venerdì 17 dicembre 2010

ITALIA OGGI - 17/12/10 - CAMERA A TUTTA BIRRA

La Camera ha vissuto una serata a tutta birra. Il “Club parlamentari amici della Birra”, nato un anno fa, bipartisan, presieduto da Giacomo Stucchi, leghista, segretario della Camera deputati e presidente della commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, ha salutato i suoi associati con un aperitivo di Natale che ha radunato circa un centenario tra deputati e senatori, funzionari, assistenti, membri degli staff ministeriali e rappresentanti della stampa parlamentare, tutti salutati dai vertici dell’Associazione degli industriali della birra e del malto. Pierre de Nolac

IL SOLE 24 ORE - 17/12/10 - IL "DOPPIO" TAVOLO SULLA GOVERNANCE DEL CENTRODESTRA

ROMA. Sul terzo polo la metafora più calzante, visti i tempi, è di Giorgio Tonini, senatore "democratico" attento osservatore anche di quello che accade oltre il Pd. «È come se Berlusconi si fosse trasfomato in Marchionne. Anche lui ha annunciato una newco nel centro-destra per allargare la maggioranza ai singoli e con contrattazione privata. E Casini ha sfoderato un riflesso sindacale creando, con il polo della nazione, le condizioni per una trattativa e un contratto collettivi». Non è solo il senatore Pd a considerare la mossa del terzo polo uno «stadio intermedio-difensivo», quindi, «senza alcuna prospettiva politico-strategica» come dice anche Alessandro Campi, direttore scientifico della fondazione finiana FareFuturo. È soprattutto in casa Udc che quel coordinamento di «quasi 100 parlamentari» viene considerato una "sala d'aspetto" per prepararsi a due tavoli e due scenari. Il piano A, nelle idee dell'entourage di Casini, è un negoziato con il Pdl e il premier sui futuri assetti del centro-destra, inclusa la successione del Cavaliere. È chiaro che un tavolo così delicato non può essere affrontato senza forza contrattuale e sotto la minaccia di uno scippo di propri parlamentari: a questo scopo provvede il polo della nazione. Ma, naturalmente, esiste pure un piano B perché il voto anticipato è ancora in campo. E dunque, a Casini, il terzo polo serve per affrontare le urne nel caso la Lega stacchi la spina. Ma non tutti ci credono. «Perfino in caso di elezioni credo che l'Udc avrà dei problemi ad andare con Fini. Conosco la realtà del Nord e lì i mal di pancia dei centristi sono forti: la paura è di sparire dopo essere usciti dalle giunte piemontesi e venete. E a marzo, con le amministrative, non gli consentiremo più giochetti a geometrie variabili. Saranno disposti a perdere Milano? E Torino? E Napoli?». Giacomo Stucchi è un parlamentare leghista, punto di riferimento di una provincia – quella di Bergamo – che conta nella geografia del Carroccio, molto vicino a Calderoli e Maroni. E secondo i suoi calcoli «Casini non farà la guerra: glielo dice il Vaticano e pure la sua base, tra l'altro a gennaio c'è un giro di nomine nelle authorities».

mercoledì 15 dicembre 2010

IL GIORNALE - 15/12/10 - BOSSI VUOLE LE URNE MA TOGLIE IL VETO SULL'UDC

Roma - La linea è quella fissata già da qualche giorno e l’esito della fiducia non l’ha spostata di un millimetro perché era quello previsto. Al voto appena possibile, cioè in primavera, ma nessun veto sull’allargamento all’Udc, anche se a condizioni molto precise. Prima di tutte il federalismo fiscale, contro cui l’Udc ha votato ma che in caso di alleanza con la Lega non potrebbe in alcun modo ostacolare. Ma oltre a questo Bossi accenna anche ad «altri problemi» aperti con i centristi. Il segretario federale non può fare a meno di farlo, visto che Casini si è sempre opposto alla «ennesima nefandezza» sulle quote latte, battaglia carissima al Carroccio, e che solo due ore prima, nella dichiarazione di voto in aula, il leader Udc aveva accusato la Lega nord di aver monopolizzato la politica del governo (stesso addebito fatto dai finiani), dicendo che Bossi «ha iniziato la legislatura comandando e vuole terminare comandando». Sommando queste condizioni a quelle di Casini, il rimpasto leghista-centrista appare una probabilità abbastanza remota, ma in politica nulla è impossibile. «Bossi nei prossimi giorni premerà su Berlusconi per il voto, ma siamo alleati e le cose si decidono insieme» spiega una fonte leghista. Il pressing in effetti è già iniziato, basta ascoltare le parole di Maroni e Calderoli. Il ministro dell’Interno accende il cronometro e avverte l’alleato: «Oggi c’è stata una lezione, una prova di forza, era importante vincere e l’abbiamo fatto. Abbiamo vinto il primo tempo ma la partita non è conclusa. Sullo sfondo restano le elezioni, perché con 314 voti contro 311 si rischia di fare la fine del governo Prodi». Ora Berlusconi «ha tre settimane di tempo per ricompattare la maggioranza e averne una ampia e solida, aprendo una consultazione con Fli e Udc», altrimenti «meglio andare al voto». Si vedrà, ma «la strada non è in discesa», perché la Lega non dimentica che «l’Udc ha votato contro il federalismo, quindi dovrà cambiare, sennò saremmo masochisti».Il punto si farà alla ripresa, dopo la pausa natalizia. Chissà che tra spumanti e panettoni il premier non trovi il modo per «sedurre» Casini, con cui c’è un ottimo rapporto personale. Ma la missione non è semplice, perché si tratta di mettere d’accordo due partiti, Lega e Udc, lontani su molte cose. A proposito di dolce delle feste, Calderoli si dimostra molto scettico: «Il governo mangia il panettone, ma penso che non mangerà la colomba, perché in mezzo ci saranno le elezioni». Di voto parla esplicitamente Bossi, secondo il quale «il casino che ho visto in Aula potrebbe essere l’origine del voto. Non si capisce chi comanda», e «l’unica igiene è il voto».Nel frattempo il nemico pubblico della Lega si chiama Gianfranco Fini, a cui i leghisti chiedono un gesto di decoro istituzionale, le dimissioni. Glielo hanno urlato in aula, mentre Fini stava uscendo per andare nel suo ufficio al primo piano, glielo chiedono ufficialmente il segretario di Presidenza della Camera, il leghista Giacomo Stucchi («Il virus della faziosità» di Fini «non è più compatibile con il suo ruolo»). Anche sulle onde di Radio Padania il popolo leghista scatena la rabbia contro Fini, invitato calorosamente a dimettersi. «Se ne deve andare perché aveva detto che se non passava la sfiducia si sarebbe dimesso. Non può rimanere al suo posto». Fini vada ad «impiccarsi all’albero di Giuda», è uno che «in vita sua ha avuto solo sconfitte. Dal congresso dell’Msi perso con Rauti all’Elefantino». Però la base non accoglie con grande entusiasmo l’ipotesi di aprire all’Udc, un partito che ha votato la sfiducia al governo, «si può governare con loro?» chiede un ascoltatore. Qualche moderato c’è, a suggerire che «le gare si vincono anche al fotofinish e altri parlamentari si aggiungeranno a noi, dobbiamo approfittarne per portare avanti il federalismo». Ma la maggioranza è, come da tradizione padana, per la fuga solitaria. «Niente accordi con Casini e Fini, Fini is finish» dice Massimiliano da Cernusco. La base si ascolta, ma poi decidono Bossi e Berlusconi, come ripetono tutti i leghisti. E la decisione potrebbe essere più di compromesso. Ma chissà se durerà fino alla colomba pasquale.

lunedì 6 dicembre 2010

PANORAMA.IT - 06/12/10 - YARA: "LA PRIORITA' ORA, E' PROTEGGERE LA SUA FAMIGLIA"

“Bando alle manifestazioni di intolleranza nei confronti della comunità marocchina. Per mettere d’accordo la testa e la pancia del popolo del Nord bisogna governare con la testa a destra e il cuore a sinistra”. Parola di Giacomo Stucchi, deputato del Carroccio al vertice della Lega provinciale di Bergamo. E mentre non si placano le polemiche per i cartelli razzisti apparsi a Brembate di Sopra nei giorni scorsi, proseguono senza sosta le ricerche di Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa da casa dal 26 novembre scorso. Tutti i luoghi intorno al paese sono stati passati al setaccio. Nessuna traccia nemmeno alle fonderie Mazzucconi di Ambivere, dove si erano puntati gli occhi degli inquirenti nel corso della tarda mattinata. Incerta la convalida del fermo di Mohammed Fikri, il marocchino bloccato mentre cercava di fuggire a Tangeri, in Nord Africa. L’uomo, accusato di sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere, si dichiara estraneo alla vicenda e viene ascoltato oggi nel corso dell’interrogatorio di garanzia.Onorevole Stucchi, partiamo dai cartelli razzisti: “Marocchini fuori da Bergamo”, “Occhio per occhio dente per dente”. È quello che pensa davvero la maggioranza dei cittadini di Brembate di Sopra?La maggioranza della gente di Brembate pensa che episodi di questo tipo ledano l’equilibrio estremamente precario di una famiglia che sta soffrendo e quindi non condivide affatto certe esternazioni che tra l’altro arrivano da persone di fuori, da gente che non è di Brembate.Il sindaco leghista Diego Locatelli ha preso ufficialmente le distanze da queste manifestazioni di violenza e lei è stato al suo fianco assicurando che “non c’è alcuna caccia all’uomo”. Il sindaco ha anche detto che il paese non è razzista. Perché si fa fatica a credere che sia davvero così?Ripeto, i cartelli sono stati esposti da persone di fuori e sono riconducibili a due atteggiamenti diversi, il primo di ostilità proprio nei confronti dei marocchini, il secondo più generalizzato verso chiunque si macchi di certi delitti. In entrambi i casi si tratta comunque di soluzioni non tollerabili in una società civile, non esistono condanne a priori e soprattutto non si possono mai condannare intere comunità quando la responsabilità è sempre ed esclusivamente dei singoli.Su certi blog compaiono commenti del tipo: “legalizziamo il lanciafiamme” e “pena di morte subito”. Poi c’è chi se la prende con la Lega per le sue posizioni troppo morbide. Come si fa a mettere d’accordo la testa e la pancia del suo partito e della sua gente?Bisogna trovare il giusto punto di equilibrio come sta facendo al meglio il ministro dell’Interno Roberto Maroni che ascolta sia gli amministratori che i cittadini comuni eccetto nei casi in cui propongono la via della vendetta che non è mai in alcun modo percorribile dalla politica. Bisogna governare con il cuore a sinistra e la testa a destra.Un tale Efrem Belussi, sedicente referente provinciale dei volontari verde che farebbe capo a Mario Borghezio, ha annunciato che se si avrà la conferma che la colpa della scomparsa di Yara è del marocchino, sarà organizzata a Brembate una manifestazione contro l’intera comunità di marocchini. Ne sa qualcosa?Questa persona è stata espulsa tempo fa dalla Lega, non è del posto e sta cercando solo pubblicità. Sono stati gli stessi abitanti di Brembate ad invitarlo, con termini anche piuttosto accesi, a tornarsene a casa sua.In un’intervista comparsa oggi su Repubblica, l’eurodeputato del Carroccio Matteo Salvini, però, se la prende proprio con gli immigrati: “Troppi stranieri in Italia ed ecco i risultati”. Non è questa una dichiarazione che sa di razzismo?Dal momento che non c’è ancora nulla di comprovato, io personalmente non me la sento di esprimere giudizi di natura politica come questo. Qualora si avesse la certezza della responsabilità penale di stranieri clandestini in questa vicenda sarà possibile anche fare un ragionamento di questo tipo. In questo momento, però, credo che non serva a niente.Cosa serve, allora, in questo momento da parte della politica e delle amministrazioni locali?Serve quello che sta facendo il sindaco di Brembate in questo caso: cercare di proteggere il più possibile la famiglia e di aiutarla. Avevamo anche proposto di sospendere la distribuzione dei doni ai bambini come di tradizione nel giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, ma è stata la famiglia stessa di Yara a chiederci che tutto andasse avanti normalmente. Quello che davvero conta per noi è il rispetto delle persone coinvolte in questa vicenda.Yara è viva?Noi dobbiamo assolutamente credere che lo sia. Non possiamo rinunciare alla speranza di ritrovarla abbandonandoci allo sconforto. Lo dobbiamo alla nostra gente che continua a cercarla sotto la neve e con un freddo tremendo. Ieri, di domenica, 500 volontari hanno rinunciato a girare per negozi e a fare i regali di Natale per cercarla e, glielo assicuro, si moriva di freddo.

VIRGILIO.IT - 06/12/10 - YARA/STUCCHI (LEGA): BREMBATE NON è UN PAESE RAZZISTA

Deputato: Ci dissociamo dai gesti di qualche squilibrato
"Brembate non è un paese razzista e ci dissociamo dai gesti insensati compiuti da qualche squilibrato anche perché noi commentiamo solo notizie certe". E' quanto ha affermato Giacomo Stucchi, deputato bergamasco della Lega Nord, a margine della "conferenza stampa" tenuta dal sindaco di Brembate di Sopra, Diego Locatelli. Stucchi, come il sindaco, ha quindi voluto prendere le distanze da un paio di cartelli razzisti esposti oggi a Brembate dopo che si era diffusa la notizia del fermo di un cittadino tunisino per l'omicidio della 13enne Yara Gambirasio. "Non è assolutamente vero - ha continuato il deputato in risposta ad un'altra polemica giornalistica sul presunto silenzio degli abitanti della zona - che qui ci sia omertà, il fatto è che non ci interessa trasformare il dolore che proviamo in uno show anche per rispetto della riservatezza della famiglia".

