giovedì 3 novembre 2011

L'ESPRESSO - 03/11/11 - E L'ONOREVOLE FA LA DIRETTA ON LINE

Il casiniano Rao. Il piddino Sarubbi. Il leghista Stucchi. Sono alcuni dei deputati che mandano dall'aula i loro tweet durante i lavori. Una moda che sta già contagiando il Senato e il Parlamento Ue. E che sembra piacere ai cittadini-utenti. Di sicuro qualche battuta da centoquaranta caratteri non sarà sufficiente a cambiare l'opinione degli italiani sulla 'Casta', ma anche grazie a Twitter qualcosa si sta muovendo. Negli ultimi mesi sono infatti sbarcati sul sito di microblogging un gran numero di politici, almeno centosettanta secondo il monitoraggio del sito Casta Tweet, e tra i deputati c'è chi ha iniziato a raccontare in tempo reale le sedute della Camera, con retroscena e curiosità altrimenti difficili da scoprire. Messaggi brevi, commenti taglienti e persino risposte personali agli utenti che hanno voglia di partecipare alla discussione. Un'operazione trasparenza che sta fornendo un inedito punto di vista sui guai della maggioranza in Parlamento anche in questi giorni.Buona parte del merito di questa avventura va ad Andrea Sarubbi, deputato del Pd e creatore dell'hashtag #opencamera, un parola chiave usata adesso da tanti deputati e semplici elettori per parlare di politica su Twitter. «E' un passo avanti verso i cittadini, un modo per rendere i parlamentari più a portata di mano e non farli percepire come chiusi in una Torre d'avorio», spiega Sarubbi a l'Espresso «Mi sono avvicinato a Twitter dopo aver letto dell'uso che ne faceva la regina Rania di Giordania e mi sono reso conto che se utilizzato in maniera personale, quindi non attraverso uno staff e non per diffondere comunicati stampa, è un modo intelligente di avvicinare i cittadini alla politica». Che sia necessario fare qualcosa per riavvicinare la politica ai cittadini è evidente. Solo per citare dei dati, secondo il rapporto sulla competitività globale stilata dal World Economic Forum, l'Italia occupa oggi la posizione 127 su 142 paesi per la credibilità dei politici e la posizione 135 quando si parla di trasparenza. «Usare Twitter secondo me è importante e non è una perdita di tempo, perché posso assicurarvi che se uno vuole perdere tempo può farsi i solitari sull'iPad. Fare la cronaca live invece richiede molta attenzione e lavoro e spesso sono l'ultimo a lasciare l'aula perché rispondo ai tweet di chi mi segue. Inoltre è anche un modo per far sapere agli elettori che nelle Commissioni o in Aula si sta lavorando». Attraverso i tweet (così vengono chiamati i singoli messaggi su Twitter) è possibile quindi avere una cronaca essenziale e in tempo reale di quello che accade a Montecitorio: un 'format' che in poche settimane ha conosciuto un successo senza precedenti e reso lo stesso Sarubbi uno dei deputati più seguiti in rete. Visto il buon esito dell'esperimento, e la visibilità ottenuta, all'avventura di #opencamera si sono nel tempo uniti altri esponenti democratici come Alessandro Bratti, Ettore Rosato, Pierangelo Ferrari ed Emanuele Fiano. Le cronache in diretta dall'aula sono però rimaste appannaggio del Pd solo per poco tempo, e adesso si sono affacciati in questo campo anche esponenti di altri partiti. Roberto Rao, deputato dell'Udc e già responsabile della comunicazione del partito sui social network, si è unito alla pattuglia di chi twitta da Montecitorio. «Ormai i cronisti parlamentari seguono le sedute solo in poche occasioni e le telecamere della tv riprendono solo chi parla», spiega Rao a l'Espresso, «Con #opencamera si sopperisce all'assenza di cronisti e spesso si finisce per fornire notizie prima delle agenzie di stampa o al posto di queste». Il diffondersi del fenomeno non ha però fatto felici tutti i colleghi, e lo stesso Rao confessa che c'è stato anche qualcuno che ha definito la cosa come 'una roba di sinistra e di comunisti'. «Ma è una classica risposta quando si ha paura di quello che non si conosce», getta acqua sul fuoco Rao.Come ammettono gli stessi autori, fare la cronaca in diretta è comunque assai più facile dai banchi dell'opposizione e non è un caso che tra le file della maggioranza sia molto raro trovare politici così attivi sul social network. Un'eccezione che vale la pena di segnalare è quella del deputato leghista Giacomo Stucchi, da alcune settimane diventato il "contro twittatore" della maggioranza, sempre attraverso l'hashtag #opencamera. «Le cronache delle sedute le facevo da anni sulla mia pagina Facebook, ma Twitter è uno strumento più essenziale che può essere gestito con facilità anche dal cellulare e qui faccio politicamente da contro-altare a quello che dice l'opposizione», spiega Stucchi, che proprio su Twitter ha battibeccato con Sarubbi a proposito di un applauso in aula rivolto al ministro Maroni.

