sabato 26 marzo 2016

IL MATTINO - 26/03/16 - "I DOCUMENTI DI GIULIO ERANO INTATTI. AL SISI VUOLE PRENDERCI PER I FONDELLI

Giulio Regeni sarebbe stato rapito, torturato e ucciso da una gang di trucidi masnadieri che avrebbe voluto usare il giovane ricercatore come merce di scambio per un'estorsione, ma poi si sarebbe improvvisamente risolta all'omicidio perche il ragazzo si era mostrato renitente all'iniziativa L'ultima delle verità ormai fabbricate in serie dai vertici del Cairo, getta sull'indecorosa pantomima allestita in Egitto, la luce accecante dell'insulto. Al Sisi e i suoi reggicoda sono evidentementeconvinti che noi italiani portiamo l'anello al naso. Siamo stanchi di essere presi per i fondelli, l'Italia merita rispetto , tuona il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi. Perche dei predoni avrebbero dovuto trasformarsi in torturatori, se lo scopo era sequestrare Regeniper chiedere un riscatto? ≪E una ricostruzione talmente inverosimile che e del tutto inutile cercare di rilevarne le illogicita. Ne il Copasir ne gli italiani sono disposti a continuare ad accettare simili tentativi di raggiro che ormai l'Egitto porta sistematicamente avanti nell'illusione di intorbidare le acque. Al Sisi sappia che nessuno qui e disposto ad accettare verità di comodo. Se pensano di prenderci per i fondelli, hanno sbagliato indirizzo. Qui l'anello al naso non lo porta nessuno da tempo". Ha avuto modo di confrontarsi con il nostro procuratore inviato al Cairo? Che cosa ne pensa Giuseppe Pignatone di questa nuova verità? La notizia è fresca e non abbiamo ancora avuto modo di soppesarla nel dettaglio. Ne approfondiremo le incongruenze e i particolari inverosimili non appena il procuratore riuscirà ad acquisire nuovi elementi". Al Sisi aveva promesso pochi giorni fa che l'Egitto avrebbe fatto luce sulla morte di Giulio. Perche questa nuova piroetta? "Assumere degli impegni in nome della verità, per poi sperare che qualcuno si beva l'ennesimo tentativo di depistare le indagini sulla morte del ricercatore è offensivo e inaccettabile. E 'ora che i nostri ministri, Gentiloni in testa, cambino registro e chiedano più rispetto per il nostro paese. Bisogna pretendere la verità. E' stato promesso. Siamo stati insultati a sufficienza". Il Cairo sostiene che il portafoglio di Giulio Regeni era in una sacca di pelle ritrovata in un appartamento che ospitava i membri della banda. L'improvvisa riapparizione dei documenti dovrebbe far riflettere, non crede? Basti notare lo stato di conservazione dei documenti. Giulio Regeni è stato malmenato, torturato, sottoposto a violenze, eppure sono perfettamenti intonsi. Neppure una goccia di sandue o una piccola increspatura. Immacolati. La loro apparizione in circostanze misteriose non fa che accrescere e rinsaldare le nostre perplessità: inducono il fondato sospetto che le autorità egiziane sanno benissimo come sono davvero andate le cose, ma non vogliono farcelo sapere". Che senso ha inviare i nostri magistrati al Cairo per prendere parte alle idagini, se poi la fabbrica l'ennesima verità di comodo? Cè l'intenzione di far saltare il tavolo? " "Sono soltanto due le opzioni possibili: o si dà la carta bianca ai nostri inquirenti, garantendo loro pieno accesso agli atti e la possibilità di acquisire ulteriori elementi, oppure non lo si fa e si traggono le conseguenze. O si collabora, oppure no". E se non si collabora, quali strumenti ha l' Italia per arrivare alla verità? La vera verita puo essere raggiunta soltanto con un costante lavoro diplomatico in grado di convincere l'Egitto a indulgere a più miti consigli". In ballo ci sono notevoli interessi economici. "Renzi è stato il primo a sdoganare al Sisi. Nessuno deve neppure pensare che la vita di un giovane italiano valga meno di una commessa". Come sono andate le cose secondo il Copasir, alla luce degli elementi in vostro possesso? Non c'è convincimento unanime, perchè ancora troppi elementi mancano all'appello per poter formulare giudizi circonstanziati. Tutti noi naturalmente conveniamo che l'intelligence non c'entri nulla in questa storia. E siamo tutti d'accordo sul fatto che la verità, nonostante le promesse di piena collaborazione del Cairo, è ancora lontana. Per il resto ciascuno di noi si è potuto formare in materia un'opinione differente: la mia è che Regeni stesse conducendo ricerche piuttosto ingombranti che hanno infastidito qualcuno".

