martedì 29 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 29/03/11 - PD-LEGA, PROVE PER UNA RIFORMA COSTITUZIONALE

Dalle due sponde opposte, del Pd e della Lega, il dialogo continua. Nonostante i malumori in ciascuno dei due partiti, nonostante i rischi che perfino i dialoganti vedono, il "nuovo asse" va avanti. C'è chi vede il primo seme in quell'intervista che Pierluigi Bersani rilasciò al quotidiano La Padania, anche se la vera svolta è stata l'astensione del Pd sul federalismo regionale. E ora? Ora, appunto, il dialogo non si ferma a dispetto di chi tra i Democratici e nel Carroccio continua a guardare di trasverso quest'alleanza contro natura. L'obiettivo strategico di tanto sforzo bipartisan è diviso in due fasi: la prima è completare un federalismo fiscale che – se va bene – verrà applicato dai prossimi tre fino ai prossimi sette anni e, dunque, non si sa se a gestirlo sarà il centro-destra o il centro-sinistra. «Parliamo con il Pd perché non vogliamo che si smonti un'altra volta – come fu per la dovolution – una riforma che è la nostra mission», risponde Giacomo Stucchi deputato leghista, numero uno nella potente provincia di Bergamo e molto vicino a Calderoli-Maroni. Ma questa è – appunto – la prima tappa. Perché il traguardo finale che i dialoganti si sono posti è la riforma costituzionale. E, cioè, il Senato delle regioni, la riduzione del numero dei parlamentari, la ridefinizione del bicameralismo. Nel Pd chi tesse e ha tessuto la tela con il Carroccio è stato soprattutto Enrico Letta che, non a caso, nel suo appuntamento annuale dello scorso week end – Nord Camp – ha ospitato il ministro Roberto Calderoli. Le sue aperture, vista anche la freddezza di un pezzo del suo partito, hanno una premessa necessaria. «Il paletto – chiarisce Letta – è che in nessun modo questo dialogo prelude a un'alleanza politica». Nel Pd i più critici verso il Senatur sono senz'altro Rosy Bindi e Dario Franceschini ma a mettere una parola chiara è stato Bersani nella direzione di ieri: «Siamo alternativi a Bossi». Insomma, esclusi gli atti politici impuri, si va avanti. «Con la Lega c'è una relazione che non è scabrosa nè pericolosa ma che è invece positiva: andare verso una riforma istituzionale complessiva. Bossi e i suoi – spiega Letta – hanno capito che sul federalismo il Pd è una forza autonomista e soprattutto è un partito che con i suoi amministratori governa mezza Italia. Non si può prescindere da noi». Le riflessioni del vicesegretario guardano soprattutto al futuro di un Pd di governo e non solo di opposizione. «A un Pd riformista conviene portare risultati in vista del momento in cui governeremo. E il federalismo fiscale senza il Senato delle regioni non può funzionare». Dunque, si fa rotta verso la revisione della Carta. In casa leghista quell'astensione del Pd è stata vissuta proprio come una prima mossa verso un traguardo strategico complessivo. «Dopo il federalismo fiscale c'è il funzionamento delle regole istituzionali del Paese, altrimenti è un disegno a metà. Noi abbiamo interesse ad aprire una discussione sulle regole e a fare le modifiche insieme al Pd». Così parlava un distensivo Giacomo Stucchi che insiste: «Conviene anche al Pd misurarsi sulla riforma: ormai è chiaro che per un anno non ci saranno elezioni». Come al solito i conti si fanno sempre con Silvio Berlusconi perché molti dei malumori in casa Pd sono dovuti proprio a lui. Ma Letta è ottimista: «Ho l'impressione che nel 2013 non ci sarà più né il premier né il Pdl mentre la Lega ci sarà. La freddezza nel Pd? Nel voto sull'astensione siamo stati compatti». Dall'altra parte, nel Carroccio, il rapporto con il premier non è in discussione «ma vogliamo distinguere il piano del governo da quello istituzionale», spiega Stucchi. Il punto è che il traguardo di una riforma istituzionale, se davvero la Lega lo porterà a casa, finirà per proiettarla su uno scenario meno padano e più italiano. Un approdo a cui già si lavora. Non è un caso che Stucchi ci risponda dalla Toscana dove, per conto di Bossi, è "commissario" in vista delle amministrative.

