"Affiliati lsis
in fuga dalla Libia sui barconi": Giacomo Stucchi, presidente del Copasir,Comitato
parlamentare per la sicurezza della Repubblica, rilancia l'allarme in un'intervista
al Mattino. «Roma - spiega Stucchi è una metafora, vuol dire cristianità, Occidente:
la minaccia è quindi generica, non necessariamente riferita a un progetto
ostile verso la capitale. Ma il presidente del Copasir sottolinea: Con
la liberazione di Sirte il rischio che i cani sciolti dell'lsis decidano di raggiungere
l'Europa oon i barconi dei clandestini è diventato concreta. E' quindi urgentissimo aumentare mezzi e
personale per migliorare i controlli».Quella scritta in arabo su un muro di
Sirte, «Da qui la porta per Roma, non stupisce né aggiunge preoccupazione alle non poche preoccupazioni del senatore leghista
Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la
sicurezza della Repubblica. "Roma è una metafora, Roma vuol dire
cristianità, vuoi dire Occidente: la minaccia è quindi generica, non necessariamente
riferita a un progetto ostile verso la capitale" assicura Stucchi. Che indica
invece altri e più pressanti motivi di allarme, in questo ponte di Ferragosto
sospeso tra le nuove speranze dei libici
finalmente liberi di tagliarsi barbe e levare
burka e la sottile sensazione di attesa che anima, al di qua del Mediterraneo,
popolazioni che si sentono sotto attacco. Con la liberazione dì Sirte - dice
Stucchi - il rischio che cani sciolti dcll'Isis decidano di raggiungere I'Europa
con i barconi dei clandestini è diventato concreto». Presidente Stucchi, finora
questo scenario è stato considerato poco realistico: mai l'lsis avrebbe rischiato
di "condannare'" a un sempre possibile naufragio propri affiliati,
addestrati all'odio ed equipaggiati per uccidere. Cosa spingerebbe oggi quegli stessi
uomini ad affrontare la traversata? "La logica che spinge da sempre i soldati
di qualsiasi esercito in rotta. Quelli che ieri erano combattenti del Califfato,
inquadrati e fedeli alla causa, oggi sono militanti
in fuga, uomini sconfitti in cerca di una via d'uscita. Sappiamo che in molti
si stanno dirigendo verso il sud della Libia, verso il deserto. Ma non possiamo
escludere che altri, pochi o molti che siano, cerchino di raggiungere in qualche
modo l'Europa.Verrebbero «in pace», con l'intenzione cioè di
nascondersi e cambiare vita, o al contrario per portare a termine le
"missioni" a loro affidate dai capi dell'lsis? « Trattandosi di gente
allo sbando è davvero difficile dirlo. Certo, la sconfitta può rendere piu' feroce
l'odio fondamentalista,la volontà di rivalsa,anche attraverso gesti
"eroici" del lupo solitario di turno». Se questo è il rischio,
esistono possibilità di difesa? "E' evidente che la difesa passa attraverso
la capacità degli Stati nei quali approdano i barconi, l'Italia in primo luogo,
di identificare tutti quelli che arrivano sulle proprie coste". Presidente,
è quello che Bruxelles ci chiede c che noi non riusciamo a fare: i centri di
prima accoglienza scoppiano, e dalle strutture che ospitano l migranti
le fughe sono quotidiane. "Lo so bene: bisogna investire di più nel
sistema di controlli, utilizzare più uomini, coordinare le banche dati, accelerare
tutti i tempi. Al governo lo chiedo da tempo. Dovrebbe aiutarci l'Europa, ma se
aspettiamo quella stiamo freschi". Il governo non vi dà ascolto? " Se
aumentano gli sbarchi, se aumentano i soggetti in arrivo e non puoi
incrementare attrezzature, il personale, lo scambio di informazioni allora
ottenere efficacia diventa difficile.