IL SOLE 24 ORE - 03/11/11 - LEGA DECISA AL VOTO PIUTTOSTO CHE UN GOVERNO TECNICO, RESTA IL DISAPPUNTO PER IL MANCATO DECRETO

Piuttosto che un Governo tecnico la Lega Nord preferisce il voto. Umberto Bossi ribadisce la posizione del Carroccio davanti a Giorgio Napolitano, con la delegazione leghista composta dai ministri Roberto Maroni e Roberto Calderoli, e dai presidenti dei gruppi parlamentari del Senato e della Camera, Federico Bricolo e Marco Reguzzoni. Poche ore prima la Lega non aveva nascosto il suo «totale disappunto» per il mancato utilizzo del decreto (escluso dopo i dubbi del Quirinale) per il varo delle misure anti-crisi. Del malumore del Carroccio si era fatto portavoce il ministro della Semplificazione che oggi, dell'incontro con il presidente della Repubblica, dice: è andato «sempre bene, anche meglio».Che la Lega fosse contraria all'ipotesi di un nuovo Governo, guidato da un tecnico come Mario Monti, Bossi lo aveva ribadito con una inequivocabile pernacchia ai cronisti che gli chiedevano un parere. E ora il no del Carroccio è arrivato anche nelle stanze del Quirinale. Nel movimento quello che dice Bossi (almeno su questioni come questa) non si discute, ma in molti sospettano che alla Lega sotto sotto questa possibilità non dispiaccia, perché le consentirebbe di ricollocarsi all'opposizione e provare così a raggranellare nuovi consensi. Il partito però parla con una voce sola. «La posizione della Lega su questo è sempre stata chiara», dice l'onorevole Carolina Lussana, che ribadisce il «no a un ribaltone mascherato da Governo tecnico». Quanto alle misure adottate contro la crisi «da sempre abbiamo chiesto a Berlusconi di avere il coraggio di rilanciare la crescita economica e di tagliare la spesa inutile». Bene i provvedimenti che «non vanno a toccare le fasce deboli della popolazione, come i giovani e le donne. Giusto il federalismo fiscale con l'attuazione dei fondi standard. Giusta la stretta al pubblico impiego».Anche Giacomo Stucchi, segretario dell'Ufficio di presidenza di Montecitorio, ribadisce «l'indisponibiltà» della Lega «a qualsiasi forma di governo alternativo a quello esistente». E conferma che il Carroccio è pronto a fare la sua parte in Parlamento per «far sì che gli impegni presi con l'Ue diventino fatti concreti», ribadendo alcuni punti fermi, come quelli «sull'inviolabilità dei diritti acquisiti per le pensioni di anzianità».Pesa il malumore per il mancato utilizzo del decreto. «Difficile spiegare ai mercati e ai partner europei - dice Stucchi - la differenza che passa nel nostro sistema legislativo tra decreto legge, emendamento e disegno di legge». Anche perché l'Europa, «in questo momento - sottolinea l'esponente leghista - guarda più alla sostanza delle cose che non alle sfumature, e direi anche storture, del nostro sistema legislativo».Resta la preoccupazione. Lo ammette Luca Zaia. «Se non c'è una cura energica, una cura da cavallo è il caso di dire - sostiene il governatore del Veneto - immagino che non se verrà fuori». Per Zaia «il Governo ha tutti gli strumenti per decidere quali siano le soluzioni migliori» e l'esponente leghista guarda «con attenzione a questi 1888 miliardi di euro di debito pubblico, ma soprattutto al fatto che lo spread è di 463 punti base. Significa che il nostro Btp decennale è del 6,4% e ci stiamo avvicinando alla soglia fatidica del 7%».