domenica 20 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 20/03/11 - "NON SI PUO' DIRE NO A TUTTO I PROFUGHI VANNO AIUTATI"

LAMPEDUSA. Dal nostro inviato Senatrice Maraventano direbbe ancora "Iu sugnu leghista!", come lei stessa si apostrofò al suo debutto in politica con la Lega Nord?L'ho detto e lo ridico. Aggiungo, semmai non fosse chiaro, che io sono nata leghista. Angela Maraventano è il deputato leghista più a Sud d'Europa. Lampedusana purosangue, la sua carriera ha inizio quando indignata per la morte di un cinquantenne isolano per infarto (nel poliambulatorio di Lampedusa mancava persino il defibrillatore), scrive a una decina di deputati di ogni schieramento politico per denunciare lo stato di degrado in cui versa l'unica struttura sanitaria dell'isola. L'unico a risponderle è il deputato leghista bergamasco Giacomo Stucchi, che una settimana dopo vola a Lampedusa per capire di persona che cosa sia successo. Eletta senatrice in un collegio dell'Emilia Romagna, ora si trova nella scomoda posizione di chi deve convincere i lampedusani ad accogliere i migranti tunisini "per motivi umanitari".Senatrice, come ha reagito due giorni fa mentre i suoi compaesani impedivano alle cinque motovedette cariche di tunisini di attraccare al molo?È stata un'esperienza scioccante. Tra loro c'erano cinquanta ragazzini che una volta scesi a terra nessuno voleva ospitare. Guardandoli negli occhi mi sono commossa.Nel 2009 però la pensava in modo diverso.Due anni fa presi di petto i trafficanti di carne umana che lucravano sugli spostamenti degli immigrati. Proposi ai lampedusani di trasferire il Centro di accoglienza alla base Loran della Nato, a parecchi chilometri dal cuore dell'isola. Ma loro mi presero a male parole. Io non mi arrendo: questa è un'emergenza umanitaria, il Nordafrica è attraversato da guerre e rivoluzioni. Il governo farà la sua parte, me lo ha promesso il ministro Maroni in persona.Lei cosa ha chiesto all'esecutivo?Qui serve tutto. Si dovrebbero costruire scuole nuove e istituire una zona franca. Ma non voglio strumentalizzare l'invasione dei maghrebini per avere delle cose che ci spettano di diritto. Non si possono far morire i lampedusani per aiutare i tunisini. E allo stesso tempo non si possono non prestare i primi soccorsi ai migranti.Quindi?Quindi gli isolani si devono decidere: non possono dire di no a tutto. Il capo dell'opposizione in consiglio comunale sostiene che toccherebbe a lei sfamare i nordafricani nel ristorante di sua proprietà, magari attingendo dallo stipendio di parlamentare.Aizzare la gente contro di me è una scelta che si commenta da sola. Questi sono momenti tragici. Oggi più che mai, rivendico lo slogan con il quale mi candidai alle Politiche del 2008: Lampedusa libera, Padania libera.

venerdì 18 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 18/03/11 - LA LEGA IN ORDINE SPARSO