QUOTIDIANO.NET - 06/12/10 - "MAROCCHINI FUORI DA BERGAMO" NEL PAESE SCOPPIA LA RIVOLTA

La rabbia nei cartelli. Ma il sindaco leghista: non saremo omertosi
Brembate Sopra (Bergamo), 6 dicembre 2010 — A dieci giorni dalla scomparsa di Yara Gambirasio, il fermo del magrebino accusato di omicidio ha colpito gli abitanti di Brembate Sopra come un pugno da ko. Non erano queste le notizie che la gente si augurava di sentire e alla speranza di rivedere presto la ragazzina scomparsa si è sostituita la rabbia. Così, a trovare spazio è stato soprattutto il risentimento, la voglia di avere un obiettivo contro il quale accanirsi. E sono emersi i primi segnali di intolleranza contro gli immigrati extracomunitari. L’eurodeputato leghista Mario Borghezio propone di prendere le impronte e un’aggravante per i reati commessi da clandestini.Un automobilista ha fermato il suo suv davanti alla casa della famiglia Gambirasio, in via Rampinelli, ha aperto la portiera e ha esposto un cartello con la scritta "Occhio per occhio, dente per dente". Poi, quasi per il timore di non essere stato ben compreso, ha aggiunto a voce: "Non se ne può più di questi immigrati, devono tornarsene tutti a casa loro". Un concetto ripreso da un altro cartello, appeso a un cancello a un centinaio di metri da casa Gambirasio e recante la scritta: "Marocchini fuori da Bergamo". La casa di Yara, dove i familiari della ragazza sono rimasti chiusi tutta la mattinata, ha catalizzato le reazioni scomposte e la rabbia razzista emersa dopo la notizia del fermo. Un altro uomo, infatti, ha raggiunto la zona a piedi ed è passato più volte urlando "Albanesi e marocchini fuori dalla Padania". E nel pomeriggio un ciclista ha sventolato uno striscione che ripeteva "Marocchini fuori da Bergamo". A fermarlo ci ha pensato il vicesindaco, che lo ha convinto a tornarsene a casa. Nel corso della giornata, però, a questi episodi ne sono seguiti altri. Sono comparse scritte volgari contro gli extracomunitari stampate su fogli di carta e qualcuno ha utilizzato un lenzuolo bianco per esporre il solito messaggio: "Immigrati fuori da Bergamo". Alla piazza reale ha fatto eco quella virtuale: la rabbia è montata su Facebook e tra le migliaia di messaggi di solidarietà verso la famiglia di Yara sono comparsi inviti alla legge del taglione e le scontate accuse contro gli immigrati che "rubano il lavoro e stuprano le nostre donne".Il sindaco di Brembate Sopra, Diego Locatelli, a capo di una giunta leghista, ha cercato di arginare l’ondata di rabbia: "Non è questa la reazione che mi aspetto dai miei cittadini — ha detto — e sono sicuro che non sarà così. Non saremo omertosi. La comunità saprà reagire con calma e razionalità e non ci sarà nessuna caccia all’uomo". "Gli squilibrati ci sono ovunque", ha aggiunto Giacomo Stucchi, deputato del Carroccio. L’europarlamentare leghista Mario Borghezio torna a proporre di "raccogliere le impronte digitali di tutti" perché quanto accaduto in questi giorni dimostra la "necessità di introdurre un’aggravante per i reati commessi dai clandestini". di Marco Rota

TISCALI.IT - 06/12/10 - CONTINUA LA RICERCA DEL CORPO DI YARA. IN CARCERE UN MAROCCHINO, CACCIA A DUE COMPLICI

I vigili del fuoco, la protezione civile, il soccorso alpino, la forestale, la polizia provinciale, i volontari e i carabinieri continuano a cercare la giovane Yara Gambirasio a dieci giorni dalla scomparsa. Ma a Brembate di Sopra nel Bergamasco la tensione è alta dopo il fermo di un operaio marocchino di 22 anni per sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. Le ricerche nella cava di Palazzago, nei boschi e nei campi di grano nella zona dietro il campo sportivo di Ambivere non hanno portato risultati. Forse due complici italiani - Ora si dovrà capire, ma non sarà purtroppo facile dato lo strettissimo riserbo con il quale si muovono i carabinieri della Compagnia di Bergamo e il Pm Letizia Ruggeri titolare del fascicolo, se le indagini sono sostanzialmente concluse con il fermo del 22enne o, al contrario, sono solamente all'inizio e in questo caso se, prima di tutto, ci sono dei complici in libertà. Secondo alcune indiscrezioni non confermate ma rilanciate questa mattina da alcuni organi di informazione, insieme con il nordafricano sarebbero indagati due italiani, ma non è ancora chiaro con quali accuse e dunque quale ruolo potrebbero aver avuto nella tragica vicenda. Esplode la rabbia - Come prevedibile il fermo di un indiziato di un delitto così atroce ha creato grande emozione tra le comunità che vivono a Brembate di Sopra e in questa parte di bergamasca ai piedi della Val Brembana. Un'emozione che diverse persone hanno trasformato in rabbia contro "i negri", gli "arabi", i "marocchini", gli "stranieri" che "hanno portato la delinquenza, perché qui prima noi stavamo bene". Un livore soprattutto dichiarato a mezza voce, in dialetto, nei bar del paese, se si escludono due cartelli esposti a poche decine di metri dalla casa della famiglia Gambirasio. Il sindaco condanna il razzismo - Un atteggiamento contro cui si sono immediatamente schierati il sindaco di Brembate di Sopra, Diego Locatelli, a capo di una giunta monocolore leghista dal 1992, e Giacomo Stucchi, deputato bergamasco del Carroccio che oggi ha affiancato il sindaco in una "conferenza stampa" (nella quale i giornalisti non hanno però potuto fare domande) indetta proprio per condannare gesti razzisti e chiedere contemporaneamente di non strumentalizzarli. Il marocchino nega tutto - Il silenzio degli investigatori sui motivi che hanno portato ad accusare formalmente il giovane marocchino che sembra abbia lavorato come carpentiere nel cantiere dell'ex raffineria Sobea a Mapello. Il ragazzo di 22 anni, residente da qualche mese a Montebelluna (Treviso), ha passato la sua prima notte nel carcere. Secondo indiscrezioni, nel corso degli interrogatori di, avrebbe respinto tutte le accuse fornendo una sua versione dei fatti e delle sue "giustificazioni". In ogni caso visto il provvedimento di fermo, motivato anche dal pericolo di fuga, l'ipotesi degli inquirenti è che il marocchino sia coinvolto nella scomparsa della tredicenne e che possa fornire indicazioni utili per chiarire ciò che è accaduto. Il 22enne lavorava nel cantiere del centro commerciale di Mapello dove più volte i cani bloodhunter, guidati dai carabinieri di Bergamo che seguono le indagini, hanno fiutato le tracce di Yara. La famiglia spera ancora - La famiglia di Yara è segnata dal dolore, ma che si attacca ancora a ogni esile filo di speranza, Papà Fulvio, geometra, e mamma Maura, maestra d'asilo, ascoltano, domandano. "Però, finché non la trovano", mormorano al colonnello dei carabinieri Roberto Tortorella, comandante provinciale di Bergamo. La villa dei Gambirasio torna a chiudersi nel silenzio. Non filtra un rumore. Non si sentono i giochi dei fratellini minori di Yara, Gioele e Nathan. La sorella maggiore, Keba, si isola nella sua cameretta. "Sono persone molto forti, e stanno vivendo anche questo momento con grande dignità", dice il sindaco Diego Locatelli. La testimonianza di Enrico Tironi - Adesso che il suo racconto potrebbe assumere un rilievo diverso Enrico Tironi non parla più. "Ho detto a chi dovevo tutto quello che avevo da dire - ha ripetuto il giovane -, volevo solo che venisse fuori la verità". Tironi, 19 anni, un ragazzo definito da molti chiuso e timido, è stato il primo testimone nel giallo della scomparsa di Yara Gambirasio. Era stato lui a raccontare alle tv prima ancora che agli inquirenti di aver visto la ragazzina in compagnia di due uomini adulti sulla strada di casa. La stessa strada che stava facendo lui in auto, perché la sua abitazione, dove vive con i genitori, è in via Ravasio, a meno di 200 metri da via Rampellini. "L'ho riconosciuta, era lei, la conosco da quando era una bambina - aveva detto - stava parlando con quei due uomini, uno forse era straniero, lei sorrideva ma non saprei dire se era un sorriso d'imbarazzo". Sentito dagli inquirenti, Enrico Tironi era stato ritenuto però inattendibile.

LA REPUBBLICA.IT - 06/12/10 - "OCCHIO PER OCCHIO, VIA GLI IMMIGRATI" CARTELLI RAZZISTI MA BREMBATE SI DIVIDE

E il sindaco avverte: "Qui non ci saranno né cacce all'uomo né show". Spiega un maghrebino: "La gente del posto lo sa, noi lavoriamo. E' sempre stato un paese tranquillo, noi non diamo problemi". La rabbia su Facebook: "Lasciate a noi quel marocchino, vengono solo a rubare e a violentarci le donne"dal nostro inviato PIERO COLAPRICO. Il sindaco di Brembate, Diego Locatelli BREMBATE - Solo i volontari sembrano aspettare senza angoscia la luce del mattino: "Per cercarla - giurano - come se Yara fosse viva". E attendono l'alba come se Yara "fosse in attesa di essere liberata". Gli altri? "Doveva toccare alla figlia di un giudice o di un politico, non di uno di noi. Così quelli che si occupano della legge capiranno una buona volta che cos'è che bisogna fare..." La frase spietata esce dalla bocca di un anziano, con un caschetto di capelli bianchi, che sta accanto a un coetaneo della protezione civile. Forse sta in questa frase la sintesi più cruda per raccontare senza diplomazie "come ci si sente" oggi a Brembate, dove il freddo di questo dicembre di neve e nebbia è niente rispetto al gelo che scende in via Rampinelli, davanti al cancello della famiglia Gambirasio, quando arriva, scuro e teso in volto, dopo una notte d'interrogatori, il colonnello provinciale dei carabinieri.Su Yara, tredicenne con l'apparecchio per tenere dritti i denti, resta ormai acceso un lumicino di speranza, sempre più flebile: a questo si riduce la "svolta". Brembate, che sinora ha rispettato la dolente scelta del silenzio invocata da papà Fulvio e mamma Maura, ha così uno scossone imprevisto. La delusione popolare per come vanno tante cose da tanti, troppi anni, dall'immigrazione alla certezza della pena, si condensa in un sordo rancore. Quello che fa dire: "Che volete sapere da noi? Rivolgetevi a quei marocchini là, al bar dove bevono la birra". E che innervosisce una donna robusta: "Hanno i figli che sono andati a scuola con Yara, perché non aiutano le ricerche, perché non dicono niente?".Non è facile nemmeno essere immigrato: "Per colpa di uno, rischiamo sempre tutti di passare dei guai, ma - spiega un magrebino - la gente del posto lo sa, qua noi lavoriamo, è sempre stato un paese tranquillo. Noi non diamo problemi, lavoriamo tutti". È sempre stato così, a Brembate, una sorta di quartiere residenziale della megalopoli di capannoni e mercatoni, condomini e ville che da Bergamo arriva sino alle Prealpi. Sino a dieci giorni fa, quando Yara scompare, quando Brembate si scopre ferita e vulnerabile, e non più "tranquilla" come si sognava. I più rumorosi conquistano oggi qualche spazio: soprattutto nelle tv, e molto meno nelle strade. Ecco lo sgommante quarantenne occhialuto. Arriva apposta su un grosso Suv tedesco e mostra il cartello "Occhio per occhio, dente per dente", scritto sul retro di un bersaglio del tiro a segno. Altri ostentano un "Marocchini fuori da Bergamo". Pochi episodi, estranei alla folla che due sere fa non ce la faceva a stare tutta nella chiesa, con le centinaia di volontari che arrivano qui da ogni angolo della bergamasca, con chi dice: "Ma che senso ha cercare un capro espiatorio? Per altro, non ci sono certezze...".Tanta gente, pur brontolando in privato, in pubblico va d'accordo con il sindaco Diego Locatelli, il quale all'improvviso si presenta ai giornalisti. E legge un comunicato. Quei cartelli di odio contro gli immigrati, dice, "non corrispondono al nostro modo di essere". Sono "singoli episodi" e si augura che "non vengano strumentalizzati". E quanto ai no comment continui raccolti dai cronisti? "Non abbiamo niente da nascondere, ma - spiega il sindaco - mettiamo a disposizione tutto quello che è possibile per aiutare la famiglia di Yara". Se insomma "non è stato possibile instaurare un rapporto con i media, come da loro auspicato", dipende da una filosofia (non solo bergamasca, ma qui molto sentita): "La nostra dignità e il nostro rispetto sono completamente a disposizione della famiglia e non si ha voglia di protagonismo o di audience. Invitiamo la stampa - precisa il sindaco - a comprendere che la vita non è fatta solo di show, ma di dignità, di gente che è abituata a lavorare in silenzio e a difendere la propria vita e il proprio paese". Di certo, assicura, "non ci sarà nessuna caccia all'uomo".Accanto al sindaco, rincara la dose il compagno di partito e deputato Giacomo Stucchi: "Gli squilibrati ci sono ovunque, mi dissocio in tutti i modi contro questi gesti che se la prendono con un'intera comunità, e non contribuiscono sicuramente a creare un clima sereno intorno alle indagini e alla famiglia. Lancio un appello alla calma".Giorni pesanti e tragici sembrano però alle porte di Brembate (e non solo). "Lasciatecelo in piazza", "Noi non abbiamo mai cercato niente, loro vengono qui a rubarci il lavoro e violentarci le donne": sono queste e altre le frasi che circolano sulla Rete. L'orrore che s'è infilato proprio qui, sotto la porta di questa casa, sta producendo creando un corto circuito tra i "commentatori" e i fannulloni di Facebook. Il gelo intanto penetra nei cuori degli investigatori, di chi sa qualche cosa, di chi ormai teme l'indicibile.