sabato 24 settembre 2011

CORRIERE DELLA SERA - 24/09/11 - LA LEGA SI ALLINEA ANCORA: NON BOCCEREMO IL MINISTRO

Il governo I nodi Il Carroccio Il capogruppo Reguzzoni: saremo compatti come per Milanese

Salvini: troppa pazienza. Di Pietro attacca: dal cappio alla mafia La stoccata a Formigoni Il gruppo leghista alla Regione Lombardia chiede di eliminare la figura dei sottosegretari e ridurre lo staff del presidente

MILANO - Il «che fare» del Pdl investe il Carroccio, con le brusche prese di posizione di Gianni Alemanno («Ridimensionare la Lega») e l' invito alla cautela di Alfano. Ma i padani, a loro volta, restano alle prese con un quesito simile ma contrario: che fare con Silvio Berlusconi? Quella dell' eurodeputato Matteo Salvini è una voce vicina alla base del movimento: «Non penso - tuona ai microfoni di SkyTg24 - che avanti in questa maniera si vada oltre qualche mese. Non so chi si debba dimettere, ma avanti così non si va. E la Lega di pazienza ne ha avuta anche troppa». Il riferimento è al voto in Aula sull' arresto dell' ex braccio destro di Giulio Tremonti, Marco Milanese. Eppure, la linea è già tracciata anche sulla prossima prova d' Aula: mercoledì la Lega voterà contro la mozione di sfiducia nei confronti del ministro all' Agricoltura Saverio Romano. Lo ha annunciato il capogruppo a Montecitorio Marco Reguzzoni: «Abbiamo votato compatti contro l' arresto di Milanese e la settimana prossima bocceremo la sfiducia al ministro Romano». Il capo dei deputati, che si è detto «molto sorpreso» dall' assenza di Giulio Tremonti durante il voto, ha anche tracciato, in un' intervista al Messaggero , un' ambiziosa roadmap: «Avendo i numeri in Parlamento non abbiamo più scuse: ridurremo il numero dei parlamentari, rilanceremo l' economia con la semplificazione e la sburocratizzazione, faremo la riforma del Fisco e della giustizia civile». Va anche detto che la scelta sulla sfiducia al ministro sarà fatta non già a voto segreto, ma per appello nominale. Resta il fatto che nel movimento le dichiarazioni di ieri del ministro («Sono il leader di un partito politico che sostiene il governo») sono piaciute pochissimo. Ha aggiunto Romano: «La Lega vota contro la mafia e contro la mozione di sfiducia che mi riguarda». Brontola un deputato in camicia verde: «Cosa è, una sfida?». Il lavoro, comunque, è ora quello di far digerire le novità ai militanti che, almeno a giudicare da quanto si scrive sui forum più o meno vicini al movimento, non hanno gradito affatto gli ultimi passaggi politici. La segreteria del Carroccio milanese, per esempio, ha indetto per i prossimi giorni una serie di incontri con gli elettori. Spiega il segretario Igor Iezzi che «in questo momento è fondamentale spiegare ogni passaggio alla nostra gente. È un lavoro di controinformazione rispetto alle frequenti balle della grande stampa: dobbiamo chiarire a tutti quali sono i termini reali che stanno dietro alle scelte della Lega». Il deputato bergamasco Giacomo Stucchi sulla Padania di oggi la spiega così: «Se Berlusconi cadesse si aprirebbe una crisi politica al buio che è esattamente lo scenario al quale mirano vecchi e nuovi oppositori del governo». E se «la Lega è al governo» per fare le riforme, «sono certo che il nostro popolo ha ben presente questo rischio e che condivida quindi la scelta di responsabilità fatta dal Carroccio». Intanto però Antonio Di Pietro attacca i leghisti così: «Dicevano di voler addirittura impiccare i parlamentari corrotti o sospetti di legami con la mafia, mentre la settimana prossima confermeranno la fiducia al ministro accusato di essere in combutta con i mafiosi». Ma c' è anche una seconda linea che dovrebbe dare nuovo slancio al movimento. Bossi, a Venezia, l' ha sintetizzata così: «Se l' Italia va giù, sale la Padania». Più articolata la spiegazione del deputato Massimo Garavaglia sulla Padania di qualche giorno fa. L' idea è che «in caso di crisi greca, l' euro sparirebbe e a questo punto potrebbero "vincere" i contribuenti tedeschi che spingono verso la nascita di un doppio euro». Il resto del ragionamento è in discesa: «Per la Padania sarebbe il momento delle scelte. Da che parte stare? Con l' Europa che conta o con quella di serie B?». Garavaglia suggerisce che il Nord si accolli una quota parte del debito pubblico ben superiore a quella dovuta: «La Padania potrebbe rientrare nei parametri europei se non dovesse più gettare dai 50 ai 70 miliardi di euro l' anno nel calderone romano». Quanto al Centro-Sud, «si troverebbe ad avere un debito del 70%, uno dei più virtuosi del mondo moderno». Contenti tutti? E intanto, la Velina verde è tornata a farsi sentire. Il misterioso (ancora per poco) blog leghista che nelle scorse settimane aveva attaccato Roberto Maroni, ieri scriveva: «Noi siamo la pistola fumante della base incazzata che non ne può più di poltronieri e intrallazzi». Marco Cremonesi