ROMA Una celebrazione a metà, con ministri e sottosegretari presenti a Montecitorio – cinque in tutto – ma con le assenze in massa dei parlamentari. In realtà, in Aula i deputati padani erano due, Stefano Allasia – «scelto perchè sono piemontese» – e Sebastiano Fogliato (probabile sottosegretario all'Agricoltura nel rimpasto): 2 su 85. Una mossa studiata ad arte per restare nel solco della propaganda leghista anti-unitaria ma anche per rispettare un protocollo istituzionale oggi indispensabile per il Carroccio. E non solo perchè Roberto Maroni è il ministro dell'Interno – e la sua assenza sarebbe stata uno strappo senza precedenti – ma perchè il partito di Umberto Bossi non vuole compromettere il rapporto con il Quirinale. La ragione vera di quella presenza ieri, sia pure ai ranghi ridotti della squadra di governo leghista, ha questo significato: mantenere buone e distese relazioni con Giorgio Napolitano. Non è un caso se Umberto Bossi, presente alle celebrazioni di Montecitorio, abbia tenuto a sottolineare il «bel discorso» del presidente della Repubblica aggiungendo che «lui è una garanzia». Meno accorto è stato quando ha parlato di Silvio Berlusconi e dei fischi che ha ricevuto il premier nelle celebrazioni della mattinata a Roma: «Peggio per lui».Stesso spartito per Roberto Maroni che nel suo commento serale ha parlato solo e unicamente del capo dello Stato e del suo «apprezzamento per il discorso del presidente che «nella ricostruzione del Risorgimento non ha omesso il riferimento alle spinte federaliste». Certo, al Carroccio interessava piegare il discorso di Napolitano tutto sul versante delle autonomie locali e della loro importanza, come si è affrettato a dire Maroni, ma il Quirinale è un interlocutore politico troppo prezioso per la Lega per far calare il gelo. Questa è la sostanza che il Carroccio ha voluto proteggere, il resto è la consueta e prevedibile propaganda padana. Fatta di mancati applausi all'inno – anche a Montecitorio – dello snobismo verso le coccarde che il Senatur dice di usare «sull'albero di Natale» mentre sfoggiava il simbolo di San Patrizio. Già perchè la Lega preferisce la festa irlandese ma questo è ancora folklore.Ma insomma quelle assenze parlamentari erano per farsi notare di più? «Ma no, molti parlamentari sono sindaci o presidenti di provincia, sono amministratori locali e quindi avevano la necessità di essere nei territori più che a Roma. Forse qualcuno ha sottovalutato la nostra esigenza di essere nei luoghi». A parlare è Giacomo Stucchi, deputato di Bergamo – provincia molto influente nella geopolitica leghista – e probabile prossimo capogruppo leghista alla Camera. Anche lui sminuisce ma chiarisce che «dai capigruppo Reguzzoni e Bricolo è stata lasciata una partecipazione libera» e, dunque, nessuno si è presentato. Chiaro che invece è stata una scelta concertata, come accade per tutte quelle che riguardano la Lega, e che l'unico segnale che andava dato era verso Napolitano.

mercoledì 16 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 16/03/11 - IL QUORUM INCUBO DEI DEMOCRATICI

ROMA Il quorum continua a essere l'incubo dei Democratici. Anche se la tragedia del Giappone ha cambiato le carte in tavola sull'appoggio dei referendum, non tutti nel partito sono convinti che sia necessario accelerare. E non tutti pensano che sia opportuno mettersi alla testa di un movimento referendario che rappresenti, in sostanza, un messaggio politico anti-Cavaliere. Ieri Pierluigi Bersani ha spinto il Pd – quasi – sulle barricate annunciando che il Pd farà campagna per i quesiti, che il governo sbaglia sul nucleare e che – per questa ragione – in Parlamento è stata presentata una mozione per l'election day. Però nella segreteria – che c'è stata nella mattinata di ieri – la linea è stata più cauta. «La nostra non deve essere una campagna per dare una spallata a Silvio Berlusconi. Non dobbiamo dare l'idea che esista un'altra ora X in cui sarà possibile far cadere il premier. Questo sarebbe pericoloso perché, in assenza di quorum, rischieremmo un boomerang». Le parole sono di Enrico Letta che riflette sui rischi di esporre il partito a una prova assai difficile come è quella referendaria che da anni non riesce a centrare l'obiettivo del superamento del quorum. Certo, in questi giorni la tensione emotiva sul nucleare è molto forte per quello che sta accadendo in Giappone e, quindi, il no al nucleare potrebbe trascinare i cittadini alle urne e superare la barriera del 50% anche sugli altri due quesiti, acqua pubblica e legittimo impedimento. «Ma non possiamo ragionare sull'oggi», ribatte Letta ricordando che «mancano tre mesi al 12 giugno, data dei referendum, e che tre mesi fa pensavamo di poter dare la spallata al premier attraverso Gianfranco Fini». Dunque, serve cautela. Soprattutto per chi come Enrico Letta, da ex ministro dell'Industria, ha posizioni "laiche" sia sull'acqua pubblica che sul nucleare. Che i mesi in politica siano ere geologiche lo fa notare soprattutto Pierluigi Castagnetti che non vuole «sciacallaggi politici sulla tragedia che stanno vivendo i giapponesi». E comunque anche l'ex popolare del Pd ritiene che sarà determinante quello che accadrà lì. «In ogni caso mi pare che il quorum resti difficile da raggiungere a meno che il mondo non dovrà fare i conti con una tragedia davvero epocale, che non mi auguro». Soprattutto, Castagnetti ritiene che sarà il governo, in primo luogo, a fare marcia indietro. «Non credo che le posizioni resteranno quelle di oggi se Tokyo subirà una catastrofe nucleare. Penso che sarà Berlusconi, per primo, a cancellare il piano del nucleare per l'Italia». L'opinione di Castagnetti trova già conferme. Basta girarsi e guardare dalla parte della Lega. Già ieri Luca Zaia l'ha detto chiaro che «in Veneto non si faranno centrali, è anche una zona sismica – quindi – finché ci sarò io non se ne parla». Insomma, il Carroccio di certo non si farà spiazzare dall'opposizione su un tema così vicino al sentimento popolare. E non è un caso che Giacomo Stucchi, deputato di spicco della Lega (in predicato per diventare capogruppo nel caso in cui Marco Reguzzoni diventi viceministro allo Sviluppo economico), ieri metteva all'indice le «strumentalizzazioni» dell'opposizione sul nucleare ma – sulla scelta del governo – diceva anche che «c'è modo e tempo per discutere». Dunque, una marcia indietro è più che una possibilità.