lunedì 15 novembre 2010

CORRIERE DELLA SERA - 15/11/10 - BOSSI: UN "BIS" E' POSSIBILE MA SILVIO ORA GIOCA AL RIBASSO

Il Senatur: a me Fini ha detto che non si oppone al reincarico
Sant'Omobono Terme. "A me Fini ha detto che non gli darebbe fastidio vedere Berlusconi fare il presidente del Consiglio ... io sto alle sue parole". Umberto Bossi arriva a Sant'Omobono Terme, nella Bergamasca, e sembra di ottimo umore. Ride e scherza a dispetto del clima da fine del mondo del meteo e della politica. Il leader leghista conferma quello che aveva detto Roberto Maroni il giorno prima, e cioè la disponibilità di Gianfranco Fini a un nuovo governo Berlusconi, purché preceduto da formali dimissioni. Eppure, il premier sembra aver imboccato tutta un'altra strada, quella della sfida diretta in Parlamento, a costo di una sfiducia a Montecitorio. Facendo balenare, in quel caso, la possibilità di tornare al voto soltanto per rieleggere la Camera, il ramo del Parlamento in cui i numeri almeno sulla carta, condannano l'esecutivo. Ma di questo, Umberto Bossi non vuole parlare: "Berlusconi lo sento domani (oggi) ...". Poi, però, il leader leghista aggiunge qualcosa: "secondo me, anche lui vuole andare al voto. Per questo gioca al ribasso. Mentre io giocherei al rialzo". La frase è sibillina ma l'interpretazione autentica che ne viene fornita è la seguente: Berlusconi dovrebbe apertamente ripresentarsi agli elettori spiegando quanto è accaduto. Punto e basta. Ma per il momento, il premier preferisce non farlo, considera l'ipotesi un tradimento degli elettori e una fuga dalle responsabilità. E dunque, punta alla sopravvivenza del governo nella speranza che una fiducia al Senato rafforzi la maggioranza gettando nell'incertezza i deputati. Un'interpretazione che ben si accorda con la convinzione che negli ultimi giorni si è andata radicando tra gli onorevoli leghisti, chi lo sa quanto fondata: di fronte a un voto di sfiducia, molti finiani non avrebbero il coraggio di voltare le spalle a Silvio Berlusconi. Lo dice con chiarezza il deputato bergamasco Giacomo Stucchi: "Alla fine, l'ipotesi di lasciare la poltrona in anticipo farebbe tremare molti di loro. Talebani a parte, i vari Bocchino, Briguglio, eccetera ...". E' un'interpretazione che non stride con le indiscrezioni provenienti da Roma su un' "ultima offerta" da proporre a Gianfranco Fini per il suo sostegno a un Berlusconi bis. Per Umberto Bossi, l'unica cosa di cui proprio non si può parlare è un governo non guidato dal leader pdl: "E chi lo sostituisce Berlusconi? io". A quel punto il capo padano si innamora della battuta: "Sì, sì ... lo faccio io - ride -. Così, poi, voi giornalisti vedete ... " Uno show che, per inciso, consente al leader leghista di non esprimersi sui possibili candidati premier alternativi su cui nelle ultime settimane molto si è almanaccato, da Tremonti a Maroni. Chi ieri ha voluto sgomberare il campo dalle "fantasie" in circolazione è stato Roberto Calderoli: "Sento in giro - ha detto all'Ansa - tante analisi improvvisate e tanti discorsi furbini sul fatto che noi saremmo pronti a trattare con chiunque pur di ottenere il federalismo. Vero, lo abbiamo detto, siamo pronti a trattare anche con il diavolo ma con tutti non vuol dire con chiunque. E il Chiunque che abbiamo davanti è spesso chi ha messo i bastoni tra le ruote delle riforme, i centralisti travestiti. Quelli che oggi fanno una promessa pur di disarcionare Berlusconi e domani te li ritrovi contro". E sospira: "Sapesse quanti sono venuti a tirarci per la giacchetta ...". L'unica certezza, al contrario, è che "la Lega è e resta leale a Berlusconi perché lui lo è stato con noi". Un fatto curioso: sia Bossi che Calderoli ieri hanno usato in modo forte la parola "rivoluzione". Il leader padano per dire che la base del Carroccio "è unita perché, sa che dobbiamo fare la rivoluzione". Mentre Calderoli ha avvisato in modo esplicito: "Noi leghisti siamo rivoluzionari perché abbiamo scelto di rappresentare il territorio e i bisogni delle gente. E chi dovesse scegliere una terza via, che è antidemocratica e sarebbe un ribaltone, aprirebbe la strada a una reazione dura da parte del popolo del Nord, con la ripresa delle pulsioni secessioniste". E questa frase, a sua volta, ben si accorda con la frase che circola tra i militanti leghisti: "Tenetevi pronti, che tra quindici giorni il quadro potrebbe cambiare completamente".

martedì 2 novembre 2010

IL GIORNALE - 02/11/10 - LA LEGA STA CON SILVIO: RIVOLTA DI POPOLO SE FANNO IL RIBALTONE

Bossi: "Con le puttanate nascondono scandali veri" Calderoli: "E' il golpe dei fighetta senza voce nè voti"
Roma Bossi l'ha già detto venerdì scorso nel quartier generale della Lega, davanti ai suoi: Berlusconi quella telefonata «se la poteva evitare», bastava chiamare l'amico Umberto che avrebbe poi chiamato Maroni, e finita lì, «si metteva a posto tutto», senza finire nelle grinfie dei nemici. «Silvio ha fatto un po' il pollo», dice un fedelissimo di Bossi, «ma di telefonate di politici
nelle questure ne arrivano dozzine, solo che fanno chiamare gli assistenti, non lo fanno loro direttamente, son solo più furbi ai...». Malumori? «La nostra gente, e non solo quella, pensa questo: chissenefrega delle ragazze, se aBerlusconi piacciono sono fatti suoi - racconta Giacomo Stucchi, onorevole leghista molto attivo sul territorio – Cercano di incastrarlo con queste storie perché non trovano altro, siccome non ruba come fanno altri, vanno a vedere cosa fa la sera, ma tutti capiscono che è una campagna pretestuosa».Certo, la Lega ne avrebbe fatto volentieri a meno di Ruby. Se c'è un rimprovero che il Carroccio sta facendo, a tutti i livelli, a Berlusconi è questo: la mancanza di furbizia e di prudenza. Come se non ci fossero orde di nemici pronti a cogliere ogni minimo passo falso del premier per accusarlo di qualsiasi nefandezza e muovergli guerra, colpendo di rimbalzo anche l'alleato. «Loro vogliono parlare di queste puttanate per nascondere gli scandali veri» ha detto Bossi ai suoi nell'ultimo incontro, «cornei concorsi falsi al Sud, una vergogna », e poi per cercare di bloccare la rivoluzione, «il federalismo». Per il resto, la storiella della marocchina è catalogata dai leghisti con sostantivi che non è carino ripetere su un giornale. Il senso generale, pubblicabile, è «stupidata». Bossi è «preoccupato», dicono quelli che hanno avuto modo di parlargli, perché vede chiaro un disegno «sovversivo» per mandare all' aria il governo e sostituirlo con un papocchio gradito ai poteri forti. Con la scusa della riforma elettorale, «una cosa che alle gente non interessa affatto» spiega Manuela Dal Lago, deputata e presidente della commissione Attività produttive, e che vogliono fare «solo per togliere il premio
di maggioranza». «Fini è percepito come il traditore di una maggioranza solida e forte - continua la fedele di Bossi - che avrebbe l'opportunità storica di cambiare il Paese, se lui non facesse di tutto per affossarla». Niente è più lontano dagli umori leghisti quanto una tentazione verso tavoli o esecutivi tecnici, cosa che invece i giornali continuano a far balenare nelle cronache degli ultimi giorni. Calderoli ieri ha perso la pazienza su questo punto: «Macché governo tecnico, macché Lega interessata a un governo tecnico! lo sono preoccupato che qui, profittando delle vicende personali di Berlusconi, sia in atto un colpo di Stato, ma sarebbe il golpe dei fighetta, di quelli che frignano e che non hanno voce e voti. Mase c'è colpo di Stato la rivolta del popolo è legittima». Un ribaltone sarebbe «un golpe» per la Lega, un' operazione «antidemocratica» secondo Berlusconi, stessa linea dunque. Ma la Lega cosa farà? Per adesso niente, attesa tattica. Quello che i leghisti si sentono ripetere dal loro popolo in ogni festa o incontro pubblico, però, è:voto, voto, voto. Andare alle urne per azzerare tutto e dare una lezione a Fini «il traditore», «il meridionalista ». I leghisti in Parlamento hanno fatto quattro conti, e sono convinti che alla Camera il Pdl - Lega avrebbe la maggioranza, e al Senato anche (grazie al premio in regioni chiave come Veneto e Lombardia). Però se Bossi attende a muovere gli eserciti è perché i decreti delegati sul federalismo fiscale sono a un passo dall' approvazione, ed è il risultato che la Lega insegue da vent'anni. Il termine ultimo è febbraio marzo. Una volta portato a casa il federalismo, può succedere tutto. E si potrebbe finalmente fare i conti con Fini, non in Parlamento ma nelle urne. Sempre che non facciano prima «un golpe dei fighetti ». A quel punto la Lega è pronta a tornare Lega soltanto di lotta. Come ai vecchi tempi, quando si dava del «fascistone » a Fini. Molti, tra Veneto e Piemonte, non vedono l'ora.

martedì 26 ottobre 2010

AGENPARL - 26/10/10 - CONTRAFFAZIONE: REGUZZONI (LNP), STUCCHI FARA' UN OTTIMO LAVORO CONTRO UNA PIAGA DA DEBELLARE

Roma, 26 ott - “Siamo attenti alle cose concrete e alla politica del fare. E dopo il successo storico in Europa sul regolamento del “Made in “ per i prodotti tessili, oggi abbiamo un altro strumento utile i cui compiti saranno anche quelli di curare l’attuazione della legge Reguzzoni- Versace”. A dichiararlo è, in una nota, il capogruppo della lega Nord alla Camera Marco Reguzzoni, in merito all’insediamento della Commissione parlamentare d’inchiesta per la lotta alla contraffazione, la cui presidenza è stata affidata all’onorevole leghista Giacomo Stucchi. “Si tratta di uno strumento molto importante - commenta Reguzzoni – e che la Lega ha fortemente voluto perché costituisce un’arma straordinaria per recuperare competitività per le nostre aziende e posti di lavoro”. “È stato calcolato – spiega il capogruppo leghista – che ammonta a svariate decine di miliardi di euro il danno economico derivante la nostra economia dalle pratiche di concorrenza sleale, operate spesso da Paesi come la Cina. Recuperarne anche solo 10 miliardi corrisponderebbe a ridare il posto di lavoro a 200mila cassaintegrati: misura che consentirebbe il rilancio della nostra economia e dei salari dei nostri lavoratori”. “Ho voluto fortemente la nomina di Giacomo Stucchi, deputato leghista bergamasco di lungo corso – conclude Reguzzoni – perché la ritengo la persona giusta per combattere adeguatamente questa piaga. Abbiamo inoltre inserito il deputato Fabio Rainieri che potrà supportare il lavoro dell’onorevole Stucchi con riguardo alla produzione agricola e alimentare”.