giovedì 8 settembre 2011

CORRIERE DELLA SERA - 08/09/11 - BERSANI CON DI PIETRO E VENDOLA. RENZI ATTACCA, VELTRONI ASSENTE

Sono le 11 del mattino quando, in mezzo al corteo anti-manovra, arriva Pier Luigi Bersani: gran mucchio di fotografi e telecamere, il servizio d' ordine della Cgil fatica obiettivamente a contenere la ressa, il leader del Pd si mette a fianco di Susanna Camusso e comincia a scendere lungo via Merulana. Era il momento più atteso, Bersani l' aveva promesso: «Anche il Pd sarà in prima linea». I leader dell' opposizione, Terzo polo escluso, ci sono tutti: Vendola, Ferrero, Diliberto, Bonelli, Di Pietro. «Qui la coalizione c' è - sibila il leader dell' Italia dei Valori -. Il problema non è chi c' è, ma chi manca. Se alcuni hanno la puzza sotto il naso, è un problema della loro coscienza». Già, chi manca. Nelle cento piazze della Cgil, certe assenze si sono notate. «Ma il Pd da che parte sta?», si chiedeva ironico a fine giornata il deputato della Lega Nord Giacomo Stucchi. Ma non solo lui, in realtà. Pd diviso, spaccato. Tra chi c' era e chi no. Al corteo di Firenze, per esempio, non è pervenuto il sindaco Matteo Renzi. C' era, invece, uno striscione velenoso: «Renzi, il sindaco che la destra ci invidia». Nella stessa piazza, però, s' è vista Rosy Bindi, che del Pd è la presidente. Sibillina, la Bindi: «Ci sono persone che ritengono che non si debba ricorrere a strumenti di lotta radicali, estremi, anche se pacifici, come quello che la Cgil ha scelto. Si assumano le loro responsabilità: noi non abbiamo dubbi da che parte stare». Il sindaco «rottamatore» del Pd, qualche ora più tardi, ha risposto a modo suo alle gerarchie del partito: «Bersani tiri fuori le idee, non solo gli striscioni. Gli elettori del Pd non si aspettano di sapere se siamo in piazza o no, ma se abbiamo prospettive, proposte, per il lavoro e per i giovani. La manovra del governo sembra fatta dal mago Silvan, con provvedimenti che appaiono e scompaiono. Poi però i mercati te la fanno pagare...». E così, a Firenze, Renzi non c' era, mentre - per dire - i suoi colleghi di Torino e Bologna, Piero Fassino e Virginio Merola, hanno seguito Bersani. E non s' è visto a Trieste nemmeno il sindaco Cosolini, mentre l' europarlamentare Debora Serracchiani, del Pd come lui, non ha fatto mancare la sua presenza («Il partito è il partito e il sindacato è il sindacato, ma l' articolo 8 fa proprio schifo...», ha spiegato). Eppoi a Brescia c' era il funerale di Mino Martinazzoli: «Coincidenza simbolica», sospira il senatore pd Lucio D' Ubaldo, che infatti c' è andato, disertando il corteo di Roma insieme ai suoi colleghi ex popolari Garavaglia, Rusconi e Galperti. Tutti al funerale del vecchio segretario della Dc: anche Franceschini e Follini. Però la Bindi e Bersani hanno fatto ugualmente in tempo a partecipare alle esequie. D' Ubaldo glissa: «In questo momento serve coesione, per dare fiducia ai mercati...». Roberto Giachetti, ex rutelliano, è un altro che non ha aderito: «Il risultato di questo sciopero, scusate, qual è stato alla fine? S' è rotta di nuovo l' unità sindacale». «Le divisioni sindacali non fanno mai bene», aveva chiosato alla vigilia Walter Veltroni, che infatti s' è tenuto alla larga. Eppoi c' è Giuseppe Fioroni, il caposquadra degli ex popolari, il primo a schierarsi nettamente contro lo sciopero: «Già, ma ora non mi sento più solo. L' altra sera a Pesaro sono stato insultato, ma alla fine la gente applaudiva. Noi dobbiamo essere forza di governo, lasciamo cavalcare a Di Pietro e Vendola l' onda della protesta. Noi non siamo surfisti». Fabrizio Caccia