giovedì 24 marzo 2016

IL SOLE 24 ORE - 24/03/16 - INTELLIGENCE IRACHENA: ANCHE IN ITALIA ELEMENTI DELLA CELLULA DI PARIGI

Sono sparsi tra Germania, Gran Bretagna, Italia, Danimarca e Svezia gli elementi della cellula dell'Isis che ha «compiuto gli attacchi di Parigi» che fa parte dell'esercito di 400 jihadisti che lo Stato islamico ha inviato in Europa per compiere attacchi. Lo rivela all'Ap «un alto responsabile dell'intelligence irachena» che afferma che recentemente «un nuovo gruppo» è arrivato nel Continente dalla Turchia. Sul fronte della sicurezza interna arriva oggi dall’Aisi (Agenzia informazione per la sicurezza interna) la conferma che il livello di rischio per attacchi terroristici in Italia è «significativo, è dunque necessario tenere alta la guardia, sapendo che i possibili obiettivi sono innumerevoli». Lo ha riferito il presidente del Copasir Giacomo Stucchi, al termine dell'audizione del direttore dell'Aisi, Arturo Esposito, dedicata all'analisi dedicata all'analisi del livello di sicurezza del Paese dopo gli attentati di Bruxelles. I jihadisti, ha osservato Stucchi, «cercano il gesto eclatante con un alto numero di vittime in modo da avere maggiore risonanza». Non c'è comunque, ha sottolineato, «alcun riscontro su cellule terroristiche nel nostro Paese, ma ciò non vuol dire che non si possano strutturare o che non ci sia la progettualità di costituirle». Inoltre, ha aggiunto, «non c'è alcun segnale che ci porti a dire che c'è un passaggio dalla possibilità alla probabilità che qualcosa accada in Italia». Negli ultimi tempi, ha rilevato il presidente del Copasir, «c'è stato un aumento delle segnalazioni alla nostra intelligence da parte di servizi collegati e, per fortuna, tantissime si sono rivelate infondate». A fronte di quanto successo a Bruxelles, ha aggiunto Stucchi, «c'è comunque una razionale preoccupazione: come si è visto da quanto accaduto in Francia ed in Belgio i potenziali obiettivi possono essere tantissimi, dai 'soft target' ai luoghi presidiati». Terrorismo: Stucchi, nessun riscontro su cellule in Italia Riguardo al sistema di cellule terroristiche anche in Italia, «non ci sono elementi di riscontro, ma questo non vuol dire che non si possano strutturare o non possa esserci la progettualità di costruirle» ha detto il presidente del Copasir al termine dell'audizione del direttore dell'Aisi. Stucchi sottolinea che «esiste una razionale preoccupazione. Le segnalazioni che arrivano dai servizi esteri vengono analizzate con estrema attenzione - assicura Stucchi - ma, per fortuna, dopo attenta verifica molte di esse si rilevano infondate. Segnalazioni che sono comunque in aumento». In Belgio incapacità imbarazzante «Non è possibile prevenire tutto. Chi comunica un messaggio diverso dicendo che è tutto sotto controllo e non accadrà nulla illude le persone» ha spiegato Stucchi. «C'è una nota del direttore del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, l'Ambasciatore Giampiero Massolo, che mette in evidenza alcune problematiche e fa un'analisi sulla possibilità, non la certezza, che ci siano cellule terroristiche strutturate anche nel nostro Paese. C'è una preoccupazione reale e si lavora» ha chiarito Stucchi per rendere inerti queste cellule. Sulla gestione della sicurezza e delle indagini in Belgio restano forti i dubbi. Intervenendo ad Agorà (RaiTre) ha sottolineato che «in Belgio hanno palesato una serie di incapacità imbarazzanti perché - ha sottolineato il presidente del Copasir - a fronte di situazioni che si sono ripetute nei mesi scorsi, non si è stati in grado di porre in essere una politica di sicurezza che portasse a risultati concreti». Gravissimo poi che «non si è stati in grado di capire che l'arresto di Salah avrebbe portato a un'accelerazione. E, quando non si riesce a fare questa semplice analisi - ha spiegato Stucchi - vuol dire che ci sono dei limiti che vanno assolutamente superati perché sono importantissimi per tutta la sicurezza internazionale». Il Dipartimento di Stato americano ha emesso un “travel warning”, invitando i cittadini americani a non viaggiare verso e attraverso l’Europa ma questo, ha commentato Stucchi, è stato uno «sbaglio perché fanno passare un messaggio che non è assolutamente quello reale. È vero che facendo così mettono le mani avanti e di fronte a possibili attentati in Europa possono sempre dire “lo avevamo detto” ma non è un modo serio di affrontare la questione».

