mercoledì 14 gennaio 2015

L'NTRAPRENDENTE - 14/01/15 - IL CAPO DEL COPASIR CI DICE TUTTO SULLA LOTTA AL TERRORISMO

«Tutto l’Occidente è nel mirino» è una frase che in questi giorni abbiamo sentito ripetere più volte dopo l’attacco a Charlie Hebdo. Tante volte ma non è mai abbastanza. Perché, pur senza sollecitare inutili allarmismi, il pericolo concreto che certi atti possano ripetersi c’è. A dircelo, stavolta, non è solo il buonsenso bensì il presidente del Copasir Giacomo Stucchi intervistato da L’Intraprendente. Per chi non lo sapesse Copasir sta per Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ed è un organo di controllo e vigilanza dei tre organismi di sicurezza (leggi servizi segreti) Aisi, Aise e Dis. Il senatore leghista Stucchi è subentrato a Massimo D’Alema nel giugno del 2013. Ecco cosa ci ha detto: Presidente, dopo gli avvenimenti francesi c’è il ragionevole timore che attacchi del genere possano ripetersi anche in Italia? Tutto l’Occidente e tutti i suoi simboli sono nel mirino. Quindi anche l’Italia. Dire che il Vaticano è un obiettivo probabile è eccessivo, ma sicuramente, al pari di molti altri, possibile. Purtroppo eventi del genere sono di per sé altamente imprevedibili, motivo per cui dobbiamo lavorare duramente per prevenirli e farli restare nulla di più che semplici ipotesi ed intenzioni. Cosa si può fare in concreto per prevenire attacchi del genere? Stiamo lavorando su due fronti. Da una parte chiediamo al governo più risorse da investire su personale operativo e strumenti tecnologici per contrastare le nuove forme di terrorismo. Dall’altra vogliamo promuovere una nuova legge che permetta di colpire i foreign fighters (in Italia ce ne sono 53 censiti) e non solo i loro reclutatori, cosa che oggi è impossibile. Inoltre, come servizi, dobbiamo promuovere un’azione di condivisione delle informazioni coi nostro omologhi esteri, anche e soprattutto americani, che non sono concorrenti bensì partner. (Stucchi non lo cita, a noi viene in mente il caso Abu Omar in cui questo principio non è stato largamente applicato ndr). Il magistrato e deputato Stefano Dambruoso ha dichiarato che a Milano ci sono due associazioni islamiche, regolarmente iscritte nell’albo delle religioni del Comune, che Germania ed Emirati inseriscono nelle rispettive black list. C’è il rischio concreto che moschee, associazioni culturali ed altri luoghi d’aggregazione islamici possano diventare luoghi di reclutamento dei terroristi?Certamente i luoghi di aggregazione islamica possono diventare potenziali luoghi di reclutamento. Ovviamente non tutti lo sono, ci mancherebbe. Bisogna stare molto attenti a tutte le parole di odio, gli inviti a compiere gesti, i richiami al dovere di combattere quella “guerra santa” che esiste solo nella loro testa, perché nel terzo millennio non si può pensare ancora alla “guerra santa”. Per la mia esperienza posso dire che le moschee sono strutture più complesse, aperte e quindi controllabili. Più pericolose sono le realtà più piccole, quelle stanzette e quei sottoscala dove ci si ritrova in pochi e si parla rigorosamente in arabo. Anche da internet si possono prevenire le minacce terroristiche?Sicuramente “cyber terrorismo” è una parola che circola molto in questi giorni. La nostra Agenzia interna (Aisi) sta facendo un gran lavoro nell’analizzare milioni di blog, di tweet, di post su Facebook alla ricerca di potenziali incitazioni al terrorismo, se non peggio. Purtroppo le tecnologie moderne hanno un livello di rinnovamento molto veloce. Proprio per questo chiediamo più risorse per adeguare i nostri strumenti di controllo. Un maggior controllo alle frontiere potrebbe aiutare a prevenire il terrorismo? In buona sostanza sì. Bisogna puntare a una revisione complessiva dell’accordo di Schengen in modo da contemperare il diritto dei cittadini onesti a muoversi liberamente ma bloccare potenziali aggressori. La libertà assoluta di movimento deve essere rivista alla luce di nuovi rischi che un tempo non c’erano.

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