IL SOLE 24 ORE - 26/10/10 - IL LEGHISTA STUCCHI E' PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE D'INCHIESTA SULLA CONTRAFFAZIONE

Giacomo Stucchi, deputato della Lega nord, è stato eletto presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulla contraffazione in ambito commerciale. La scelta Stucchi, 41 anni, bergamasco, già presidente della commissione per le Politiche dell'Ue della Camera dal 2001 al 2006 e attuale segretario dell'ufficio di presidenza di Montecitorio, è stata appoggiata anche da alcuni parlamentari dell'opposizione. Vicepresidenti sono Giuseppe Galati (Pdl) e Ludovico Vico (Pd), mentre segretari sono Anna teresa Formisano (Udc) e Filippo Ascierto (Pdl). «Ringrazio i colleghi per la fiducia», ha commentato il neopresidente subito dopo l'elezione, «ed esorto tutti a mettersi a lavoro nell'ambito dei compiti e delle prerogative che il Parlamento riconosce alla ommissione. Le aziende e i cittadini si aspettano un contributo rilevante nella lotta al fenomeno della contraffazione e della pirateria ai danni delle attività commerciali». La commissione, ha sottolineato Stucchi, «dovrà essere punto di riferimento nella battaglia all'illegalità economica e alla concorrenza sleale». Un problema che deve essere trattato come un'emergenza. I numeri del mercato del falso in Italia, infatti, sono elevatissimi: 7 miliardi di euro e 130mila posti di lavoro non creati, con notevoli conseguenze negative anche sulle entrate tributarie. Un mercato che, dunque, incassa miliardi nonostante le sanzioni siano state rafforzate.

domenica 10 ottobre 2010

IL GIORNALE.IT - 10/10/10 - I LOMBARDI IN PARLAMENTO: ECCO BUONI E CATTIVI

Deputati e senatori lombardi ai raggi X. La più brava? Paola Frassinetti (Pdl) presente a ben 6.708 delle votazioni in aula a Montecitorio (il 99,7 per cento) anche se il premio per il parlamentare più assiduo va a Giancarlo Serafini, pure lui del Pdl che con un bello zero nella casellina delle assenze alle 4.191 chiamate, può vantare un imbattibile primato a Palazzo Madama. Dietro di lui, con una sola assenza, il leghista Armando Valli.Questi, secondo i dati elaborati dal Sole 24 Ore, son numeri e non chiacchiere come quelle che tanto piacciono al tribuno molisano Tonino Di Pietro i cui luogotenenti in Lombardia non brillano certo per diligenza. Sarà che l’ex magistrato e i suoi son sempre in tivù, ma il gruppo che meno frequenta i banchi di Montecitorio è proprio quello dell’Italia del valori, con il 20 per cento delle assenze. Come non c’è il professor Umberto Veronesi, senatore in quota al Pd bocciato da una classifica che lo vede al primo posto delle «bigiate». Ben il 65 per cento. E tra i primi dieci «assenteisti», degli eletti in Lombardia, ben nove sono del centrosinistra. Al secondo posto un’altra icona dei democrat, l’ex magistrato di Mani pulite Gerardo D’Ambrosio. A seguire Giuliana Carlino (IdV), ex consigliere a Palazzo Marino furiosa nella famosa notte degli «emendamenti in bianco» ai tempi di Gabriele Albertini, Mauro Ceruti (Pd), Gianpiero De Toni (Idv), Tiziano Treu (Pd). A interrompere la lista il senatore del Pdl Marcello dell’Utri a cui però sono stati concessi ben 3.618 permessi per missioni autorizzate o congedi. Poi ancora tanto Pd con Emanuela Baio, Daniele Bosone, Guido Galperti, Fiorenza Bassoli, E l’ex sottosegretario del governo Prodi Luigi Vimercati, preceduto dal presidente della Fondazione Fiera Gianpiero Cantoni (Pdl). Ma a questo livello la percentuale delle assenze è già ridotta a un quasi fisiologico 5 per cento. Nella classifica dei virtuosi, tra i 47 senatori lombardi dietro a Serafini e Valli si piazzano i leghisti Roberto Mura, Lorenzo Bodega, Irene Aderenti e Sandro Mazzatorta. Poi il pdl Alessio Butti e il finiano Giuseppe Valditara con solo lo 0,5 per cento delle assenza. Mosca bianca del centrosinistra Maria Cinzia Fontana che si piazza al nono posto. E per trovare un suo collega bisognerà scendere parecchio. Tutti del centrodestra Fabio Rizzi (Lnp), Valerio Carrara (Pdl), Ombretta Colli (Pdl), Guido Possa (Pdl).Tornando alla Camera, nel girone dei virtuosi dietro alla Frassinetti ci sono Marco Desiderati (Lnp), il vicepresidente Maurizio Lupi (Pdl), Antonio Palmieri (Pdl), Claudio D’Amico (Lnp), Gregorio Fontana (Pdl). L’unico del Pd è Marco Carra (settimo) seguito dai leghisti Davide Caparini, Nicola Molteni, Roberto Maroni, Giacomo Stucchi e da Mariella Bocciardo del Pdl. Tra i più assenteisti l’ormai anziano ex ministro Mirko Tremaglia con il 76,4 per cento delle assenze, Antonio Angelucci (Pdl), la moglie dell’ex ministro Franco Bassanini Linda Lanzillotta (Api), l’ex enfant prodige della sinistra Enrico Letta (Pd) con il 42,9 per cento delle assenze, Andrea Orsini (Pdl), Ettore Pirovano (Lnp), Savino Pezzotta (Udc) e il cognato di Di Pietro Gabriele Cimadoro assente una volta su tre. Non fanno bella figura nemmeno i pd Antonello Soro, Furio Colombo, Alessia Maria Mosca, Anna Teresa Formisano (Udc), Matteo Colaninno e Barbara Pollastrini.

mercoledì 29 settembre 2010

LA REPUBBLICA - 29/09/10 - SPIRANO, NEL PAESE VERDE LEGA ANCHE IL CENTRALINO PARLA BERGAMASCO

Strisce pedonali, mezzi comunali, portale web, giornalino: tutto di un unico coloreCorsi di dialetto per i piccoli. Il sindaco: "Nello statuto c'è la tutela della nostra lingua"
SPIRANO - S.P.Q.S.: sono pazzi questi spiranesi. Per dirla con Asterix, quello vero, mica Bossi, uno potrebbe pensare che da queste parti il consenso ha dato alla testa. Sarà anche così ma ce la mette tutta il sindaco Giovanni Malanchini, 36 anni, imprenditore della plastica, uno che alle sei del mattino è già in ufficio a scrivere su carta intestata in bergamasco, per convincerti che dietro alla dialettizzazione del paese, dietro ai cartelli bilingui come le qualifiche di assessori e consiglieri, al notiziario, alla segreteria telefonica in slang locale; dietro al verde che tutto tinge - i dossi pedonali, la scuola, i furgoni dei servizi sociali - dietro a tutto questo non c'è solo un metodo (Lega) ma anche dello studio. "Ci siamo rivolti a uno storico e a un cantautore locale, che tra l'altro, lo scriva, è tutto fuorché leghista". A 617 chilometri dal "porcile romano", sdraiato sulle lande bergamasche tra fabbriche e campagne, c'è Spirano. Che potrebbe benissimo stare nel land bavarese o in Alto Adige. In fondo il modello quello è. Spirano incarna il sogno leghista dell'indipendenza, dell'affrancamento-secessione se non ancora amministrativa almeno culturale dall'Italia. Un luogo dove prima viene il dialetto e poi semmai l'italiano, dove il 50 per centodella popolazione (5.365) vota Lega e dove il 70 per cento di quelli che vanno a parlare col sindaco si esprime - ricambiato - in dialetto. Tutto o quasi è lega-lizzato, qui. Sono solo stati attenti a non inciampare nella scivolosa sindrome Adro: niente Soli delle Alpi, per capirci. E cioè il simbolo del Carroccio. Ma tutto il resto sì, alla grande. "Sono cose che piacciono alla gente. Sia ai giovani che agli anziani", ragiona il vicesindaco Giancarlo Menotti. E già. In principio fu la toponomastica. Sotto i cartelli con il nome delle vie hanno affisso la seconda dominazione, in dialetto, che indica la contrada dell'epoca (si va dal 1500 al 1800). Poi sono arrivate le altre novità: la carta intestata del sindaco e della giunta (bilingue, italiano e bergamasco); lo stemma del paese, il giornalino con il notiziario per i cittadini; i messaggi di auguri del sindaco ai neodiciottenni; il calendario. Tutto in "lingua bergamasca", perché, chiosa il primocittadino alla vigilia del 150° dell'unità d'Italia, "mia figlia ha sei mesi e voglio che impari il bergamasco". Il Comune ha organizzato un corso per educare l'eloquio dei giovani nel segno del "recupero della tradizione". "Nel nostro statuto, sedici pagine, il più breve d'Italia, c'è la tutela della lingua bergamasca". L'immagine che sintetizza il processo di padanizzazione sociale di Spirano è il sorriso di Tony Iwobi, leghista nigeriano, capogruppo stravotato, presidente della commissione cultura. In pratica l'ufficio da cui escono le varie trovate che qui nessuno considera folcloristiche. "In giunta parliamo solo in dialetto", racconta fiero il sindaco Malanchini. L'ultimo guizzo dell'amministrazione è la segreteria telefonica in idioma orobico. Chi chiamerà il centralino del Comune impatterà con una voce local su base composta dallo chansonnier bergamasco Luciano Ravasio. Guai a parlare di forzature. "I nostri amministratori amano le loro comunità - dice il parlamentare Giacomo Stucchi - e solo difendendo la nostra identità si tutelano gli interessi veri dei cittadini". È la speranza il punto forte di Spirano. Nel senso che il colore dominante è il verde: verdi i dossi dei passaggi pedonali ("abbiamo fatto un concorso e tutti hanno presentato il verde"), verde la nuova scuola media, verdi i mezzi dei servizi sociali, verdi il giornalino e il portale web del Comune. Verde declinato in varie tonalità. "Il nostro è acceso, quasi brillante. Non il classico verde Lega", sfuma il sindaco. "Non che me ne vergogni eh... ". Gli chiediamo cosa pensa della battuta di Bossi e dei romani: "Tanto clamore esagerato. Comunque io ho dei clienti romani e hanno sempre pagato regolarmente".

lunedì 6 settembre 2010

IL GIORNALE.IT - 06/09/10 - BOSSI SE LO ASPETTAVA: "PARLA COME LA SINISTRA" MARONI: "E' RINATA AN"

Roma. Tutto sarà più difficile adesso, e al minimo segnale di intoppo subito al voto. La reazione alle parole di Fini, molto dure anche sulla Lega Nord, si fanno attendere più di un’ora. Poi arriva Bossi, che sembra mettere una pietra sopra la possibilità di proseguire il cammino con un «alleato» come quello uscito da Mirabello: «Fini non ha detto niente di importante né di nuovo: ha detto, peggio, che la sinistra ha ragione e che bisogna rifare la legge elettorale. Per Berlusconi la strada è molto stretta: se tutti i giorni deve andare a chiedere i voti a Fini e a Casini per far passare una legge non dura molto. La situazione è difficile, perché è come se Fini avesse detto “non voglio accordi con la Lega”. Anzi, peggio: “Io ce l’ho con il nord”. Se Berlusconi dava retta a me si andava a elezioni e non c’erano Fini ne Casini né la sinistra che scompariva». Poi sulla questione monegasca, Bossi ha attaccato direttamente Fini: «Fini si è preso addirittura un appartamento del suo partito e se lo è incamerato. Dunque non mi pare possa dare lezioni di bon ton».Il primo a parlare, prima che ci fosse una linea ufficiale sul dopo-Mirabello, era stato Roberto Castelli, che già avvertiva aria di temporale sopra la maggioranza: «Prevedo una dura vita in Parlamento. Si crea anche un duro vulnus istituzionale, perché Fini si pone come un segretario di partito e contemporaneamente come presidente della Camera». Nella mattina il ministro Roberto Maroni aveva creato il pathos necessario per il discorso del presidente della Camera, caricandolo di aspettative e di responsabilità per l’esito della legislatura («Se c’è una maggioranza si continua, se non c’è si va a elezioni, un governo diverso da quello deciso dagli elettori sarebbe inaccettabile»). Con l’ambiguità profonda in cui si è collocato Fini, dissidente ma interno alla maggioranza e anche al Pdl, l’esito, secondo la Lega, è ancora incerto, ma molto più negativo che positivo. Perché l’attacco al federalismo troppo nordista, alla Padania come invenzione, al governo che si è «appiattito sulla Lega», non sono piaciuti affatto, e hanno rafforzato l’idea di un Fini nemico del Nord e antagonista della Lega. «Mi pare evidente che sia rinata Alleanza Nazionale, un partito che assicura gli interessi del sud più che quelli della Padania che per Fini non esiste ma per noi esiste e come - commenta Roberto Maroni a margine della festa della Lega nord a Torino. «La questione è seria, bisognerà valutare nei prossimi giorni se ci sono le condizioni per andare fino alla fine della legislatura oppure no. La questione adesso è nelle mani del presidente del Consiglio». La risposta che si respira dentro il Carroccio, anche se non detta, è no. Con queste premesse non si potrà andare avanti molto, e allora meglio votare al più presto, «i tempi tecnici per farlo prima di Natale ci sono - spiega il deputato della Lega Giacomo Stucchi -. Si è creata una situazione imbarazzante, con un soggetto politico che pretende di stare nella maggioranza mentre il suo leader dice che quella stessa maggioranza non rappresenta gli interessi del Paese. Aspettiamo di vedere cosa succederà in aula tra dieci giorni, poi decideremo». Negli ultimi giorni la Lega aveva fatto sfoggio di grande tatticismo, cercando di far rientrare la frattura e proponendosi anche come mediatrice col «galantuomo» Fini. Fiducia mal riposta, ragionano ora i vertici del Carroccio, dopo l’attacco doppio a Berlusconi e alla Lega, dipinta sostanzialmente come una forza locale e disgregatrice. La verità è che il discorso del leader di Fli ha confermato i peggiori sospetti serpeggianti nel Carroccio, quello di una formazione nata per difendere gli interessi assistenzialisti del centro-sud, che punta proprio all’asse Berlusconi-Bossi come principale obiettivo da colpire. Perché quando si parla di federalismo, ma ci si mette dopo un aggettivo («solidale»), si tratta certamente di «una fregatura», assicura l’eurodeputato della Lega

giovedì 26 agosto 2010

AGI - 26/08/10 - GUERRIGLIA ULTRA', MARONI: "NON SONO TIFOSI MA VIOLENTI"