mercoledì 23 marzo 2016

AFFARI ITALIANI - 23/03/16 - STUCCHI (COPASIR): IL AVTICANO SUSCITA ATTRATTIVITA' PER I TERRORISTI

C'erano state avvisaglie nei giorni scorsi che facevano pensare agli attacchi terroristici di oggi a Bruxelles? "Sì, c'erano delle informazioni, riportate anche dai media, uscite dopo la cattura di Salah che andavano nella direzione di possibili nuovi attentati a Bruxelles, che vi era una pianificazione in quel senso e purtroppo oggi ve ne è stata la concretizzazione".


Hanno fallito l'intelligence, i servizi e la polizia del Belgio? "Qualcosa non ha certamente funzionato. Ritengo che in Belgio la situazione legata alla tutela complessiva della sicurezza pubblica debba essere profondamente rivista, anche perché purtroppo, non solo in questa occasione drammatica, ma anche in altre nei mesi passati, sono stati palesati dei limiti gravi ". Pensa che quanto accaduto possa essere una, tra virgolette, 'vendetta' per l'arresto di Salah? "Questa è una lettura, un'altra, forse più realistica, è che l'arresto possa aver contribuito ad una accelerazione di piani che però erano già in essere e quindi non tanto una vendetta attuata per il suo arresto ma un'accelerazione di un qualcosa che già si voleva fare". In Belgio potrebbero esserci altri attacchi?
"Sicuramente oggi il Belgio e la Francia sono due paesi molti esposti, ma purtroppo è esposta tutta la comunità occidentale e non solo loro. Belgio e Francia hanno più problemi di altri anche per ragioni storiche e di composizione della propria popolazione". Servirebbe un'intelligence europea? "Sulla questione del terrorismo, essendo un target comune, delicato, importantissimo e fondamentale per tutti, sicuramente serve uno sharing di informazioni completo e assoluto. Su altre questioni ogni paese deve giocare la propria partita, penso all'intelligence economica e finanziaria, perché gli interessi in ballo sono diversi, ma sulla sicurezza non si possono giocare partite diverse". Tra i migranti che arrivano con i barconi o dalla rotta balcanica, nonostante l'accordo Turchia-Ue, è possibile che arrivino terroristi o fiancheggiatori dei terroristi? "Non si può escludere nulla, nel senso che fino a poco tempo fa ipotizzare che si potessero utilizzare i barconi per trasportare dei terroristi strutturati era sicuramente poco realistico, oggi al contrario, non è più così. Magari non saranno terroristi strutturati e formati ma soggetti che non abbiano buone intenzioni nei nostri confronti, potrebbero anche arrivare utilizzando questi mezzi. Ed è per questo motivo che è necessario un lavoro davvero a 360 gradi e h24 di intelligence a monte e forze dell'ordine a valle". Per quanto riguarda il nostro Paese, alla luce di quanto accaduto a Bruxelles, ci sono segnali di preoccupazione visto che è i corso anche il Giubileo? "Oggi è in corso il Comitato Nazionale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica e a quanto mi risulta ci saranno altre riunioni anche nel corso delle prossime ore e delle prossime giornate, anche perché si avvicina la Pasqua che è un altra ricorrenza delicata del nostro calendario. Dire che sia tutto tranquillo e che non accadrà sicuramente nulla é sbagliato tanto quanto affermare che sicuramente ci sarà un attentato. Ci deve essere una giusta preoccupazione che però non ci deve immobilizzare e non ci deve impedire di fare la nostra vita quotidiana con un po' più di attenzione rispetto a prima". Ma segnali particolari sull'Italia non ce ne sono..."Segnali particolari su tutte le comunità occidentali ce ne sono, un obiettivo o un target specifico che possa essere una città piuttosto che un'altra o un luogo preciso questo no. Tutto ciò che rappresenta un valore e un punto di riferimento della cultura occidentale, a prescindere dal fatto che abbia una caratterizzazione religiosa o meno, che può essere nel mirino". E' vero, come sostiene qualcuno, che l'Italia è meno in pericolo perché abbiamo il Vaticano? "Me lo auguro, ma ci credo poco. Non ne son convinto. E' un elemento che suscita un'attrattività aggiuntiva per i terroristi islamici, anche se non è detto che sia fondamentale o determinante. Fino ad oggi in Occidente non hanno mai colpito luoghi simbolo del religione cattolica". Si aspetta che il governo Renzi investa di più nell'intelligence? "Credo che il governo debba mettere più risorse, oltre a utilizzare tutti quelle già a disposizione, per l'intelligence e per il comparto sicurezza. L'intelligence da sola può fare tanto ma non può fare tutto, le forze dell'ordine da sole idem. Queste ultime poi con l'organico, i mezzi e le attrezzature di cui oggi dispongono fanno parecchio, dei piccoli miracoli, ma devono essere messe al più presto nella condizione di lavorare al meglio attribuendo loro le risorse necessarie per difendere la nostra sicurezza".

