi. Sul territorio sono tanti i sindacati Cgil con cui esiste una buona sintonia, checché ne dicano i dirigenti della confederazione – chiude il discorso Giacomo Stucchi -. Quando parlo di sindacato vecchio non mi riferisco a una confederazione. Ma a un modo di fare rappresentanza. Rita Querzè

venerdì 9 aprile 2010

PANORAMA - 09/04/10 - SINDACATO: LA TRIPLICE SI COLORA DI VERDE

“Sono iscritto alla Cisl, ma soprattutto alla Lega. Il sindacato qui in Fiat lo usiamo solo per fare il 730”. Operaio alle lastrature, consigliere comunale del Carroccio a Scalenghe (Torino), Giancarlo Balbo spiega come la Lega sia ormai penetrata nei sindacati tradizionali. E si stia sostituendo a quella che veniva considerata la cinghia di trasmissione dei partiti della Prima repubblica. “Non solo siamo nella Cisl, ma anche nella Uil e nella Cgil” dice il segretario torinese del Carroccio Stefano Allasia. È delegato della Uil e leghista Adriano Furlan, dipendente dell’Aniat (nettezza urbana) a Torino. Spiega: “noi della Uil abbiamo fatto campagna elettorale per la Lega, ma anche nella Cgil ci sono iscritti del Carroccio, non vengono allo scoperto perché temono purghe staliniane”. Ammette però di aver votato per un delegato Cgil Enrico Scagliotti, operaio dell’Avio, che a Torino è consigliere di circoscrizione della Lega. Nelle valli bergamasche la Cisl, che conta 120 mila iscritti, è diventata ormai bianco verde. Lo stesso segretario generale della Cisl lombardia, Gigi Petteni, alle elezioni politiche del 2008 riconobbe che il deputato bergamasco del Carroccio Giacomo Stucchi meritava di essere votato. Petteni puntualizza: “non c’è contraddizione tra l’iscrizione al sindacato e alla Lega, così come ad altri partiti. Ma i partiti che hanno visto il Carroccio come un fenomeno folcloristico hanno sempre perso consensi”. La Lega nel Veneto dilaga anche nel sindacato autonomo. Il segretario veneziano del Carroccio Corrado Callegari ha piazzato nel nuovo consiglio comunale di Venezia il segretario dei metalmeccanici della Cisal Gabriele Bazzaro. La Lega sfonda anche nelle organizzazioni di categoria e imprenditoriali, coop rosse comprese, nell’Emilia – Romagna sempre più verde, per opera di Angelo Alessandri, presidente federale del Carroccio. Il responsabile del settore soci della Coop – service, colosso del mondo cooperativo emiliano, Massimo Salsi, l’anno scorso si candidò per la Lega come consigliere comunale a Reggio Emilia, dopo un passato da Pci – Pds – Ds. Guido Molinari, presidente della Copra (ristorazione), è stato consigliere provinciale a Piacenza per la Lega. (Paola Sacchi)

IL GIORNALE - 09/04/10 - IL PARLAMENTO ASSOLVE FARINA: NON ERA UNA SPIA

Renato Farina non è una spia. Non è un agente del Sismi ma «una fonte» nell’ambito di «quelle che possono definirsi legittime e talvolta meritorie attività di collaborazione con i servizi segreti». Non ha fabbricato dossier falsi. Non ha calunniato. Non ha attentato alle istituzioni repubblicane. Lo afferma il Parlamento italiano attraverso un giurì (chiesto dallo stesso Farina) che ieri a Montecitorio ha reso note le conclusioni dei suoi lavori.Un po’ di onore dal giurì per Farina, che era stato apostrofato alla Camera dal deputato democratico Massimo Vannucci a proposito della sua vicenda giudiziaria e dei passati rapporti con il Sismi. Lo spunto era stato un articolo di Farina apparso sul Giornale del 9 dicembre scorso dedicato all’«opposizione di falsi e invalidi» in cui è saltata fuori la parola «pirla» riferibile ad alcuni politici del centrosinistra. Epiteto che ieri è riecheggiato nel silenzio dell’aula almeno una decina di volte per bocca di Rocco Buttiglione, presidente della Commissione che ha sbrogliato la contesa. Ma Vannucci non si era limitato a chiosare l’articolo di giornale: aveva rinfacciato al collega del Pdl di essere l’«agente Betulla», di avere informato i servizi segreti, costruito e pubblicato dossier falsi, di aver attentato alle istituzioni democratiche italiane.Un armamentario di accuse al quale Farina ha reagito: «Parole gratuitamente offensive e gratuitamente diffamatorie» in quanto danno «per scontato fatti non veri». Era già successo un anno fa, e allora Farina «per inesperienza» non aveva reagito. Questa volta ha chiesto tutela al presidente della Camera. A norma di regolamento, Fini ha nominato una Commissione d’indagine, un giurì presieduto da Buttiglione (Udc e vicepresidente della Camera) e composto dai segretari di presidenza Giacomo Stucchi (Lega) e Angelo Salvatore Lombardo (Mpa). Sul loro tavolo è finito il corposo dossier dei rapporti tra Farina e i servizi, le intercettazioni, la controversia con l’Ordine dei giornalisti, il patteggiamento davanti al tribunale di Milano per favoreggiamento.È finita soprattutto una lunga deposizione giurata del generale Nicolò Pollari, ex numero uno dei servizi segreti militari, che scagiona il giornalista da ogni addebito: «Farina, su invito dell’autorità politica competente, dinanzi a problematiche drammatiche in cui erano coinvolti cittadini italiani sequestrati in scenari di guerra, ha accettato di fornire un contributo utile alla soluzione di questi casi, mettendosi disinteressatamente a disposizione di quell’autorità ed esponendosi anche a gravi rischi». Dunque fu il governo a chiedere a Farina di contribuire alla liberazione degli ostaggi in Irak «con le sue conoscenze». «Nessun coinvolgimento né alcuna equivoca concezione della professione giornalistica».Per Pollari «Farina non è mai stato collaboratore del Sismi, non è l’agente Betulla» e le sue ammissioni davanti ai magistrati «sono state alimentate dall’esigenza di non compromettere una benemerita attività segreta e di attenuare conseguenze processuali non coerenti con la realtà dei fatti. Non ha mai ricevuto alcun compenso dal Sismi: le evidenze documentali a lui contestate non riflettono erogazioni a lui dirette. La sua collaborazione ha contribuito alla liberazione di sequestrati in teatri di guerra e sono convinto che questa attività espone ancora a rischi per l’incolumità sua e della sua famiglia». Su queste basi, il giurì presieduto da Buttiglione (con una relazione di cui ieri l’aula ha preso atto senza dibattere né votare) ha valutato che Farina fu determinante per la salvezza degli ostaggi, non ha creato falsi dossier né attentato alle istituzioni. Si è invece prestato a «legittime e talvolta meritorie attività di collaborazione con i servizi segreti, svolte sotto copertura da chiunque possegga informazioni utili». E ha scritto i suoi articoli «nella sua qualità professionale di giornalista e nell’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito qual è la libertà di manifestazione del pensiero».