mercoledì 7 settembre 2011

LA STAMPA.IT - 07/09/11 - LO SCIOPERO VISTO DAL GOVERNO

Gli scioperi hanno facce diverse a seconda di chi li guarda. Mentre milioni di italiani sono bloccati nel traffico o si avviano a piedi verso i luoghi di lavoro, contesta l’entusiasmo delle cifre annunciate dalla Cgil. Il 60% di adesione? Macché. Per Sacconi ha protestato «un’Italia molto minoritaria; le adesioni sono bassissime e dire minoritaria è già eccessivo rispetto alla dimensione molto contenuta delle adesioni». Un fallimento totale, dunque, anche se le scuole avevano i portoni sprangati e trovare un’autobus praticamente impossibile nelle grandi città. «Mi auguro che la bassa adesione allo sciopero - conclude - anche in un contesto così enfatizzato, porti a far riflettere la Cgil e il Pd circa la necessità di un clima di maggior condivisione».Il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ha cifre anche più precise. Cita i dati pervenuti alle ore 17 e annuncia un’adesione del 6,99%. La scuola è un capitolo a parte, precisa il ministero di Brunetta. L`adesione è stata del 3,42% relativo al 56,45% del campione di riferimento. Il ministero ricorda infine che nell`ultimo sciopero generale indetto lo scorso 6 maggio dalla Cgil il dato riferito alla stessa ora presentava un`adesione del 13,28%: «quasi il doppio di quello odierno».La conclusione del ministro Brunetta? Che la crisi dei mercati finanziari, sia frutto del «masochismo italico». E la protesta di ieri ne è un esempio: «Un sindacato che fa lo sciopero proprio oggi, anche se con un’adesione piccola, solo al 3-4%».La Lega se la prende con la sinistra. «Ci chiediamo da che parte sta - afferma Giacomo Stucchi, segretario di presidenza della Camera del partito di Bossi - Che senso ha che il maggior partito di opposizione, in Senato collabori con la maggioranza per il varo della manovra, salvo poi scendere in piazza a fianco della Cgil per lo sciopero generale?»Anna Maria Bernini, ministro per le Politiche Europee accusa la Cgil di non avere alcuno «spirito sindacale» ma soltanto «pregiudizio politico» perché protesta prima che la manovra sia approvata definitivamente. «È paradossale - dice - come la Cgil abbia convocato uno sciopero generale mentre è ancora in corso tra maggioranza e opposizioni il dibattito parlamentare sulla manovra. E mentre governo e parti sociali sono ancora seduti allo stesso tavolo per siglare un patto per la crescita e lo sviluppo nell’interesse del Paese».

lunedì 22 agosto 2011

CORRIERE DELLA SERA.IT - 22/08/11 - "PATRIMONIALE SOLO SUI BENI DI LUSSO"