mercoledì 2 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 02/03/11 - IL PARTITO PRO-COLLE NEL CENTRO-DESTRA

Forse non sarà gelo ma qualcosa che gli somiglia sì. È quello che provano molti esponenti – anche di primissimo piano – della maggioranza quando Silvio Berlusconi riaccende il conflitto con il Quirinale. Con una semplificazione si potrebbe parlare di "partito del Colle", cioè di un corposo numero di deputati e ministri che sta un passo indietro nelle polemiche lanciate contro Giorgio Napolitano e privatamente se ne lamenta. Qualcuno lo fa anche apertamente, come ha fatto ieri Roberto Calderoli che – non per la prima volta – ha messo una distanza tra la Lega e il premier. «Ho avuto sostegno, aiuto e collaborazione non solo da Napolitano ma anche dai suoi collaboratori». Fair play istituzionale ai massimi livelli. E strategia politica chiara: perché il Carroccio è fedele al Cavaliere ma non esita ad allontarsene quando sceglie lo scontro istituzionale con il Quirinale o con la magistratura. Che la Lega sia pro-Colle non è solo un fatto di forma. Lo dice con un certo garbo e con altrettanta chiarezza Giacomo Stucchi, deputato molto vicino a Calderoli. «Siamo dalla sua parte e poi, detto con sincerità, il suo stop sul decreto milleproroghe ha consentito a noi di non votare alcune norme davvero indigeste». Nella forma e nella sostanza, quindi, il partito di Bossi sta con Napolitano e non hanno peso le polemiche sulle celebrazioni per l'unità d'Italia perché anche il Carroccio le ha rubricate come propaganda. Con maggior fermezza – e costanza – troviamo accanto al Colle Gianni Letta, da sempre attento custode dei rapporti con Giorgio Napolitano e con il suo staff. Tra tutti, Letta è nel Governo la persona che ha più sintonia istituzionale con il Quirinale ma non è l'unico. Il ministro Angelino Alfano è un altro "schierato" con il Colle e un attento ascoltatore della voce che arriva dal Quirinale soprattutto su un terreno tanto delicato com'è quello sulla giustizia. Non un pasdaran, insomma, come alcune volte – o spesso – vorrebbe il Cavaliere. E lo stesso vale per Giulio Tremonti: il ministro dell'Economia non si è mai lasciato andare a critiche o riflessioni sugli appunti del Colle. E poi c'è la truppa di ex democristiani. A comininciare dal ministro Gianfranco Rotondi: «Io sono abituato a spegnere tutto, si figuri i conflitti con Napolitano!», è il suo esordio. E proprio nel suo ruolo di "pompiere" ci tiene a sottolineare che «le uscite del premier non riguardano la persona o il ruolo politico di Napolitano. Tutt'altro. Non stiamo parlando di Scalfaro, per capirci. Berlusconi è insofferente alla burocrazia, al fatto che pesa l'eredità del fascismo che ha limitato i poteri del premier. Per quanto mi riguarda io ho una fiducia totale in Napolitano». Rotondi viene dalla Dc come Beppe Pisanu, anche lui nel partito pro-Colle. E – come fa notare il deputato Osvaldo Napoli – superberlusconiano ma, anche lui ex Dc, «tutta quell'area ex scudocrociato soffre il conflitto istituzionale anche se a Berlusconi perdona le polemiche perché si limitano a un'insofferenza burocratica. O perché respingono tentativi di presidenzialismo strisciante come quando alcuni costituzionalisti ammettono la possibilità che il Colle possa sciogliere le Camere senza il sì del premier». Lina Palmerini