sabato 5 marzo 2016

IL MESSAGGERO - 05/03/16 - LIBIA, RENZI "I DUE TECNICI STANNO RIENTRANDO IN QUESTE ORE IN ITALIA"

I due tecnici italiani rapiti in Libia e liberati ieri, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, «stanno rientrando in Italia in queste ore». Lo scrive sulla e-news agli iscritti del Pd il premier Matteo Renzi. Da quel che si appreso a metà pomeriggio un gruppo di funzionari italiani è arrivato a Sirte per prendere in consegna i due tecnici. Il rientro in Italia all'aeroporto militare di Pratica di Mare è previsto in serata. Intanto sulla vicenda interviene il Copasir. «La verità è ancora in fase di accertamento. Non posso anticipare nulla anche per rispettare il lavoro che gli inviati del Ros stanno facendo sul campo per capire la dinamica degli eventi. Ho già detto che tutto sarà ricostruito, ma voglio sottolineare che la ridda di voci che si è scatenata subito dopo la liberazione dei nostri connazionali non è un grande contributo all'accertamento della verità»: così il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, in una intervista al giornale telematico specializzato Fly Orbit News. Riguardo a un intervento armato, Stucchi ha precisato: «Non a caso ho parlato di una missione militare di robusto peace-enforcement, ovvero un'attività posta in essere dalle forze internazionali per determinare una cessazione delle ostilità tra le milizie in conflitto. Noi possiamo addestrare le forze locali, proteggere gli stabilimenti che ci interessano, possiamo andare a fare ogni cosa, ma senza una pacificazione tra le forze che si combattono tra loro sarà molto difficile far uscire la Libia dall'attuale caos. Ho l'impressione che dire che bisogna muoversi solo dopo l'autorizzazione delle autorità libiche sia un modo come un altro per dire che non ci si muoverà mai» ha sottolineato il senatore. «Dire che un nostro coinvolgimento in Libia non comporti dei rischi sarebbe come nascondersi dietro a un dito, ma non è nemmeno automatico il fatto che gli stessi pericoli possano essere scongiurati solo perche» ci limitiamo a non intervenire« ha concluso.

FLY ORBIT NEWS - 05/03/16 - TUTTE LE INCERTEZZE DEL CAOS LIBICO – L’INTERVISTA al Presidente del Copasir Giacomo Stucchi