Intervenire non è solo necessario, è urgentissimo".La scritta minacciosa
su Roma è la quasi contemporanea decisione d innalzare il livello di allerta
nei porti hanno diffuso nel Paese nuove paure. L'Italia è nel mirino? L'Italia
è nel mirino dei terroristi del Daesh come
lo sono tutti gli Stati occidentali. Lo è oggi come lo è stata fino a ieri: se
finora abbiamo evitato eventi tragici è perché abbiamo uno tenuto la guardia alta,
in un quadro ottimale di sinergia tra le istituzioni, la magistratura e le forze
dell'ordine. Ciò premesso, fra il muro di sirte e l'allerta nei porti non c'è
alcun collegamento. Quella scritta è propaganda, è uno dei tanti proclami contro
l'Occidente e i suoi valori, contro le sue radici laico - cristiane. Non
è certo una novità che il Daesh abbia Roma fra i suoi obiettivi, ma al momento
non esiste nessuna evidenza di progetti ostili alla capitale». Il rischio è generico,
insomma? E? sempre alto ma generico. A Roma come altrove. Diciamo che la
scritta di Sirte va intesa come un monito a non abbassare la guardia mai. Neanche
adesso che Daesh è costretta a ritirarsi grazie ai raid americani". La stretta
sui porti è un segnale in questo senso?
"Nei porti si è semplicemente provveduto ad allineare il livello di sicurezza a quello già
in vigore in aerostazioni e grandi stazioni ferroviarie. Dato il volume dei movimenti
nella stagione estiva, è star o un adeguamento necessario. L'ottica è sempre quella
della prevenzione". Secondo voci attribuite ai servizi segreti di Tripoli,
tra le carte ritrovate a Sirte ce ne
sarebbero alcune che fanno riferimento a una rete jihadista in azione
nella provincia di Milano, composta da clementi libici, tunisini e sudanesi. Il
Copasir ne ha contezza? «Si tratta evidentemente di materia che interessa la magistratura,
di indagini coperte dal segreto istruttorio. Nel Milanese ci sono state
inchieste, arresti, espulsioni. Le carte di Tripoli potrebbero far riferimento
a persone passate in quella zona e che adesso si trovano altrove. lo posso solo confermare che in Italia la collaborazione
tra intelligence, procura e polizia giudiziaria funziona molto bene, sapendo
che sul terrorismo ogni informazione può fare la. Differenza e che nulla va sottovalutato».
Questa sinergia funziona anche sul piano internazionale? C'è consapevolezza che
non solo occorre scambiarsi informazioni, ma bisogna farlo in tempo reale. La collaborazione
fra servizi segreti è valida, mentre quella giudiziaria inciampa sull' ostacolo
del segreto istruttorio. Se la procura di un Paese indaga su un soggetto che si
è spostato lì da un altro Paese, dovrebbe poter conoscere le carte dell'
inchiesta del Paese di provenienza. In attesa della nascita, che chissà se
avverrà mai, di una superprocura europea, questo luogo di scambio di informazioni
andrebbe individuato". A proposito
di luoghi dove si scambiano
informazioni, quanto è penetrante il controllo della nostra intelligence sulla
rete? "Sappiamo che la radicalizzazione in Europa avviene in prima istanza
utilizzando il web; lì avvengono i contatti tra potenziali attentatori, si cercano
anche sistemi per immolarsi, si lanciano proclami. ll controllo sulla rete da parte
dei Servizi e degli inquirenti è garantito, ma se vogliamo vincere la guerra non
possiamo fermarci, dobbiamo correre sempre di più. Qualcuno non corre abbastanza?
Non quanto corre la tecnologia: non facciamo in tempo ad adeguare i nostri
strumenti, che ne vengono fuori altri più avanzati. I nostri "nemici"
tengono il passo, noi facciamo fatica». Nella legge di stabilità il governo ha
stanziato i 50 milioni per la cybersicurezza. Non basteranno? Il punto
è che bisogna investirli in fretta, mi auguro che lo si faccia. Oltre ai mezzi,
serve personale già addestrato: quando si lavora per disinnescare pericoli non
si può perdere tempo in corsi di aggiornamento». Come si concilia la necessità
di agire in fretta e di raccogliere il maggior
numero di informazioni con il diritto alla privacy degli utenti che con il terrorismo
non c'entrano niente? I controlli vanno fatti in modo mirato. Per dirla con una
metafora: dobbiamo pescare nel grande fiume del web le bottiglie di plastica che lo
inquinano- i terroristi e i loro complici senza disturbare i pesci, i cittadini
per bene".
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