sabato 5 marzo 2016

FLY ORBIT NEWS - 05/03/16 - TUTTE LE INCERTEZZE DEL CAOS LIBICO – L’INTERVISTA al Presidente del Copasir Giacomo Stucchi

Ieri Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, i due operai della Bonatti rapiti il 20 luglio 2015 nella zona di Mellitah, a 60 chilometri da Tripoli, insieme a Salvatore Failla e Fausto Piano, uccisi in uno scontro a fuoco tra fazioni rivali, sono stati liberati. Sulla dinamica degli eventi non c’è ancora certezza, come ancora non è chiaro se il rapimento potrà avere conseguenze sul ruolo dell’Italia in un eventuale conflitto armato. Sempre ieri, infatti, l’Ambasciatore americano a John Phillips ha detto al Corriere della Sera che «l’Italia potrà fornire fino a circa cinquemila militari» in caso di guerra in Libia. Solo poche settimane fa, inoltre, il nostro paese ha concesso agli Stati Uniti l’autorizzazione per missioni con droni armati contro i combattenti dell’ISIS in territorio libico. Rimane però il nodo della questione interna del Paese nordafricano: dovranno essere i libici a chiedere l’intervento o ormai non c’è più tempo da perdere? Il senatore leghista Giacomo Stucchi è dal 2013 Presidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica): con lui abbiamo cercato di capire qualcosa in più di quello che è accaduto, sta accadendo e potrebbe accadere in Libia. Due italiani uccisi e due liberati. Sulla dinamiche degli eventi non c’è ancora chiarezza. Cosa sappiamo di certo? La verità è ancora in fase di accertamento. Non posso anticipare nulla anche per rispettare il lavoro che gli inviati del Ros stanno facendo sul campo per capire la dinamica degli eventi. Ho già detto che tutto sarà ricostruito ma mi lasci sottolineare come la ridda di voci che si è scatenata subito dopo la liberazione dei nostri connazionali non è un grande contributo all’accertamento della verità. Lei ha parlato oggi di un possibile intervento armato in Libia. Recentemente il governo ha approvato una legge, subito segretata, che autorizza il Consiglio dei Ministri a far partire operazioni di intelligence. Sono sufficienti secondo lei per contrastare l’avanzata dell’ISIS in Libia? Cosa si intende per contrastare l’avanzata dell’Isis in Libia? Dire cosa sia sufficiente e cosa non lo sia non significa nulla se non si chiarisce prima cosa si va a fare in Libia. Non a caso ho parlato di una missione militare di robusto ‘Peace-enforcement‘, ovvero un’attività posta in essere dalle forze internazionali per determinare una cessazione delle ostilità tra le milizie in conflitto. Noi possiamo addestrare le forze locali, proteggere gli stabilimenti che ci interessano, possiamo andare a fare ogni cosa, ma senza una pacificazione tra le forze che si combattono tra loro sarà molto difficile far uscire la Libia dall’attuale caos. In molti, e sembra anche la posizione del governo, hanno affermato che niente si può fare senza l’autorizzazione delle autorità libiche. Lei non è delle stessa idea. Non c’è però il rischio così di compiere un atto troppo al di là del quadro internazionale e, in sostanza, gli errori del passato? Ho l’impressione che dire che bisogna muoversi solo dopo l’autorizzazione delle autorità libiche sia un modo come un altro per dire che non ci si muoverà mai. Nel senso che la costituzione di un governo libico di unità nazionale sembra più un auspicio che una concreta possibilità, almeno nell’immediato. Nessuno brama dalla voglia di mandare nostri uomini in uno scenario complicato, pericoloso e quanto mai incerto qual è quello libico, ma bisogna guardare a ciò che è meglio per la nostra sicurezza nazionale; tenendo anche conto, naturalmente, della vicinanza della Libia alle nostre coste e della possibile evoluzione degli scenari. Un maggiore coinvolgimento dell’Italia potrebbe causare un aumento del rischio di possibili attentati nel nostro paese? I servizi stanno agendo già in questa prospettiva? Dire che un nostro coinvolgimento in Libia non comporti dei rischi sarebbe come nascondersi dietro a un dito, ma non è nemmeno automatico il fatto che gli stessi pericoli possano essere scongiurati solo perché ci limitiamo a non intervenire.

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