(AGI) - Bergamo, 26 ago. - Guerriglia ultra' alla Berghem Fest leghista di Alzano lombardo. Ieri sera l'ira della curva dell'Atalanta, che non ha digerito la 'tessera del tifoso' voluta da Roberto Maroni, ha preso di mira lo stesso ministro dell'Interno, impegnato in un dibattito sul palco della festa insieme al collega dell'Economia, Giulio Tremonti, e quello della Semplificazione normativa, Roberto Calderoli. Circa 300 ultra' si sono radunati, verso le 22, a un centinaio di metri dall'ingresso della Berghem, poi, alcuni di loro sono riusciti a raggiungere la zona dietro il palco e, da una cinquantina di metri, hanno cominciato a lanciare bottiglie vuote e bombe carta, e fumogeni per coprirsi la fuga dai poliziotti. Bilancio finale delle serata: quattro auto incendiate, due agenti della polizia locale e uno della Digos in ospedale dopo aver respirato il fumo dei lacrimogeni. I ministri sono stati protetti dal servizio di sicurezza, ma a un certo punto la situazione e' sembrata sfuggire un po' di mano tanto che una bottiglia ha sfiorato l'assessore regionale bergamasco, Daniele Belotti. I violenti sono risuciti a fuggire coperti dai lacrimogeni. Finora non si registra alcun fermo anche se nella notte sono stati avviati accertamenti e controlli.
Durissimo Maroni che, dal palco, ha rifiutato qualsiasi dialogo: "Sono disposto a parlare con i tifosi, ma non quelli violenti". "Saranno presi provvedimenti severi nei confronti di chi ha commesso atti di violenza", ha promesso, "chi ha determinato quanto accaduto puo' scordarsi di entrare negli stadi per molto tempo". "Quello che e' avvenuto e' molto grave - ha aggiunto -. La violenza non e' mai giustificabile, mai accettabile" e i responsabili "saranno identificati e colpiti e puniti duramente". Il titolare del Viminale non e' disposto ad alcun passo indietro sulla tessera del tifoso. "Quello che e' avvenuto - ha spiegato - conferma la mia convinzione che ci sono i tifosi e ci sono i violenti. E nei confronti dei violenti non c'e' possibilita' di mediazione. I violenti devono essere fermati, lo facciamo e continueremo a farlo. La tessera del tifoso e' uno strumento utile proprio in questa direzione". Sembra che l'arrivo dei tifosi fosse atteso dalle forze dell'ordine. Anzi, proprio attraverso la mediazione di Belotti, un piccolissimo gruppo avrebbe dovuto incontrare brevemente Maroni per discutere del suo progetto. Ma qualcosa e' andato storto, pare una diversita' di vedute tra la linea 'soft' e quella oltranzista della curva. Cosi', non solo l'incontro e' saltato, ma la situazione e' degenerata non appena il ministro leghista e' salito sul palco e ha preso parola. La voce di Maroni, diffusa dagli altoparlanti, e' arrivata ai contestatori, ancora fermi a un centinaio di metri dall'ingresso della festa, i quali hanno cominciato a fischiare e a scandire cori di contestazione. Per un quarto d'ora gli ultra' sono rimasti li', poi, all'improvviso, se ne sono andati. Forse una tattica per ingannare i poliziotti, perche' in altri punti della zona erano pronti altri due gruppi di ultra' che hanno raggiunto il retro palco e da una cinquantina di metri hanno cominciato a lanciare fumogeni, petardi e bengala, sassi e bottiglie. Gia' da ieri sera la polizia ha iniziato una serie di controlli nei confronti di alcuni dei membri degli ultras nerazzurri, verificando la loro eventuale presenza sul luogo della contestazione. Accertamenti proseguiti anche nel corso della mattinata. Ulteriori dettagli da parte della questura potrebbero essere resi noti nel corso della mattinata. Qualche polemica intanto e' nata intorno al fatto che gli ultras siano riusciti ad arrivare cosi' vicini al palco su cui si trovavano i ministri Maroni, Tremonti e Calderoli. E il deputato leghista bergamasco Giacomo Stucchi ha preannunciato che presentera' un'interpellanza parlamentare sull'efficienza del servizio d'ordine: "Si sapeva che ci sarebbe stata una manifestazione dei tifosi, l'efficienza del servizio d'ordine e' stata carente. Queste cose non possono succedere. Questi non sono tifosi, sono criminali".

AGI - 26/08/10 - ULTRA': DAL VESCOVO AL SINDACO DI BERGAMO UNA FERMA CONDANNA

(AGI) - Bergamo, 26 ago. - Dal sindaco, al vescovo, al presidente della Provincia: Bergamo condanna gli ultra' violenti dell'Atalanta, il giorno dopo l'assalto alla Beghem Fest di Alzano Lombardo contro Roberto Maroni. "La passione sportiva non deve diventare mai pretesto di violenza", ha avvertito il vescovo, monsignor Francesco Beschi, celebrando, in Duomo, davanti alle autorita' cittadine, la messa per la festa patronale di Sant'Alessandro. Per il primo cittadino di Bergamo, Franco Tentorio, i tifosi neroazzurri hanno commesso "un errore grave e non recuperabile". Mentre, il presidente leghista della Provincia, Ettore Pirovano, ha avanzato l'ipotesi che quelli di ieri sera fossero, in realta', "estremisti politici" e non ultra' atalantini ("o comunque non lo fossero se non solo in minima parte"). "Comunque si sapeva che sarebbero arrivati - ha polemizzato - lo sapevo io, e lo sapeva chi doveva saperlo". Sulla stessa linea il deputato del Carroccio, Giacomo Stucchi. "Non erano tifosi ma delinquenti - ha sostenuto -. E comunque penso che fossero soprattutto esponenti delle vecchie Brigate Nerazzure, legate all'estrema sinistra". Il segretario provinciale di Rifondazione Comunista, Ezio Locatelli, dal canto suo, ha condannato i fatti di violenza ma espresso anche perplessita' sulla tessera del tifoso, voluta da Maroni e contestata dagli ultra'. A suo giudizio, si tratterebbe di "forme di schedatura di massa": ai leghisti "rimane solo che agitare la politica della repressione e del manganello", fomentando cosi' "malessere ed esasperazione".

AGI - 26/08/10 - TESSERA TIFOSO, ULTRA' ATALANTA IRROMPONO A FESTA LEGA

(AGI) - Alzano , 26 ago. - Fumogeni e petardi hanno interrotto ieri sera il dibattito tra i ministri Maroni, Tremonti e Calderoli in corso alla Bérghem Fest. Sono i tifosi dell'Atalanta che hanno fatto irruzione per protestare contro la tessera del tifoso. Mentre Maroni stava parlando dal palco, il discorso e' stato interrotto dal dissenso dei tifosi. Sollecitato dall'intervistatore a commentare l'accaduto, Maroni ha detto: "Questi non sono tifosi, io con i violenti non parlo. Parlo con i tifosi veri". Mentre il ministro dell'Interno Roberto Maroni stava parlando dal palco, in platea si sono sentite nove esplosioni dietro al palco. Le forze dell'ordine si sono subito schierate e alcune automobili sono state date alle fiamme. I tifosi, diverse decine secondo alcuni testimoni, si erano radunati in un bar del Paese per poi dirigersi verso la festa, che ospitava il ministro dell'Interno. I tifosi, che avevano il volto coperto da sciarpe dell'Atalanta, si sono poi allontanati dalla manifestazione, dopo che i vigili del Fuoco hanno spento le fiamme, causate dalle bombe carta e dai fumogeni. La contestazione era nata da una controversia sulla tessera del tifoso, che alcuni supporter atalantini temevano di non poter ricevere essendo stati in passato colpiti dal Daspo. Prima del dibattito sul palco, l'assessore regionale al territorio Daniele Belotti si era offerto di rappresentare le istanze degli ultras al titolare del Viminale. Ma un diverbio tra gli stessi tifosi ha fatto naufragare la 'trattativa' e dunque i 'nerazzurri' si sono scatenati lanciando bombe carta e fumogeni. Giacomo Stucchi, deputato leghista e lui stesso tifoso, ha bollato la contestazione: "non sono tifosi, sono solo violenti".

mercoledì 11 agosto 2010

IL GIORNALE - 11/08/10 - GLI ALLEATI

Roma Bologna, Torino e Trieste, nuove tappe di conquista per la Lega nella prossima tornata amministrativa, ma nel frattempo già si ragiona di politiche, ampiamente auspicate dai vertici leghisti. Non solo per uscire dal «pantano», come lo definisce Bossi, in cui la maggioranza si è ritrovata, ma anche per calcoli più pratici. La Lega ragiona su pronostici che la danno tranquillamente sopra il 10 per cento, tetto storico raggiunto dalla Lega solo nel ’96. Adesso i sondaggi descrivono una forbice che va dall’11% al 13%, anche se qualcuno nel partito accredita addirittura un 15% su scala nazionale, che sarebbe non un record ma un risultato inaudito per un partito radicato al Nord e ancora abbastanza inviso al Sud. Ecco, la novità su cui si sta lavorando tra via Bellerio e le segreterie regionali, tocca proprio questo punto, l’estensione geografica del progetto Lega. Dalle regioni meridionali sono arrivate negli ultimi mesi centinaia di richieste per aprire nuove sezioni, anche in terre inimmaginabili per il Carroccio (Napoli, la Calabria, la Puglia). Il tema più concreto e appetibile però riguarda le «roccaforti rosse», su cui la Lega punta per allargare la sua base a scapito del Pd (mentre al Nord gli affluenti del dio Po si ingrossano a scapito del Pdl...). Negli ultimi due giorni Bossi si trovava in Liguria, tra Alassio e Albenga. Certo, per assistere al tradizionale appuntamento agostano delle selezioni per miss Padania, ma anche per celebrare un avanzamento considerevole della Lega Nord, particolarmente appetitoso in vista di elezioni anticipate, nella «rossa» Liguria, dove dal 2005 al 2010 il Carroccio è passato dal 4,7% al 10%.E una crescita sensibile della Lega nelle regioni a maggioranza ex comunista non si registra solo a Nord, tra Liguria ed Emilia-Romagna, ma anche in Toscana, in Umbria e nelle Marche, e addirittura in Puglia, dove i rispettivi coordinatori hanno organizzato gazebo e iniziative sul territorio per intercettare un movimento d’opinione che, congedandosi dal Pd, si dirige verso il nuovo «operaismo» leghista. Anche per questo motivo la Lega spinge per il voto, che si annuncia un boom mai visto per gli uomini e le donne di Bossi. «Si va a votare subito e sono esclusi governi di larga coalizione o tecnici per prolungare la legislatura» ha ripetuto ieri Bossi, da Alassio. «Non si può andare contro la volontà popolare. In democrazia c’è il governo votato dalla gente. Da Berlusconi in poi i governi sono sempre stati votati dalla gente». Nessuno spazio di trattativa con il centrosinistra e gli altri pezzi di opposizione che invocano esperimenti di «transizione», dunque. L’alleanza con Berlusconi non è in discussione per la Lega. Anzi, l’idea di un Pdl libero da Fini è musica per le orecchie dei parlamentari leghisti. «Se la situazione precipitasse verso il voto non ci stracceremmo certo le vesti - dice Giacomo Stucchi, deputato bergamasco della Lega -. Anche perché così ci libereremmo dei meridionalisti finiani. Nella Lega si sente profumo di grande successo elettorale». Se davvero si votasse, e la realtà delle urne confermasse le più rosee previsioni della Lega, cioè il 15%, a Roma arriverebbero non più 60 deputati del Carroccio, ma 100. Un numero che sommato a quello dei pidiellini, costituirebbe un blocco compatto come probabilmente mai è accaduto nella seconda repubblica. A quel punto le riforme, quelle più a cuore al Pdl (la giustizia, la burocrazia, il sistema fiscale) e quelle più nell’animo leghista (in primis, il federalismo) avrebbero la strada spianata. A ben vedere, la situazione ideale sia per il Pdl che per la Lega.

venerdì 6 agosto 2010

IL GIORNALE.IT - 06/08/10 - BOSSI SUONA LA CARICA PER IL VOTO: "NOI E IL PDL SPAZZIAMO VIA TUTTI"