Proposta di Calderoli. I maroniani evitano l’affondo sulla previdenza CAPRIATA D’ORBA (Alessandria)— Una patrimoniale. Ma soltanto per chi può. È l’idea a cui sta lavorando Roberto Calderoli per uscire dall’impasse tra tagli ai Comuni e taglio alle pensioni. Sabato sera Silvio Berlusconi è tornato alla carica con Umberto Bossi. Per insistere sul fatto che un intervento sui trattamenti di anzianità (pensione più tardi nonostante i 40 anni di contributi) e una più rapida equiparazione tra l’età pensionabile di donne e uomini siano indispensabili. Ma Bossi dice no. Ieri sera, se ne è uscito con una pernacchia all’indirizzo di Angelino Alfano: «È un bravo ragazzo, però...». Poi ha argomentato: «Non taglio le pensioni alla povera gente, gli enti locali se la caveranno e con un po’ di rumore... il governo troverà i soldi per loro». Nel Carroccio non sono soltanto i sostenitori di Roberto Maroni a premere per salvaguardare i piccoli Comuni. Calderoli, per esempio, si dice certo che alla fine «i Comuni non avranno più motivi di malcontento». E dal canto suo sta studiando una patrimoniale «sui generis». Perché «la patrimoniale in senso tradizionale è sbagliata. Va a colpire beni che sono già stati tassati e che di per sé non forniscono reddito. Cosa diversa potrebbe essere un intervento nuovo. Un’imposta su quei beni decisamente al di sopra di un tenore di vita medio ». Le solite barche? «Non soltanto le barche. L’idea è quella di individuare alcuni parametri che tratteggiano un tenore di vita medio, per poi andare all’imposizione su quei beni che decisamente lo superano. L’informatica oggi può aiutarci molto, e l’obiettivo è anche quello di smontare tutti quei giochini che si fanno per eludere il fisco, da certi leasing alle società di comodo». Nulla a che vedere, osserva Calderoli, con l’aumento dell’Iva sui beni di lusso che alcuni, a partire da Roberto Formigoni, sostengono con energia: «Bisognerebbe sapere quello di cui si parla. Il problema è che l’Iva è una tassa europea. E noi non possiamo scegliere fior da fiore i beni a cui applicarla». Quel che ormai sembra assodato è che la Lega farà muro ad ogni tentativo di intervenire sulle pensioni: Bossi intende resistere a ogni pressione. La linea emergerà dalla segreteria politica del Carroccio fissata per oggi, ma sull’argomento—a dispetto degli sforzi di Berlusconi e Angelino Alfano — sarà ben difficile che arrivino novità. Se ci fossero ancora dubbi, di ieri sono due interventi —entrambi provenienti dall’area dei sostenitori di Maroni— fatti apposta per fugarli. Il primo è del deputato bergamasco Giacomo Stucchi che in un’intervista a Radio Popolare ha respinto lo scambio proposto da Alfano (riforma delle pensioni per ridurre i tagli agli enti locali): «Ne sono certo, ho fatto le due stanotte con Bossi a parlare di queste cose». Il secondo è del sindaco di Varese Attilio Fontana, che è anche il presidente dell’Anci lombardo: «Bisogna trovare un’alternativa diversa, Enti locali e pensioni sono gli ultimi due comparti che devono essere toccati». Peraltro, Fontana dice di non capire «l’alternativa enti locali o pensioni. Nel Paese ci sono tantissimi sprechi, tantissime situazioni da modificare per recuperare le somme che si stanno cercando».

sabato 16 luglio 2011

IL GIORNO - 16/07/11 - DONNA IN COMA E LICENZIATA, IL CASO APPRODA IN PARLAMENTO. PD E LEGA: "CHIAREZZA"

I deputati bergamaschi Misiani e Stucchi hanno interrogato i ministri. Il Pd: "Si tuteli la lavoratrice" e il Carroccio insiste: "Verifiche sul rispetto delle norme"