IL SOLE 24 ORE - 02/03/11 - SABATO A BERGAMO IL RADUNO DEI "BIG"

La chiamano «la cima Coppi», cioè la tappa più alta del Giro d'Italia. È così che i leghisti hanno ribattezzato il traguardo di oggi del federalismo municipale. Non c'è timore della vigilia. Ieri al gruppo del Carroccio facevano i conti sui numeri della fiducia: i sì "sicuri" vengono dati a 316 ma – dicono – ci potevano essere anche quelli dell'Svp, se non ci fosse stata la fiducia, e forse perfino qualche astensione nel Pd. Comunque il dato politico è che la prima tranche della riforma passa e, per il partito di Bossi, la data è perfetta. È il tempismo che gioca a loro favore perché proprio sabato, il 5 marzo, a Bergamo sono già organizzate le celebrazioni per i 25 anni di nascita del partito bergamasco che in Lombardia è quello più forte, più vasto. Nel palco ci sarà il pienone di big: Umberto Bossi, Roberto Calderoli, Roberto Maroni, Giancarlo Giorgetti, Giacomo Stucchi, deputato e probabile prossimo capogruppo alla Camera, che oggi "controlla" la provincia di Bergamo. Duemila persone già prenotate alla Fiera, tutti paganti (il biglietto per la cena è di 20 euro). È chiaro quindi che sabato ci sarà il primo grido di vittoria della Lega, vissuto nel contesto più verace e popolare. Tutto quel malessere della base di cui a lungo hanno parlato i giornali – se davvero c'è – verrà così allontanato dagli slogan di vittoria del Senatur.Ma quella di oggi è appunto solo una tappa. Il prossimo punto nell'agenda leghista è il rimpasto di governo. Dopo le celebrazioni dell'unità d'Italia, il partito di Bossi si aspetta almeno due novità importanti nella squadra: Marco Reguzzoni – attuale capogruppo a Montecitorio – al posto che fu di Adolfo Urso come viceministro dello Sviluppo economico; Sebastiano Fogliato che diventa sottosegretario all'Agricoltura, ministero a cui il Carroccio non vuole rinunciare e quindi "imporrà" una sua presenza nel posto che era di Antonio Buonfiglio, dopo le sue dimissioni per essere passato con Fli. Ci saranno poi spostamenti interni: Sonia Viale da sottosegretario all'Economia tornerà con Maroni all'Interno e Michele Davico che, dall'Interno, dovrebbe diventare sottosegretario della Cultura. Chiuso il capitolo rimpasto, si arriverà davvero al dunque. Perché il prossimo decreto sul federalismo – quello che riguarda le Regioni e i costi standard, quello che affonda sul tema-sanità – sarà davvero il più ostico. È qui che infatti si aprirà il vero conflitto nel Pdl (e con il Pdl) tra Nord e Sud. Il Carroccio ne è consapevole e teme quella tappa perché è a ridosso dell'appuntamento più importante: le amministrative. In ballo c'è Milano (Matteo Salvini potrebbe diventare vicesindaco), Como, Varese, Mantova, Torino e perfino Bologna. Quella sarà la prova verità di una Lega che oggi fa il conto di poter strappare consensi al Pdl e portarli nella sua cassaforte. Una lettura esattamente inversa a quella di chi pensa che invece la solidarietà con Berlusconi starebbe portando via voti al Carroccio. Nel partito del Senatur non c'è questo timore, anzi. La convinzione è che la fedeltà al premier affiancata – però – alle vittorie sul federalismo e alla gestione dell'emergenza-immigrazione, non farà che portare acqua al mulino padano. È in questa chiave che i leghisti hanno letto le parole del Cavaliere sabato scorso a Milano, proprio come conferma dei timori Pdl. Il premier sabato aveva detto non solo che «dobbiamo fare come la Lega, stare sul territorio» ma, prima della partita Milan-Napoli, aveva così tifato la sua squadra: «il Milan deve battere il Sud». Per i "padani" è stata una chiara invasione di campo.