Roma. La percentuale che racchiude le aspettative della Lega Nord circa l’esito del conflitto nella maggioranza è quella contenuta nel più recente sondaggio interno sulle intenzioni di voto: 15 per cento a livello nazionale per il Carroccio, una vetta mai neppure immaginata. È normale che, sull’onda di questo potenziale trend, il partito di Bossi non abbia nessun timore di un voto in autunno o primavera, ma che anzi sotto sotto ci speri, perché porterebbe - queste sono le previsioni dell’entourage bossiano - ad una nuova maggioranza Pdl-Lega senza più disturbatori e compatta per guidare cinque anni senza intoppi. Dai vertici leghisti si incoraggia quest’ipotesi perché, come ragionava privatamente un ministro leghista, più si tira per le lunghe questa situazione di logoramento, più Fini può erodere consensi al Pdl nel Sud, unico territorio dove il neo-centrismo dell’ex pupillo di Almirante ha qualche speranza di attecchire (oltre che tra qualche deluso del Pd). Perché il vero punto di rottura, secondo la Lega, non è tanto la giustizia o il presunto attaccamento ai valori della Costituzione sbandierato dai finiani, ma il federalismo fiscale, che per il Mezzogiorno significherebbe la perdita di una rendita secolare e che la compagine neo-centrista (i meridionali di Futuro e libertà, i centristi di Casini, i meridionalisti di Lombardo, i moderati post-democristiani rutelliani) ha individuato come possibile tema critico per recuperare voti nel Mezzogiorno terrorizzato dall’idea di una spesa pubblica meritocratica e non più assistenziale (a spese del Nord, come ha spiegato nel suo ultimo saggio Luca Ricolfi, professore molto stimato dal Carroccio).Del resto la Lega è convinta che l’asse con Berlusconi sarebbe vincente sia alla Camera sia al Senato, dove pure la legge elettorale premia le coalizioni. Non solo non ci sarebbero problemi nelle Regioni che eleggono più senatori, come Lombardia, Veneto, Piemonte, ma le eventuali flessioni del Pdl sarebbero compensate da un aumento della Lega (anche nelle regioni rosse o del centro), mentre le ultime Regionali in Lazio, vinte da Berlusconi quando già si era consumato parte della rottura con Fini, dimostrerebbero che anche in quella regione il Pdl può fare benissimo a meno dei finiani. «È molto difficile andare avanti così - ha detto ieri Bossi ai cronisti di Montecitorio -. Si va alle elezioni e con la Lega si vincono anche. Noi ed il Pdl spazziamo via tutti. Fini? Al mare, lasciamolo andare...». Le elucubrazioni circa un governo di transizione, magari guidato da Tremonti, agitano forse le notti dei vertici Pd, ma non quelle del segretario federale della Lega, che chiude la questione seccamente: «Con un governo di transizione ci sarebbe caos nel Paese». «Mai parlato con Bersani», spiega Bossi. In effetti l’idea di un’intesa Lega-Pd al momento è pura fantascienza, perché nel Carroccio ci si fida soltanto di Berlusconi per portare a compimento il federalismo. «È divertente vedere come Tremonti, che fino all’altro ieri era la bestia nera del centrosinistra, tutto ad un tratto sia diventato una specie di fenomeno per Bersani e gli altri - commenta Giacomo Stucchi, deputato della Lega -. Ma noi non siamo nati ieri, non abbocchiamo». Lo stesso pensiero, in forma più colorita, lo esprime il leader leghista: «Tremonti mica è scemo ad accettare. Lui vuole bene a Berlusconi».Insomma, chi spera in un cortocircuito nell’asse Berlusconi-Bossi pare abbia riposto male le proprie aspettative. Il Carroccio ha tra i suoi punti di forza un rapporto molto stretto ed «empatico» col suo elettorato, e dunque sa bene che la minima variazione rispetto agli impegni presi si tradurrebbe in un calo di popolarità tra la propria gente. Un accordo col Pd, un ingresso in qualche papocchio tecnico con Udc, finiani e altri reperti della Prima repubblica, sarebbe incomprensibile per la pancia leghista. A meno, ovvio, che dal Pdl non arrivi un incredibile stop al federalismo, ipotesi quanto mai improbabile.La convinzione che serpeggia tra i leghisti di Montecitorio è semmai un’altra. La truppa di Fini non reggerà a lungo. Le defezioni scatteranno quando si tratterà di mettere in discussione la poltrona. «Essendo gente che ragiona secondo logiche di potere, appena si presenterà un rischio torneranno alla casa madre» prevede un parlamentare del Carroccio che mantiene un dialogo coi finiani.Nessun timore per il futuro, dunque, nella Lega, mentre i decreti sul federalismo fiscale avanzano e portano «punti» alla causa leghista, buoni da spendere in una eventuale campagna elettorale. Non solo, in prospettiva ci si è già mossi estendendo i terminali leghisti anche nel Sud. Dalla segreteria nazionale fanno sapere che le richieste di aprire nuove sedi stanno arrivando da posti impensati: Napoli, la Calabria, la Sardegna, il Molise. Però, prima di accettarle, servirà uno screening molto attento degli aspiranti leghisti meridionali. Perché «noi ci siamo fatti un mazzo così», pare abbia detto Calderoli, e quindi non si regala niente a nessuno, prima di testare serietà e trasparenza.

giovedì 15 luglio 2010

LIBERO - 15/07/10 - BOSSI RIMETTE LA CANOTTA: SI SALVI CHI PUO'

La storia insegna
Come nel'94, il Senatur è tentato dallo spari glia. Allora c'era da punire Berlusconi, oggi le correnti nel Carroccio
Umberto Bossi non finisce di stupire. Pochi giorni fa, in via Bellerio, ha tenuto un "tavolo tecnico" sui costi standard del federalismo in canotta. Due assessori regionali, quelli alla Sanità di Lombardia e Veneto, la fedelissima Francesca Martini, sottosegretario al Welfare, e il Senatur in tenuta da combattimento. Quando l'Umberto si presenta in canotta sono guai. Per gli altri. VuoI dire che il gioco non gli piace più. Che bisogna cambiare disco per non annoiare il pubblico, ma soprattutto per non perdere il comando delle operazioni. Come 15 anni fa, quando ci fu lo storico incontro in Sardegna con Berlusconi. Era l'estate del '94. Qualche mese dopo ci fu il ribaltone: Forza Italia e An in minoranza e Dini a Palazzo Chigi, sostenuto esternamente dal Carroccio. All' epoca Bossi era alla ricerca del pretesto per farla pagare al Cavaliere, colpevole di avergli portato via parecchi voti al Nord. Ora non c'è questo pericolo. C'è tuttavia il rischio che il Carroccio, il suo gioiello più caro, sia contagiato dal correntismo tipico dei partiti romani. C'è un cerchio magico, una specie di correntone con sede in Parlamento, che sta lavorando per scalare posizioni all'interno della Lega. In particolare l'attenzione è puntata su Marco Reguzzoni, presidente della
truppa padana a Montecitorio, che si trova di fatto in minoranza all'interno del suo gruppo. Al momento della nomina parecchi colleghi avrebbero preferito un altro nome. In più il carattere non facile dell' ex presidente della provincia di Varese ha aggravato la situazione. Una bella grana per il Senatur: alla Carnera il presidente è quel Gianfranco Fini che sta lavorando per logorare anche l'asse fra Berlusconi e il leader padano. Ecco perché il "cerchio magico" sembra avere le ore contate. In questi ultimi giorni i rappresentanti di questa corrente, opposta ai ministri Maroni e Calderoli, non si sono mossi. Hanno fermato la loro attività. Forse per paura di fare passi falsi, forse per riorganizzare la strategia. Di certo Bossi non può stare fermo. Deve intervenire per ripristinare l'ordine e la disciplina all'interno dell'ultimo movimento leninista rimasto in Italia. La democrazia interna non esiste. Bossi dà la linea e sceglie gli uomini, solo che i tempi sono cambiati. I "vecchi" colonnelli hanno acquisito un peso fuori dal Carroccio talmente grande che il cenno del "capo" non risolve più tutte le rogne. A Montecitorio dunque è già partito il toto-nomine fra i deputati sul nome del nuovo capogruppo. In realtà non ci sono tanti misteri: la maggioranza dei parlamentari aveva votato per il bergamasco Giacomo Stucchi. Bisogna vedere se il Senatur rispetterà il voto "popolare" per riportare la calma in Aula. La canotta allora, per lanciare un messaggio prima a se stesso che ai suoi. Bossi l'aveva sfoggiata pure l'anno scorso, durante il suo tradizionale buen retiro di Ponte di Legno. Anche allora si parlava dell'ingresso dell'U dc in maggioranza - il sempreverde tormentone estivo -, anche allora il segretario dei padani aveva risposto con un bel «no» a Casini. Dalla montagna aveva lanciato la lunga campagna
elettorale, che l'ha portato a conquistare Veneto e Piemonte, e a incassare i primi decreti sul federalismo fiscale. La battaglia però non è finita. «La canotta è una metafora. La Lega è diventata un partito forte», diceva ricordando l'incontro di 16 anni fa: «La canotta ha anticipato lo sviluppo che la Lega avrebbe avuto». Ora la rimette per non perdere pezzi.
Giuliano Zulin

venerdì 25 giugno 2010

LA REPUBBLICA - 25/06/10 - TRA LA LEGA E L'AMICO ALDO SCENDE IL GELO "HANNO TRUFFATO IL SENATUR"

Partito in tensione: doveva andare in tribunale. Bossi dribbla i cronisti: chiedete a lui. Zaia: "Non ci occupiamo delle vicende giudiziarie di altri"
MILANO - Per bucare l'imbarazzo della Lega in queste ore servirebbe un punteruolo. Ma forse basta registrare la diplomazia sibillina di Bossi ("non so niente, chiedete a Brancher"), il copia e incolla dei colonnelli ("non è una cosa che ci riguarda", Calderoli), e, viceversa, la scioltezza delle seconde file. Di quelli che "possono" parlare. "Certo che viene da pensare male - ragiona Paolo Grimoldi, deputato brianzolo, già responsabile dei giovani padani - . Ma ognuno si sceglie i suoi uomini, il Pdl i suoi e noi i nostri. E come loro non sono legittimati a porre veti sui nostri, anche noi non lo facciamo coi loro". Siccome i "loro" in questo caso sono Aldo Brancher, "l'amico Aldo", il pidiellino-leghista, il pontiere fidato tra Arcore e i teorizzatori della Padania ma anche - come ironizzava ieri un autorevole dirigente del Carroccio dietro la garanzia dell'anonimato - il neo "ministro per il legittimo impedimento", allora il problema si pone eccome. Dice il deputato Giacomo Stucchi: "Se fossi Brancher non invocherei l'impedimento e andrei in tribunale come tutti a istruire il processo. Proprio per non dare adito a cattivi pensieri. Una cosa è avere una facoltà - prevista per legge, d'accordo - e un'altra è esercitarla". Sì, può sembrare paradossale ma l'ultimo scorno della Lega si chiama Brancher. Il tempismo che allaccia l'improvvisa nomina a ministro dell'"amico Aldo" - come lo ha sempre chiamato Bossi - e la scelta dei suoi legali di avanzare il legittimo impedimento nel processo Bpi; l'incidente diplomatico-lessicale col Carroccio - poi risolto (guai a chi tocca il "federalismo", anche solo la parola stessa, vedi il Bossi di Pontida); una serie di congiunture che diventano fonte di disagio per i leghisti. "Quello che è successo in questi giorni potrebbe trasformarsi in una piaga non cicatrizzabile - spiega un importante esponente del movimento - c'è molta fibrillazione e tra noi si sta diffondendo la sensazione che Bossi in questa storia sia stato truffato". Il titolare delle riforme, su Brancher, ha scelto di non infierire. Legittimo impedimento? "Non so niente, chiedete a lui", ha dribblato. Appena cinque giorni sono passati dal monito di Pontida. "C'è un solo ministro per il federalismo, e sono io", ha chiosato stentoreo Bossi sul pratone riprendendosi quel che è suo - titolarità e copyright - e che per niente al mondo potrebbe nemmeno immaginare di mollare ad altri.Ma ora il disagio è palpabile. Lo capisci soprattutto dalle parole lasciate lì a galleggiare, un po' per prudenza e un po' no. "Non ci occupiamo di vicende giudiziarie di altri", taglia corto Luca Zaia. Sono le sei del pomeriggio e il governatore del Veneto dice di non essere nemmeno riuscito a vedere la disfatta dell'Italia, "ho lavorato". Chi gli è vicino racconta che, "da veneto", nonostante fino all'altro ieri fosse ministro e dunque di stanza a Roma, Zaia non appartiene a quel cerchio "verde" in contatto costante con Tremonti e Brancher, e dunque Berlusconi, e che quindi sugli eventi ultimi che hanno riguardato il riposizionato ministro per il decentramento, almeno lui, l'erede di Galan, non è proprio sul pezzo. Diversi il ruolo e la posizione di Calderoli, che con Brancher ha condiviso e condivide molto tempo e più di un'idea. "Mi rifaccio alle parole del capo (Bossi). Se volete parlare di legittimo impedimento parlate con Brancher, perché questa non è una cosa che riguarda noi". Sembra di essere di fronte a un perfetto caso di conflitto affettivo. Al quale non ha giovato lo smarcamento giudiziario di Brancher: siccome deve organizzare il ministero non può e non deve essere processato. Pronta l'ironia di Matteo Salvini, quello della maglietta "Padania is not Italy": "No comment, sono distrutto per la sconfitta degli azzurri e non parlo di notizie minori". Poi aggiunge: "Visto come Bossi ha reagito a Pontida, forse non era così al corrente di tutto... ". Quel "tutto" sta per la discussa investitura di Brancher e, a questo punto, il motivo per cui si sia deciso di farlo ministro, ruolo che prevede certe facoltà in sede giudiziaria. In Lega molti sono pronti a scommettere: quel che Bossi non avrebbe digerito non è solo la nomina di un ministro per il federalismo altro da lui, ma la nomina stessa, in quanto calata dall'alto e all'improvviso, e per di più su un terreno coltivato dal Carroccio. Critiche al legittimo impedimento avanzato da Brancher arrivano anche da Generazione Italia, la creatura politica vicina a Gianfranco Fini. "Come primo atto da ministro - scrive il direttore Gianmario Mariniello - non è un bel vedere".