Ieri Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, i due operai della Bonatti rapiti il 20 luglio 2015 nella zona di Mellitah, a 60 chilometri da Tripoli, insieme a Salvatore Failla e Fausto Piano, uccisi in uno scontro a fuoco tra fazioni rivali, sono stati liberati. Sulla dinamica degli eventi non c’è ancora certezza, come ancora non è chiaro se il rapimento potrà avere conseguenze sul ruolo dell’Italia in un eventuale conflitto armato. Sempre ieri, infatti, l’Ambasciatore americano a John Phillips ha detto al Corriere della Sera che «l’Italia potrà fornire fino a circa cinquemila militari» in caso di guerra in Libia. Solo poche settimane fa, inoltre, il nostro paese ha concesso agli Stati Uniti l’autorizzazione per missioni con droni armati contro i combattenti dell’ISIS in territorio libico. Rimane però il nodo della questione interna del Paese nordafricano: dovranno essere i libici a chiedere l’intervento o ormai non c’è più tempo da perdere? Il senatore leghista Giacomo Stucchi è dal 2013 Presidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica): con lui abbiamo cercato di capire qualcosa in più di quello che è accaduto, sta accadendo e potrebbe accadere in Libia. Due italiani uccisi e due liberati. Sulla dinamiche degli eventi non c’è ancora chiarezza. Cosa sappiamo di certo? La verità è ancora in fase di accertamento. Non posso anticipare nulla anche per rispettare il lavoro che gli inviati del Ros stanno facendo sul campo per capire la dinamica degli eventi. Ho già detto che tutto sarà ricostruito ma mi lasci sottolineare come la ridda di voci che si è scatenata subito dopo la liberazione dei nostri connazionali non è un grande contributo all’accertamento della verità. Lei ha parlato oggi di un possibile intervento armato in Libia. Recentemente il governo ha approvato una legge, subito segretata, che autorizza il Consiglio dei Ministri a far partire operazioni di intelligence. Sono sufficienti secondo lei per contrastare l’avanzata dell’ISIS in Libia? Cosa si intende per contrastare l’avanzata dell’Isis in Libia? Dire cosa sia sufficiente e cosa non lo sia non significa nulla se non si chiarisce prima cosa si va a fare in Libia. Non a caso ho parlato di una missione militare di robusto ‘Peace-enforcement‘, ovvero un’attività posta in essere dalle forze internazionali per determinare una cessazione delle ostilità tra le milizie in conflitto. Noi possiamo addestrare le forze locali, proteggere gli stabilimenti che ci interessano, possiamo andare a fare ogni cosa, ma senza una pacificazione tra le forze che si combattono tra loro sarà molto difficile far uscire la Libia dall’attuale caos. In molti, e sembra anche la posizione del governo, hanno affermato che niente si può fare senza l’autorizzazione delle autorità libiche. Lei non è delle stessa idea. Non c’è però il rischio così di compiere un atto troppo al di là del quadro internazionale e, in sostanza, gli errori del passato? Ho l’impressione che dire che bisogna muoversi solo dopo l’autorizzazione delle autorità libiche sia un modo come un altro per dire che non ci si muoverà mai. Nel senso che la costituzione di un governo libico di unità nazionale sembra più un auspicio che una concreta possibilità, almeno nell’immediato. Nessuno brama dalla voglia di mandare nostri uomini in uno scenario complicato, pericoloso e quanto mai incerto qual è quello libico, ma bisogna guardare a ciò che è meglio per la nostra sicurezza nazionale; tenendo anche conto, naturalmente, della vicinanza della Libia alle nostre coste e della possibile evoluzione degli scenari. Un maggiore coinvolgimento dell’Italia potrebbe causare un aumento del rischio di possibili attentati nel nostro paese? I servizi stanno agendo già in questa prospettiva? Dire che un nostro coinvolgimento in Libia non comporti dei rischi sarebbe come nascondersi dietro a un dito, ma non è nemmeno automatico il fatto che gli stessi pericoli possano essere scongiurati solo perché ci limitiamo a non intervenire.

venerdì 4 marzo 2016

CORRIERE TV - 04/03/16 - LIBIA, STUCCHI (LEGA) "INTERVENTO ALTRIMENTI SI PERDE TEMPO".

«Come movimento politico della Lega Nord sosteniamo da tempo la necessità di un intervento in Libia. Aspettare che possa esserci un accordo sul governo di unità nazionale, sperando che questo avvenga ogni volta di settimana in settimana perché il Parlamento di Tobruk rinvia continuamente la decisione, secondo noi significa perdere tempo". Lo ha detto Giacomo Stucchi, presidente del Copasir e senatore della Lega Nord, intervenendo ad Agorà (RaiTre).  

RAI NEWS 24 - 04/03/16 - LIBIA, LA STAMPA: "LIBERATI I DUE TECNICI IN OSTAGGIO".

