venerdì 16 ottobre 2015

FLY ORBIT NEWS - 16/10/15 - Chi controlla i servizi segreti italiani? – L’INTERVISTA al Presidente del Copasir Giacomo Stucchi

Quis custodiet ipsos custodes? Chi controllerà i custodi, si chiedeva il poeta latino Giovenale. Volendo potremmo adattare la frase ai nostri tempi, chiedendoci: chi controllerà chi ci controlla; chi ci guarda e, magari, ci spia? In Italia il controllo politico dei servizi segreti è affidato, dopo la riforma del 2007, al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, meglio conosciuto come Copasir. Compito del comitato è vigilare sull’attività dell’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) e l’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), le due agenzie in cui è attualmente divisa l’intelligence nazionale. Dal 6 giugno del 2013 il Presidente del Copasir è il senatore leghista Giacomo Stucchi: con lui abbiamo dato uno sguardo a 360° sull’attuale attività dei servizi segreti, che spazia dai rischi derivati da una possibile guerra in Siria agli strascichi del caso Hacking Team, passando per il Giubileo, l’Expo di Milano e la crisi dei migranti. In una recente intervista alla Stampa, lei ha parlato di maggiori rischi per l’Italia in caso di bombardamenti all’ISIS in Iraq e Siria. I nostri servizi sono pronti a fronteggiare la minaccia? Nessuno può garantire che non accada nulla. Bisogna essere realistici. In caso di bombardamento i rischi aumentano ma cresce, di conseguenza, anche lo sforzo della nostra intelligence per prevenire ogni situazione di rischio. Naturalmente lavorare per prevenire non vuol dire sventare ogni rischio. Si avvicina il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco: sono attesi milioni di pellegrini a Roma ma anche in centri più piccoli, come Assisi. Come cambia la strategia di sicurezza di un evento concentrato in un punto, come l’Expo, e uno invece più diffuso?  La strategia è modulabile. Da un lato su Roma ci sarà un’attenzione particolare, e il modello che ha ben funzionato all’Expo sarà esportato nella capitale. Dall’altro ci sarà un maggiore impegno su una serie di realtà, più piccole, ma comunque considerate sensibili secondo le analisi d’intelligence. Si tratta quindi di un’azione policentrica e insieme centralizzata: la sommatoria di due realtà differenti, ma coordinate tra loro. Anche il tema dell’immigrazione sottolinea l’importanza del controllo delle frontiere. Tuttavia lo stesso ministro degli Esteri Gentiloni ha ammonito che non bisogna confondere «terrorismo e immigrazione» perché «si tratterebbe di un’idiozia». In sostanza bisogna tenere gli occhi bene aperti, ma non fare di tutta l’erba un fascio. Qual è l’approccio dei nostri servizi al problema? Più aumenta il numero degli immigrati e più cresce la difficoltà nell’effettuare controlli. Se l’arrivo di un numero limitato di migranti garantisce il controllo della loro identità, e quindi l’individuazione di eventuali criminali, l’arrivo in massa di tanti individui nello stesso giorno complica molto questo lavoro, e fa diminuire il livello di certezza. Si tratta in ogni caso di un lavoro immane, che viene comunque svolto. Grazie alla costellazione satellitare Cosmo SkyMed l’Italia ha un potentissimo strumento per monitorare il suo territorio. Come utilizzano i nostri servizi i dati provenienti da Cosmo? I nostro servizi chiaramente fanno attività di SIGINT (SIGnals INTelligenc, Spionaggio di segnali elettromagnetici) e utilizzano immagini da diverse realtà. In ogni caso non possiamo dire chi sono i fornitori per motivi di sicurezza. Lo sviluppo di nuovi tecnologie permette la possibilità di avvicinarsi sempre di più alla fonte primaria dell’informazione. Quest’estate il settimanale l’Espresso aveva raccontato dell’aereo spia Dragon Star, preso in affitto dai nostri servizi dalla Lockheed Martin. Non c’è il rischio che questi strumenti, pur utili per la ricerca di potenziali minacce, mettano a rischio la libertà dei cittadini? Il cittadino che potremmo definire comune, che non è un criminale, un terrorista, non ha nulla da temere. Strumenti come Dragon Star e i droni non armati dotati di telecamere vengono utilizzati dai nostri servizi esclusivamente all’estero. In Italia i droni vengono utilizzati dalle forze dell’ordine e dalla Protezione civile solo per monitorare zone difficili. Dragon Star e gli UAV, oggi facili da reperire e poco costosi, sono strumenti che permettono, ripeto all’estero, di avere informazioni e immagini in tempo reale per decidere cosa fare e come agire. Non credo che ci siano violazioni di diritti se parliamo di bande di terroristi. Negli ultimi mesi ha fatto molto scalpore il caso di Hacking Team. Il Ministro della Giustizia Orlando ha detto qualche settimana fa che sono «solo una decina i processi con problemi, ma che in ogni caso bisogna aumentare gli standard di sicurezza». Già dal 2009 il Copasir segue da vicino il problema. Qual è la situazione attuale sul tema dell’aumento della sicurezza nel campo della sicurezza informatica? Sul caso HT abbiamo chiuso i lavori del comitato, facendo il punto della situazione. La nostra preoccupazione maggiore era che fossero stati pregiudicati i processi in corso o che fossero fuoriusciti dalle forze dell’ordine dei dati acquisiti con il software di HT. Fortunatamente tutto questo non è avvenuto e la nostra preoccupazione è stata fugata. Sicuramente però è necessaria una maggiore sicurezza: rimane la necessità di avere dei fornitori – in questo caso soggetti privati – e strumenti che vengano progettati, o che abbiamo un vincolo, verso un unico acquirente. Il Cyber è un mondo in continua evoluzione. Collaboriamo con diversi paesi europei, come l’Olanda e la Germania, per capire come garantire la privacy dai data bank pieni delle informazioni dei cittadini. Come Copasir facciamo un controllo costante sul pieno rispetto delle norme in vigore e delle direttive del garante della privacy. Il fatto che siano aziende private non aumenta il rischi d’incertezza? Se l’acquirente è unico e il prodotto viene sviluppato solo per quel cliente no, perché chi acquista diventa il proprietario del codice sorgente. Nel caso di HT, in cui gli acquirenti sono stati tanti e diversi, c’è sicuramente qualcosa che non ha funzionato. Non deve essere possibile vendere lo stesso prodotto al soggetto A che vuole spiare il soggetto B e viceversa. Lei che idea si è fatto sul caso di HT?  Il loro software (Galileo, ndr) è indubbiamente importante, ma ancora oggi in altri paesi ci sono strumenti altrettanto importanti che vengono utilizzati da soggetti diversi. E’ un sistema che però deve essere usato solo ed esclusivamente sotto l’autorizzazione della magistratura. Poi c’è da dire che alcune notizie apparse sui giornali hanno rappresentato il problema in maniera romanzesca: con pc che si accendono da soli o telefonini sempre accesi. La realtà è un po’ diversa. Per quanto riguarda le responsabilità giudiziarie, nelle prossime settimane il Copasir adirà i procuratori che stanno seguendo il caso e cercherà di capire quello che sta venendo fuori dalle indagini. Ma quella è una conseguenza: a noi interessa cosa hanno fatto le agenzie, e in particolare l’AISE, con quel software. Per adesso abbiamo accertato che lo ha utilizzato all’estero senza abusi e rispettando le norme in vigore.

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