Bergamo, 16 luglio 2011 - Approda nelle aule parlamentari il caso della lavoratrice in stato vegetativo licenziata dopo sedici anni di lavoro dalla Nuova Termostampi di Lallio. Una interrogazione al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali viene presentata da tre deputati del Pd, il bergamasco Antonio Misiani, Emanuele Fiano, Antonio Boccuzzi. Secondo i tre esponenti politici «la motivazione di presunti “intralci all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al suo regolare funzionamento” appare del tutto discutibile, poiché la dipendente è assente da molto tempo (ciò a conferma della gravità del suo stato) per cui nessun intralcio può essere occorso alla produzione, che certamente non ha potuto essere organizzata pensando ad un rientro a breve periodo della lavoratrice. Secondo quanto affermato dal segretario provinciale della Filctem Cgil di Bergamo, in situazioni analoghe di lavoratori affetti da gravi malattie in procinto di superare il periodo di comporto per la conservazione del posto di lavoro, le aziende - anche grazie alla sostanziale assenza di costi per il datore di lavoro - non provvedono al licenziamento ma, al contrario, mantengono in essere il rapporto di lavoro». Secondo i tre interroganti «la scelta della Nuova Termostampi di licenziare la lavoratrice è dettata da una grave sottovalutazione dell’aspetto umano della vicenda». Si chiede al ministero «quali iniziative intende assumere al fine di favorire il ritiro da parte dell’azienda della cessazione del rapporto di lavoro e la piena tutela dei diritti della lavoratrice». Giacomo Stucchi, deputato bergamasco della Lega Nord, ha rivolto una interrogazione con risposta scritta al ministro del Lavoro e Politiche sociali e al ministro per lo Sviluppo economico. Stucchi chiede a entrambi i ministri «se non ritengano doveroso e urgente intervenire, al fine di accertare quanto segnalato in premessa, verificando il pieno rispetto della normativa in vigore, riguardante il diritto alla conservazione del posto di lavoro alla luce anche dei ricorsi presentati dalle organizzazioni sindacali e nel contempo sensibilizzare l’azienda in questione, ad assumere una diversa valutazione sul caso rappresentato». Dal ministero del Lavoro viene confermato l’invio degli ispettori nell’azienda di Lallio.

mercoledì 6 luglio 2011

AGENPARL - 06/07/11 - MANOVRA: STUCCHI (LNP), SODDISFAZIONE PER NORMA RITIRATA

"Una rottura non c'è. Il casus belli è stato eliminato. La norma che aveva provocato malumori è stata ritirata". Giacomo Stucchi, vicecapogruppo della Lega, in un'intervista rilasciata oggi per Il Mattino, si limita a constatare i fatti. E sottolinea che la manovra economica è positiva perchè "salvaguarda gli interessi del Nord. E poi è giusto che i tagli alla spesa pubblica incidano più sui costi della burocrazia centrale, da sempre un pachiderma dai costi incontrollabili. E ancora risponde alle richieste della Lega che ha fortemente voluto, rispondendo alle richieste che sono arrivate dagli elettori, una manovra il più possibile equa e sopportabile e comunque con un punto fermo". Stando alle parole di Stucchi, la priorità rimane comunque: "Garantire la stabilità dei conti pubblici e la riduzione del deficit, che sono vitali per l'economia generale, senza incidere sulla qualità di vita dei cittadini".

venerdì 17 giugno 2011

AGENPARL - 17/06/11 - MASSA CARRARA: STUCCHI (LNP) PORRE FINE AL BIVACCO DEI CLANDESTINI

Da circa un anno un gruppo di clandestini bivaccherebbe nelle piazze di Massa Carrara, protestando contro il mancato rilascio del permesso di soggiorno. E' quanto denuncia il deputato della Lega Nord, Giacomo Stucchi in un'interrogazione al Ministro dell'Interno e al Ministro del Lavoro. I clandestini lamentano di essere stati truffati da un'agenzia interinale che avrebbe promesso loro l'assunzione presso alcune famiglie, circostanza che secondo Stucchi non è stata provata in alcun modo. Il deputato leghista chiede quindi di poter mettere fine a questa situazione e che il Ministro del Lavoro verifichi i requisiti dell'agenzia interinale.