Stucchi a Rainews24: "La notizia è arrivata anche a me" Appena diffusa la notizia il Presidente del Copasir, Giacomo Stucchi l'ha commentata in diretta su Rainews24. "E' arrivata anche a me la notizia della liberazione dei due ostaggi italiani ma devo ancora confermarla con l'intelligence", ha detto Stucchi, e ha poi aggiunto: "Avevanmo sempre detto che l'importante era riportarli a casa vivi".

giovedì 3 marzo 2016

TGCOM 24 - 03/03/16 - LIBIA, UCCISI DUE ITALIANI RAPITI

Due italiani sono stati uccisi in Libia, presso Sabrata. Lo rende noto la Farnesina. Si tratta di Fausto Piano e Salvatore Failla, due dei quattro nostri connazionali, dipendenti della "bonatti" rapiti nel luglio 2015. Durante un trasferimento, forze di sicurezza libiche avrebbero attaccato il convoglio sul quale si trovavano uccidendo tutti i passeggeri. Testimoni riferiscono che i due italiani sono stati trovati con le armi in pugno. Copasir: "Alta probabilità siano loro" - Non essendo disponibili i corpi, recuperati dai miliziani, non è stato possibile effettuare un riconoscimento. Tuttavia secondo il Copasir, si tratta di Failla e Piano: "Diciamo che c'è un'alta probabilità, in base a un riconoscimento fatto utilizzando delle tecniche fotografiche, che possano essere effettivamente i due soggetti di cui si è parlato", ha detto il presidente del comitato parlamentare, Giacomo Stucchi, al termine dell'audizione del sottosegretario Minniti. Testimone: "Italiani forse usati come scudi umani" - Un testimone libico, rientrato a Tunisi da Sabrata, ha riferito che i due ostaggi italiani "sono stati usati come scudi umani" dagli jihadisti dell'Isis, e sarebbero morti "negli scontri" con le milizie. Non è ancora chiaro cosa sia successo. Nell'attacco sarebbero morti almeno sette presunti jihadisti, la maggior parte di nazionalità tunisina. Negli scontri, inoltre, una donna ha perso la vita e un bambino è rimasto ferito. Il capo del 'Sabratha Media Center', Esam Krair, citato dall'Associated Press, sostiene invece che i corpi dei due italiani sarebbero stati trovati con delle armi in pugno. Krair ha raccontato che le milizie locali che combattono l'Isis hanno attaccato due mezzi dello Stato Islamico a circa 35 km a sud di Sabrata, uccidendo i nove che viaggiavano a bordo dei veicoli. I corpi dei due italiani, secondo la sua versione, sarebbero stati trovati successivamente con delle armi in mano. In un primo momento i miliziani hanno pensato che i due fossero siriani a causa della carnagione chiara perché gli altri che erano nel convoglio erano di origine nordafricana e sub-sahariana. Sabrata liberata da milizie anti-Isis - Sabrata, a ovest di Tripoli, è stata di recente liberata dalle milizie dell'Isis, a parte qualche ridotta tasca di resistenza ancora attiva, dai membri di una formazione armata collegata al gruppo Fajr Libya, "Alba libica". 007: "Italiani a lungo nelle mani delle milizie, non dell'Isis" - Secondo informazioni filtrate pochi giorni fa, i quattro operai della Bonatti si trovavano nelle mani delle milizie, non dell'Isis. Lo si apprende da fonti di intelligence. Gino Tullicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla erano stati rapiti il 20 luglio 2015 mentre rientravano dalla Tunisia nella zona di Mellitah, a 60 km di Tripoli, nei pressi del compound della Mellitah Oil Gas Company, il principale socio dell'Eni. L'intelligence italiana aveva accreditato quasi subito l'ipotesi che i nostri connazionali fossero stati sequestrati da una delle tante milizie della galassia criminale che imperversa nel Paese. Un sequestro a scopo di estorsione, dunque, opera di criminali "comuni". La preoccupazione, quindi, è stata sin da subito di scongiurare che venissero ceduti, in blocco o peggio ancora singolarmente, ad uno o più gruppi legati all'Isis, ormai infiltrato in diverse aree della Libia e molto interessato a gestire i sequestri, anche per i notevoli risvolti mediatici. Chi sono i miliziani di Fajr Libya - Secondo una delle ipotesi accreditate nei mesi scorsi da fonti militari libiche, i quattro italiani sarebbero finiti nelle mani di gruppi vicini ai miliziani di Fajr Libya, la fazione islamista che ha imposto un governo parallelo a Tripoli che si oppone a quello di Tobruk, l'unico riconosciuto a livello internazionale. Secondo questa ricostruzione, i miliziani avrebbero proposto uno scambio: i nostri connazionali con sette libici detenuti in Italia e accusati di traffico di migranti. Richiesta di riscatto - Nei mesi scorsi è circolata, senza conferme, la voce che i rapitori avessero contattato le famiglie degli ostaggi chiedendo alcune condizioni per la loro liberazione.