venerdì 14 maggio 2010

AFFARITALIANI.IT - 14/05/10 - AFFARITALIANI.IT SU TELENOVA

La lista di Anemone apre l'ipotesi di uno scenario dove la corruzione non è più un episodio ma un sistema. E si parla di un secondo elenco ancora nascosto con altri nomi celebri. Quanto di questo mette in crisi la maggioranza? E intanto mentre 4 regioni italiane dovranno aumentare le tasse per i buchi nella sanità emergono i dati sul residuo fiscale che mostra come il nord paghi sempre e comunque le spese anche delle altre regioni. Questo e altro a Linea d'Ombra, condotto da Adriana Santacroce, stasera a partire dalle 21 su Telenova. Ospiti a Milano Vinicio Peluffo (Pd), Gabriele Albertini (PDL), Giacomo Stucchi (Lega Nord), Enrico Marcora (UDC), Antonio Panzeri (PD), Angelo Perrino (Direttore Affaritaliani.it) e a Torino Giuseppe Menardi (Pdl, finiano).

mercoledì 12 maggio 2010

IMPRESA MIA - 12/05/10 - MADE IN ITALY - CONTRAFFAZIONE: URSO, ECCO LE AZIONI A TUTELA

L'industria conciaria in Italia è garanzia di eccellenza qualitativa, impiega circa 20mila addetti e sviluppa annualmente milioni di euro di fatturato ma sta attraversando un periodo di profonda difficoltà a causa del fenomeno sempre più esteso dell'invasione di prodotti contraffatti, provenienti soprattutto dai Paesi asiatici, che, connotati da costi di produzione molto convenienti e realizzati con materiali scadenti o privi dei necessari requisiti di sicurezza, hanno dei prezzi di vendita decisamente più bassi di quelli italiani e spesso sono spacciati per Made in Italy con notevole danno non solo economico perché i prodotti acquisiscono una superiorità qualitativa se tutti i componenti con cui sono confezionati sono di origine italiana e tale requisito, unitamente al rispetto sia delle norme di sicurezza per i lavoratori e per i consumatori, sia dell'ambiente nel processo industriale, è sinonimo di garanzia di qualità. Il problema delle frodi è l'oggetto di un'interrogazione della deputata del PdL, Annagrazia Calabria. Un'altra interrogazione del deputato leghista, Giacomo Stucchi ha messo in luce che l'investimento delle imprese bergamasche in innovazione, attraverso la registrazione di invenzioni, marchi e brevetti ammonta a quasi 200 milioni di euro con un valore di oltre 1,5 miliardi di euro per la Lombardia e di oltre 7,5 miliardi di euro all'intero Paese. Ma si tratta di un patrimonio di investimenti a rischio di imitazioni illecite con un costo per le imprese italiane di quasi 50 miliardi di euro all'anno: in Lombardia in particolare le perdite economiche causate dalla contraffazione sono stimate in quasi 10 miliardi di euro, distribuiti per lo più tra le imprese milanesi (oltre 3 miliardi di euro), bresciane (oltre 1,5 miliardi di euro), bergamasche (quasi 900 milioni di euro) e varesotte (oltre 800 milioni). L'interrogazione di Stucchi ha sottolineato la necessità di adottare "misure più stringenti per la tutela dei prodotti nazionali" anche rendendo obbligatoria e non volontaria la "tracciabilità" dei prodotti. Il viceministro dello Sviluppo economico, Adolfo Urso, ha così risposto alle due interrogazioni. L'azione del Ministero dello Sviluppo economico è improntata alla massima e costante vigilanza del mercato, al fine di monitorare costantemente il fenomeno della contraffazione, che interessa, in modo particolare, il settore conciario e della pelletteria. La legge sviluppo (23 luglio 2009, n. 99), ha introdotto importanti disposizioni volte a rendere più forte ed efficace l'azione di prevenzione e di contrasto alla contraffazione. In particolare, è stato previsto un inasprimento delle sanzioni penali in materia di contraffazione di prodotti industriali e l'introduzione del reato, procedibile a querela di parte, di usurpazione di titolo di proprietà. Inoltre, è stata rivista la sanzione amministrativa per chi acquista beni contraffatti, per renderla più efficace e favorirne l'applicazione generalizzata sul territorio, in un'ottica di contrasto alla domanda di tali prodotti. Sono stati, quindi, attribuiti maggiori poteri alle forze di polizia, per le casistiche di associazione a delinquere finalizzate a reati di contraffazione, e la possibilità di confiscare i beni provenienti dal compimento dei reati di contraffazione. Per quanto riguarda l'invasione di prodotti asiatici, è possibile far ricorso agli strumenti di difesa commerciale previsti dalla normativa comunitaria. Il Ministero dello Sviluppo economico si è in più occasioni attivato, e continuerà ad adoperarsi a livello di Commissione europea, per richiedere l'introduzione di misure antidumping o di salvaguardia, anche in relazione a importazioni dai Paesi asiatici e specificamente dalla Cina. Ciò ha reso possibile l'effettiva applicazione di misure a difesa dei nostri comparti produttivi. Il mezzo più efficace per combattere la pratica sleale della contraffazione, allo stato attuale, è il controllo alle frontiere da parte delle autorità competenti. Tuttavia, il provvedimento che più di tutti potrebbe garantire il consumatore sarebbe sicuramente l'adozione di una indicazione obbligatoria dell'origine (il cosiddetto "Made in"). Infatti, la presenza di tale marchio metterebbe immediatamente l'utente finale a conoscenza della reale provenienza di un determinato prodotto.L'adozione del decreto-legge 25 settembre 2009 n. 135 può rappresentare un importante passo in questa direzione, ma ancora più importante potrebbe essere l'introduzione di un Regolamento comunitario specifico. L'indicazione obbligatoria del marchio di origine per i prodotti importati da Paesi extraeuropei è uno dei temi cui il Ministero dello Sviluppo economico si è particolarmente dedicato negli ultimi anni, sia attraverso una azione di «lobbying» presso la Commissione europea che mediante contatti politici con i Paesi dell'Unione europea contrari. Infatti, l'adozione di un qualsiasi Regolamento da parte del Consiglio dell'Unione richiede una maggioranza di voti favorevoli che finora, nel caso dell'etichettatura obbligatoria, è sempre mancata. Ad ogni modo, le pressioni esercitate dall'Italia hanno indotto la Commissione europea a presentare, qualche settimana fa, alcune ipotesi che modificano la proposta di regolamento già presentata nel 2005. Tali ipotesi (cosiddetta option paper) restringerebbero il campo di applicazione del Regolamento ad alcuni settori e/o alcuni Paesi di origine, nel tentativo di raccogliere una più ampia base di consensi da parte degli Stati membri. Obiettivo del nostro Paese è quindi quello di riuscire a far sì che tale Regolamento possa essere adottato nel più breve tempo possibile. Per quanto riguarda, in particolare, i prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, tali settori sono inseriti in un disegno di legge, già approvato (il 10 dicembre 2009) dalla Camera dei Deputati ed attualmente all'esame del Senato (A.S. 1930), che prevede l'istituzione di un sistema di etichettatura e di tracciabilità obbligatoria, nonché la definizione delle fasi di lavorazione, per l'apposizione dell'etichetta Made in Italy. Sempre sul problema della contraffazione, si ricorda che già con la legge finanziaria per il 2004 sono stati istituiti, presso le sedi estere dell'Istituto del commercio con l'estero, i desk di assistenza alle imprese, per la tutela della proprietà intellettuale (cosiddetta Intellectual property rights), con l'obiettivo di offrire alle imprese italiane all'estero un insieme di servizi di assistenza e consulenza in materia di proprietà intellettuale. Attualmente tali desk sono 11 e sono operativi presso quei Paesi nei quali più intensa è la diffusione del fenomeno della contraffazione, sia sotto il profilo della produzione di beni contraffatti, che di quello della loro distribuzione (Cina, India, Corea del Sud, Vietnam, Emirati Arabi, Turchia, Russia, USA e Brasile). Il Ministero dello Sviluppo economico si sta, poi, attivando, come più volte in passato, affinché la Commissione europea riesca a far inserire nell'accordo di partenariato e cooperazione attualmente in negoziazione con il Governo cinese specifiche disposizioni che tutelino adeguatamente i diritti di proprietà intellettuale. Operativamente, poi, il Ministero dello Sviluppo economico coordina una serie di tavoli di lavoro, che coinvolgono sia le istituzioni, sia le associazioni imprenditoriali e dei consumatori maggiormente rappresentative, in un'ottica di piena e fattiva collaborazione tra pubblico e privato. Infine è stato, da poco, definito un protocollo di intesa con l'Università degli studi di Roma La Sapienza ed è di prossima sottoscrizione un ulteriore accordo con l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato, al fine di verificare l'attuale situazione in tema di tracciabilità e rintracciabilità dell'origine dei prodotti e realizzare un progetto pilota volto a offrire alle imprese un nuovo strumento di tutela della proprietà industriale e di rafforzamento competitivo. Il prossimo avvio del Consiglio nazionale anticontraffazione, istituito con la legge n. 99 del 2009 (cosiddetta legge sviluppo), consentirà peraltro di condurre ad unità l'elaborazione di indirizzi e strategie in materia di lotta alla contraffazione, con una azione tesa a ricercare le necessarie sinergie anche con le politiche e le azioni in materia di sicurezza dei prodotti e tutela del Made in Italy.

sabato 24 aprile 2010

IL GIORNALE - 24/04/10 - LEGA, BOSSI TUONA: "COSI' IL GOVERNO CROLLA SUBITO IL FEDERALISMO O CI SEPARIAMO"

Il Senatùr attacca Fini: "Ha esagerato, dice bugie. A Montecitorio è un problema". Poi frena: "Farò il mediatore". "Ma senza riforme meglio le elezioni anticipate". Riunione blindata in via Bellerio. Il "giallo" del messaggio al giornale la Padania. La Russa: "Tutta la verità su Gianfranco"


Prima il botto pirotecnico, poi la correzione di tiro, non una rettifica ma quasi. Quel che rimane dopo la lunga giornata di Umberto Bossi, iniziata con un faccia a faccia con Berlusconi e poi via in volo a Milano per un vertice ristretto in via Bellerio, non è però, come sembrava minacciare l’intervista del leader leghista alla Padania, una possibile (e clamorosa) rottura col Pdl. Tutt’altro, l’alleanza - filtra nel pomeriggio dal quartier generale leghista - non sarebbe in discussione, ma dopo l’attacco di Fini alla Lega e al suo dogma politico (il federalismo), serviva un messaggio forte per la pancia dell’elettorato padano. E il messaggio c’è stato: «Siamo di fronte a un crollo verticale del governo e probabilmente della fine di un’alleanza, quella tra Pdl e Lega - spara Bossi nella conversazione col direttore del quotidiano leghista Leonardo Boriani -. Fini ha rinnegato il patto iniziale, ha lavorato per la sinistra come un vecchio gattopardo democristiano. È palesemente contro il popolo del Nord, a favore di quello meridionale. Berlusconi avrebbe dovuto sbatterlo fuori subito».Poi la parte più sorprendente dell’intervista, la più difficile da decifrare: «Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una stagione nuova, un nuovo cammino del popolo padano. Saremo soli, senza Berlusconi. La gente non digerirà facilmente la mancata conquista del federalismo e noi, Lega, dovremo comportarci di conseguenza». E dunque? Un ritorno alla Lega secessionista del ’97? Qual è il «cammino solitario» che Bossi ha in mente? Un chiarimento, anche se molto parziale, arriva dopo qualche ora dallo stesso Bossi, che torna a vestire i panni del paciere. All’Ansa Bossi spiega che la Lega non vuole «gettare benzina sul fuoco», e che lui è «per la mediazione». «Ma la gente del nord, i leghisti, sono arrabbiatissimi, non ne possono più di sceneggiate, rinvii, tentennamenti... Noi vogliamo fare le riforme, i miei vogliono le riforme, la gente è stufa». Come sottofondo costante ci sono le urne, la possibilità di un voto anticipato, che la Lega tiene come extrema ratio nel caso le cose si mettessero male, ma che certo non esclude. «Senza riforme bisogna andare alle elezioni anticipate» dice Bossi in serata. «Il governo va avanti ugualmente nonostante i propositi bellicosi di Fini. Ma Fini ha esagerato, ha raccontato delle bugie» e dovrebbe dimettersi «se è un uomo d’onore». Perché «come presidente della Camera è un problema».Insomma, la sparata mattutina di Bossi come atto dovuto verso il popolo della Lega, ma anche come avvertimento (forse in parte concordato col Cavaliere) per far capire ai potenziali parlamentari pro-Fini che non c’è spazio per una maggioranza traballante e litigiosa e che lo scranno non è un diritto naturale. Una tipica mossa bossiana, che alza spericolatamente il tiro e poi rapidamente lo riabbassa, e che in effetti qualcosa l’ha già portato a casa: la rassicurazione da parte del premier sul federalismo. «La Lega è un alleato fedele, ma Fini sta tirando troppo la corda e noi vogliamo garanzie sulle riforme» conferma il deputato del Carroccio Giacomo Stucchi. «Bossi teme che Fini imponga una serie di voti segreti che possano nascondere insidie. Come è già successo sull’immigrazione», spiega Flavio Tosi, sindaco di Verona. Sulla linea di moderazione e attendismo si muovono gli altri fedeli di Bossi, che ieri orbitavano attorno a via Bellerio. «È vero, c’è preoccupazione nel nostro elettorato perché questa vicenda ha distolto l’attenzione dalle riforme - spiega Marco Reguzzoni, vicepresidente dei deputati leghisti -. La Lega però non entra in un problema che è del Pdl e che devono risolvere loro. A noi interessano le riforme. Una rottura? La escluderei, perché il Pdl è rappresentato da Berlusconi, non certo da Fini». Anche il presidente del Veneto Luca Zaia insiste sul leitmotiv: «Tutta questa vicenda ha solo come effetto negativo quello di rallentare le riforme. Sono preoccupato».Intanto prende piede un nuovo grande slogan leghista, che già risuona nelle onde di Radio Padania, affidabile indice dell’umore padano (in questo momento, sull’«incazzato» andante): il partito del Sud, il partito del non-cambiamento e dei privilegi che si oppone alla riforma federale dello Stato. Dentro ci sono Fini, come primus inter pares, ma poi anche l’Udc, i centristi di Rutelli, forse i veltroniani, i famosi poteri forti, e insomma lo spettro del «democristianume» da Prima repubblica che cerca di ostacolare il cammino del Carroccio.Dunque la Lega riconferma la sua fedeltà a Berlusconi, come garante del processo riformatore, ma lascia capire che se starà a guardare non lo farà passivamente. Rimane l’incognita di quel passaggio formulato da Bossi, quel cammino solitario della Lega «senza Berlusconi», con un progetto differente dal federalismo, affossato - ipotesi ancora solo futuribile - dalle lotte intestine del Pdl. Una nuova Lega, con una nuova mission, che per ora rimane un oggetto misterioso. Come minaccia, invece, insieme a quella delle urne, è chiarissima.