IL CORRIERE DELLA SERA.IT - 02/03/11 - LA CAMERA VOTA IL FEDERALISMO COMUNALE

ROMA- La Camera conferma la fiducia al governo approvando la risoluzione di maggioranza relativa al testo sul federalismo fiscale municipale. La risoluzione è passata con 314 sì e 291 no e 2 astenuti.Silvio Berlusconi era in aula alla Camera con il fazzoletto verde della Lega nel taschino della giacca. Subito dopo il voto di fiducia, racconta Giacomo Stucchi, «Maroni mi ha preso il fazzoletto e l'ha messo nel taschino di Berlusconi». Il quale ha ostentato serenità e soddisfazione per il risultato ottenuto, anche se 314 non rappresenta la maggioranza assoluta dell'Aula: «Sono tranquillo, sapevamo che c'erano alcuni malati e due in missione - ha detto il premier -. Altrimenti saremmo a quota 322». Anche se in realtà i voti mancanti all'appello sono stati solo 5 (un leghista non ha votato, due pidiellini erano assenti e due in missione) e quindi anche se fossero stati tutti presenti la maggioranza sarebbe stata di 319 voti e non 322.IL VOTO - Ad astenersi sono stati i due deputati delle Minoranze linguistiche, Brugger e Zeller. I deputati in missione erano sette, di cui due del Pdl (i presidenti di commissione Gianfranco Conte e Paolo Russo), Salvatore Lombardo e Carmelo Lo Monte dell'Mpa (che pure aveva svolto la dichiarazione di voto per il suo partito), la Liberaldemocratica Daniela Melchiorre, Luca Volontè dell'Udc e Mario Brandolini del Pd. A non partecipare al voto sono stati in 15. Per la maggioranza erano assenti Giancarlo Abelli e Giuseppe Palumbo del Pdl, Daniele Molgora della Lega, Antonio Gaglione e Calogero Mannino del gruppo Misto. Quanto all'opposizione, non hanno risposto alla chiama Andrea Ronchi e Giulia Cosenza di Fli, Roberto Commercio e Ferdinando Latteri dell'Mpa, Sergio Piffari di Idv, Marco Fedi e Maria Paola Merloni del Pd e Anna Teresa Formisano e Luca Volontè dell'Udc. Alla chiama non ha risposto neppure il liberaldemocratico Italo Tanoni. L'unico gruppo presente con il 100% dei suoi deputati è stato Iniziativa Responsabile. Umberto Bossi con il ministro Roberto Calderoli, il capogruppo Marco Reguzzoni e il sottosegretario Francesca Martini (Ansa)BOSSI: «BUONA LEGGE» - Raggiante, come prevedibile, il leader della Lega, Umberto Bossi, che ha definito il voto di Montecitorio «un giro di mattoni in più, siamo quasi al tetto. Ora abbiamo iniziato anche il federalismo regionale». «La perfezione non esiste», ma quella sul fisco municipale «è una buona legge» aveva detto lasciando l'Aula della Camera dopo aver votato la fiducia al governo sul decreto legislativo. Dopo la fiducia della Camera sul federalismo municipale è più probabile che si finisca la legislatura? «Noi vogliamo completare il federalismo, poi vediamo. Restiamo con in piedi per terra», risponde Bossi. Che è sibillino anche nel rispondere a chi gli chiede se l'asse con Berlusconi tenga: «Per adesso tiene». Poi il leader della Lega precisa: «Berlusconi è stato l'unico a darci i voti per il federalismo. Gli altri mi hanno detto 'Fai saltare il miliardario e domani ti votiamo il federalismò, ma Berlusconi i voti in Bicamerale me li dava subito. Non ci possono chiedere di mettere a repentaglio un risultato acquisito». E sull'atteggiamento dell'opposizione aggiunge: «Se uno accetta di far pace vota a favore, poi può essere che si aprono degli spazi...». QUATTRO MESI - Incassato il fisco municipale, Bossi guarda ora al prossimo decreto legislativo, quello sul fisco regionale e provinciale con la complicata partita dei costi standard della sanità: «Arriva la parte più difficile», riconosce il leader leghista. Forse anche per questo da Roberto Calderoli è arrivato l'annuncio che con ogni probabilità i tempi della delega saranno prorogati di 4 mesi: il ministro leghista porterà la richiesta in Cdm, e se è accolta la delega scadrà non più il 21 maggio ma il 21 settembre. Quattro mesi in più per scrivere il federalismo, ma 4 mesi in più anche per il governo.