CORRIERE TV - 03/03/16 - LIBIA, STUCCHI: LAVORIAMO PER PORTARE A CASA VIVI GLI ALTRI DUE

Lavoriamo per portarli a casa vivi». Lo ha detto il presidente del Copasir Giacomo Stucchi al termine dell'audizione del sottosegretario Marco Minniti, riferendosi a Filippo Calcagno e Gino Pollicardo, gli altri due tecnici della Bonatti, ancora ostaggi in Libia. Giovedì gli altri due colleghi, Salvatore Failla e Fausto Piano, sono morti nel corso di uno scontro a fuoco.

martedì 1 marzo 2016

AFFARI ITALIANI - 01/03/16 - Stucchi (Copasir): l'Egitto sta offendendo la memoria di Giulio

ESCLUSIVO - Il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, intervistato a tutto campo da Affaritaliani.it sul caso Regeni. "Se il presidente egiziano al-Sisi vuole rimanere un amico dell'Italia deve consegnare ai nostri investigatori presenti in loco tutte le informazioni, dati e materiali in possesso delle autorità giudiziarie egiziane". Quali sono le ultime informazioni in possesso del Copasir sul caso della morte di Giulio Regeni? "Le informazioni ricevute fino ad ora dalle autorità egiziane non sono affatto esaustive e l'Egitto deve ancora dimostrare una volontà vera di collaborazione completa con l'Italia. Quello che serve, e chiedo scusa per il gioco di parole, è far emergere la verità vera e non ricostruzioni talmente irrealistiche da fare arrabbiare chi le ascolta e da offendere la memoria di Giulio Regeni". La Procura del Cairo oggi ha detto che Regeni è stato torturato più volte per sette giorni. Le risulta? "Non ho elementi per dire che questa notizia - una tortura durata sette drammatici giorni - corrisponda alla verità. E' evidente però come il Regeni abbia subito delle violenze pesantissime e per un tempo prolungato, basta vedere in che condizioni era il corpo, ma circa la durata delle stesse, lo ripeto, non disponiamo di informazioni certe". Ma le autorità egiziane quindi non stanno collaborando in pieno con l'Italia..."Le autorità egiziane devono collaborare veramente e devono mettere a disposizione tutte le informazioni in loro possesso senza cercare di coprire responsabilità". Regeni forse aveva visto qualcosa che non doveva vedere? "No, semplicemente aveva scritto dei report che erano pubblici, quindi documenti fruibili da tutti, perché erano sul Web, e che rappresentavano la realtà che vedeva con i suoi occhi. Ciò che scriveva poteva anche risultare scomodo a che qualcuno non voleva far conoscere certe situazioni, ma uno degli obiettivi fondamentali della libertà di stampa far consocere quello che accade. Un paese civile e democratico deve garantire che ciò si possa fare liberamente". Qualcuno ha ipotizzato che sia una manovra per incrinare i rapporti Italia-Egitto vista la recente scoperta di un importante giacimento da parte dell'Eni proprio in Egitto? "Sul discorso dell'Eni andrei molto cauto. Parliamo di una scoperta, quella del giacimento, che ha già parecchi mesi alle spalle visto che risale all'anno scorso. Non vedo alcun motivo per dar credito a questo tipo di dietrologia. Più che altro se il presidente egiziano al-Sisi vuole rimanere un amico dell'Italia deve consegnare ai nostri investigatori presenti in loco tutte le informazioni, dati e materiali in possesso delle autorità giudiziarie egiziane". Ma secondo lei chi è stato a uccidere Regeni? "Non sono abituato a rispondere a domande così puntuali e dirette se non dispongo di dati certi. E fare ipotesi è veramente molto arduo. Comunque, a prescindere da chi ha compiuto il sequestro e ha usato violenza fino ad ucciderlo, i responsabili veri devono essere trovati e puniti rapidamente". Qualcuno ha anche ipotizzato che Regeni fosse un collaboratore dei servizi segreti..."Non era assolutamente inserito nell'organico dell'intelligence e non era né una fonte né un informatore. Nulla di tutto questo. Non aveva rapporti con i servizi, di nessun tipo".