giovedì 22 aprile 2010

IL GIORNALE - 22/04/10 -IL CARROCCIO TEME PER IL FEDERALISMO: LA PACE E’ ARMATA

Le mosse degli alleati
La Lega sta al balcone, ma se per adesso è pace, è pace armata. Gli uomini di Bossi stanno scrutando gli avvenimenti in casa Pdl con un misto di apprensione e malcelata soddisfazione. Apprensione perché ogni sussulto nell’alleato si riverbera sul Carroccio in quel che è più essenziale per il mandato leghista: portare a casa il federalismo. Sotterranea soddisfazione perché ogni crepa nel Pdl rafforza (per contrasto) l’immagine della Lega come partito monoblocco e privo di tensioni interne. La linea prevalente, ma non ufficiale, punta alla riconciliazione nel Pdl, ma con una postilla di calibro molto pesante: se la situazione resta confusa, e non c’è in accordo vero, meglio votare. È quello che dice una nota diffusa ieri, verosimilmente dal partito, mentre i vertici del Carroccio tacciono: la Lega ritiene che quando non si trovano soluzioni accettabili a dei contrasto all’interno di una coalizione “la cosa migliore da fare è quella di rivolgersi al popolo sovrano”, perché “a fare le spese di un conflitto magari a bassa intensità ma permanente” dentro il Pdl, sarebbero proprio le riforme, vale a dire la mission elettorale leghista. E che il caso Fini tocchi un nervo scoperto della Lega è evidente anche dai titolo della Padania, uno dei pochi spiragli accessibili per decriptare le prossime mosse del Carroccio, ieri, per dire, il giornale della Lega apriva con un titolo che suona come un chiaro avvertimento ai “disturbatori”: “Vogliamo parlare di riforme”, l’apertura della Padania, sottotitolo: “A non si è mai visto che una maggioranza che ha vinto tre elezioni consecutive non proceda compatta a realizzare il programma voluto dai cittadini”. “Sembra dividere un incubo da una decina di giorni – scrive nell’editoriale il direttore Leonardo Boriani -. Tutto ristagna, tutto bloccato. Sembra di essere tornati nelle paludi della Prima Repubblica. Ci piacerebbe tanto ritornare a parlare solo di riforme”. Intanto sul piano diplomatico la Lega mantiene un ruolo di “mediatore unilaterale”, solo con il Cavaliere, a cui Bossi e i suoi ambasciatori Calderoli, Maroni e Rosy Mauro stanno consigliando cautela. Le dichiarazioni del ministro della Semplificazione, al termine dell’ultimo incontro a Palazzo Grazioli, vanno in questa direzione: “In questo momento la discussione è all’interno del Pdl. Noi siamo alleati fedeli, attendiamo il loro chiarimento interno, auspicando che immediatamente dopo il chiarimento si parta per la stagione delle riforme”. Se la mediazione è “unilaterale” non è perché la Lega rifiuti un dialogo con Fini, ma perché – fanno capire i leghisti – il segnale dovrebbe arrivare dal presidente della Camera. Per un motivo semplice: ”E’ lui che ha espresso dei problemi nei nostri rigusrdi. E lo ha fatto con Berlusconi, non direttamente con noi – spiega il deputato lombardo Giacomo Stucchi -. Invece sarebbe opportuno che, attraverso un incontro ufficiale con la Lega, chiarisse i motivi delle sue recriminazioni. Facendolo lui in persona, senza portavoce”. Un imminente faccia a faccia Bossi – Fini? “Potrebbe essere, magari nei prossimi giorni, ma dipende da Fini”, spiega il deputato del Carroccio. La minaccia bossiana di elezioni potrebbe essere solo un avvertimento, ma Bossi è pronto all’azione, perché da un accordo a ribasso la Lega avrebbe solo da perdere. Anche perché, come raccontano nell’entourage del Senatùr, ogni parola dei finiani è percepita come una diretta provocazione alla Lega. Sugli immigrati, sul Sud, sulle istanze liberal e laiche, il nodo della questione Fini riporta sempre alla Lega. E tre anni così, fatti di sgambetti e ostruzionismi, sarebbero uno stillicidio che il Carroccio non intende sopportare. Paolo Bracalini

sabato 17 aprile 2010

IL FOGLIO - 17/04/10 - TESSITORI PADANI

Che cosa aspettano i pontieri leghisti per tentare di ricucire la frattura tra Fini e il Cav.

Milano. Stiamo a guardare. Per cercare di vincere la partita. In Via Bellerio ieri l’atmosfera era quella di attesa. Divertita per chi si compiace di essere sempre al centrocampo, all’attacco o in difesa non importa, a condizionare l’agenda politica (e gli scontri) nel governo. Inquieta per chi, più prudentemente, ritiene che la Lega, abbia bisogno di stabilità per completare l’iter delle riforme. Certo, la Lega continua ad affermare attraverso la Padania che governa chi vince, ma il fuoco aperto da Fini potrebbe essere qualcosa di più di una commedia del presidente della Camera. In Via Bellerio ieri nessuno era capace di prevedere le mosse del capo, Umberto Bossi, che però a Roma ha detto una frase da molti ritenuta inequivocabile: “ Se le cose non si rimettono a posto, si va alle elezioni”. Che tradotto vuol dire: vinciamo noi anche quando potremmo perdere. Eppure fino a qualche ora prima della dichiarazione di Bossi, le previsioni, o meglio le supposizioni che facevano leghisti e legologhi, erano al contrario basate su un unico, semplice, ragionamento: se il Pdl, dopo la minaccia di Fini, si sfascia e si va alle elezioni, perdono tutti. A cominciare dalla Lega che ha fretta di portare a casa il federalismo. E per questo motivo ci si aspettava semmai che il Carroccio mandasse avanti qualche pontiere, ma Bossi ha parlato e i suoi colonnelli per ora tacciono. Tace Roberto Maroni. E tace per il momento anche Roberto Calderoli che, secondo alcune indiscrezioni raccolte dal Foglio, ha infastidito il capo con il suo eccessivo protagonismo, non sempre concordato, pare, con Bossi. Apparentemente però i leghisti considerano che la partita sia tutta interna al Pdl e il tentativo di Gianfranco Fini di arginare il brand B&B Berlusconi e Bossi, non possa danneggiarli perché se si andasse a elezioni, questo è il ragionamento che si fa in zona Bellerio, il voto premierebbe ancora di più la Lega che avanza laddove il Pdl dimostra la sua fragilità. E magari riuscirebbe addirittura a segnare quel goal che non è riuscita a mandare in rete alle elezioni regionali: il pareggio con il Pdl in Lombardia. Sparate propagandistiche a parte, Bossi farà di tutto perché non si consumi la rottura. E non reciterà la parte di Ponzio Pilato. Come spiega al Foglio Giacomo Stucchi, bergamasco, parlamentare di lungo corso della Lega, sa bene quali siano i canali di dialogo fra il Carroccio e Fini. “La Lega ha bisogno di stabilità, ovvio, ma la contrapposizione Fini – Berlusconi danneggerà solo il presidente della Camera, che sta facendo lo stesso errore di Casini”, ha detto al Foglio. “A Montecitorio vedo molti di quelli che avevano il nome di Fini tatuato sul braccio, incerti, smarriti, pronti a fare un passo indietro. E poi non ha i numeri: anche se si allea con Casini e con Rutelli, non avrebbe mai posti sufficienti da dare a chi gli rimane fedele. Se si torna a votare, l’iter della legge sul federalismo verrà prorogato, ma ormai la road map delle riforme è delineata. Mi sembra che il colpo di coda di Fini sia stato maldestro e poco consapevole”. Certo, se Roberto Cota non fosse tornato sul territorio, come dicono i leghisti ogni volta che tornano nelle loro regioni di provenienza, a guidare il Piemonte, lui sarebbe l’uomo adatto a fare da pontiere fra Fini e Berlusconi. Visto che il neogovernatore, in qualità di capogruppo, del Carroccio a Montecitorio, ha sempre avuto un filo diretto (e anche una simpatia ricambiata) verso Gianfranco Fini, ma ieri Roberto Cota ha formato la sua giunta e, impegnato nel suo nuovo ruolo, anche lui tace. “Per il momento stiamo a guardare come se la cavano”, conclude Stucchi. Intanto Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, parla di una crisi istituzionale e politica seria, mentre i dietrologi sostengono che Bossi abbia tirato la corda per fare un favore a Berlusconi che vuole liberarsi di Fini. È presto per immaginare scenari certi, ma secondo i leghisti vincerà comunque il modello padano perché nessuno in questo momento ha la forza di proporre e a affermare un’alternativa alla diarchia B&B.

venerdì 16 aprile 2010

CORRIERE DELLA SERA - 16/04/10 - APERTURA ALLA LEGA. SI' DA CISL E UIL. CGIL: SONO RAZZISTI

Come diceva Deng Xiaoping, non conta il colore del gatto, l’importante è che prenda il topo. La lega, secondo il leader della Cisl lombarda, Gigi Petteni, sta dimostrando di saper cacciare il topo chiamato “crisi”. E le politiche sugli immigrati? “Il fatto di lavorare insieme su un problema non impedisce di dissentire su altre questioni”, chiarisce Petteni. Ma che ne dicono gli altri sindacati? “La Lega è un interlocutore credibile e necessario. Mi auguro che anche i lumbard abbiano lo stesso atteggiamento verso di noi”, va dritto al punto Walter Galbusera, segretario generale della Uil lombarda, dopo l’intervista di Petteni sul Corriere. Qualche dubbio serpeggia anche nella Cisl. “Nessuno della Lega mi ha mai telefonato per propormi un’iniziativa da fare insieme – dice Danilo Galvagni, a capo della Cisl milanese -. Gli altri, invece, sì”. Pdl compreso? “Certo, Pdl compreso”. Dal canto loro i leghisti fanno qualche distinguo. “Certo che il sindacato è un interlocutore per noi della Lega. Purchè si tratti di un sindacato moderno. Non schiavo di vecchi ideologismi”, divide il grano dal loglio il deputato della Lega, Giacomo Stucchi. I maggiori dubbi sulla credibilità della Lega vengono dalla Cgil. “Non condivido il giudizio secondo cui la Lega sarebbe attenta ai problemi dei lavoratori e delle lavoratrici – taglia corto Nino Baseotto, segretario generale della Cgil lombarda -. Se il paragone è con le forze politiche del centrodestra può anche darsi, ma questo non dà conto di contraddizioni clamorose, come l’atteggiamento xenofobo, le politiche discriminatorie abilmente spacciate come contrasto all’illegalità e le risposte spesso brutali ai problemi della povertà”. Onorio Rosati, segretario della Camera del Lavoro di Milano, va oltre. E si chiede se la presa di posizione di Petteni anticipi un “preoccupante cambiamento” della linea della Cisl lombarda sui temi sociali. Dialogo impossibile, quindi, tra Lega e sindacato rosso? “Non direi. Sul territorio sono tanti i sindacati Cgil con cui esiste una buona sintonia, checché ne dicano i dirigenti della confederazione – chiude il discorso Giacomo Stucchi -. Quando parlo di sindacato vecchio non mi riferisco a una confederazione. Ma a un modo di fare rappresentanza. Rita Querzè