giovedì 2 giugno 2011

IL SOLE 24 ORE - 02/06/11 - FONTANA: VOTERO' DUE SI' SULLE RISORSE IDRICHE

In una Lega che già si dibatte in vista di Pontida e della verifica parlamentare dell'ultima settimana di giugno è arrivata pure la tegola del referendum. In realtà era stato lo stesso Umberto Bossi a mostrare di gradire il test sull'acqua dal momento che il Carroccio ha sempre avuto un approccio decisamente più pubblico sulla gestione dei servizi locali rispetto agli altri partiti di maggioranza e opposizione. Infatti, non erano in pochi i padani contrari alla legge Fitto-Ronchi tant'è che si erano beccati il marchio di «statalisti» dalle forze dell'opposizione. «Oggi invece ci troviamo nel paradosso che quelli che ci puntavano il dito contro adesso cavalcano i referendum, tra questi ci sono perfino Udc e Fli: siamo alla demagogia». La sorpresa è di Massimo Garavaglia, vicepresidente leghista alla Bilancio del Senato, l'uomo attraverso cui "passano" tutte le norme economiche che decide in stretto collegamento con Giancarlo Giorgetti (e Giulio Tremonti). E proprio lui che quella legge la conosce bene, spiega la ragione per cui un doppio sì costituirebbe un problema nonostante la simpatia per quel quesito. «Il punto non è politico, da quel punto di vista ci ritroviamo. Il nodo è tecnico perché il quesito è posto male e da quell'impostazione ne deriverà un irrigidimento su tutta la normativa che riguarda i servizi pubblici locali costringendo alla gestione in house. Tra l'altro credo che difficilmente la nuova versione possa essere accolta da Bruxelles». Questi sono i dubbi ma come ammette lo stesso Garavaglia «sono cose che capiscono in pochi, solo i tecnici e gli esperti mentre questi referendum sono guidati da altro e mirano ad altro».Il riferimento è sempre quello: Silvio Berlusconi. È il bersaglio grosso dei quesiti con il legittimo impedimento e, se verrà colpito, sarà un problema in più per il Senatur nell'andare avanti con questo Governo. «Sui referendum una decisione verrà assunta lunedì dai vertici di Via Bellerio ma credo che l'ipotesi più ragionevole sia quella della libertà di voto, sarebbe difficile articolare gli orientamenti sui 4 quesiti». È quello che si sente di anticipare Gianni Fava, deputato leghista, anche se la base sembra già pronta a bocciare con quattro sì il Cavaliere. Questo segnalerebbero i vari siti o gli ascoltatori di Radio Padania anche se c'è chi gli umori li conosce bene e cerca di distinguere. È Attilio Fontana, sindaco leghista di Varese, appena rieletto al ballottaggio e molto amico di Roberto Maroni. È lui il primo a sparigliare annunciando il «sì» sull'acqua. «Sono contrario alla legge attuale dunque da cittadino darò il mio voto». Una dichiarazione che fa subito scattare scenari ulteriori di un addio al Cavaliere ma Fontana frena. «Non voterò contro il legittimo impedimento, anzi, bisognerebbe restaurare lo spirito garantista della Costituzione. Inoltre – conclude Fontana – non credo che a questi referendum debba essere data una valenza politica». Il sindaco ammette che il malumore nella base c'è «ma non con le esasperazioni dei giornali, non per abbattere Berlusconi».Del resto a frenare letture catastrofiste è soprattutto chi è a stretto contatto con i vertici come Giacomo Stucchi, deputato bergamasco molto vicino a Calderoli: «Il voto amministrativo ha già dato un segnale, non credo che il referendum possa aggravare o cambiare questo dato. Ci vuole uno scatto e lo annunceremo a Pontida. Per quanto riguarda i quesiti l'unico per noi interessante è sull'acqua ma è posto in modo tale che complicherebbe le cose perché estremizza e irrigidisce tutta la normativa sui servizi pubblici». E pensare che l'appuntamento di Pontida era stato fissato al 12 giugno, data dei referendum, e poi spostato al 19 per bon ton istituzionale verso il Colle.

martedì 24 maggio 2011

LA POLITICA ITALIANA.IT - 24/05/11 - MILANO, STUCCHI (LEGA): CON PISAPIA SMANTELLATI MARGINI SICUREZZA

"Trasformerà comunità meneghina in multirazziale"

ROMA - "Se Pisapia sarà sindaco di Milano il 'laboratorio' di Via Padova, come lui stesso ha definito la zona simbolo della massiccia presenza di immigrati nel capoluogo lombardo, con tutti i problemi connessi, potrebbe diventare sistema". Lo scrive sul suo blog il deputato della Lega Nord Giacomo Stucchi."Se Pisapia - continua - metterà in pratica il suo programma, e non c`è una sola ragione per credere che non lo faccia se legittimato dal voto, potrebbe trasformare la comunità meneghina in una società multirazziale più di quanto non lo sia già adesso. Con l`aggravante, però, che alcuni argini di sicurezza che il Governo in carica ha messo a disposizione dei Comuni, e che a Milano si sono tradotti in ordinanze anti-dormitori e anti-degrado, saranno state nel frattempo smantellate".

giovedì 12 maggio 2011

IL SOLE 24 ORE - 12/05/11 - LA SFIDA DELLA LEGA AL PDL: PRIMI NELLA ZONA "ROSSA"

Non c'è solo Bologna. La Lega si è intestata il comando della sfida contro il centro-sinistra in 14 Comuni dell'Emilia-Romagna (tra cui Cento e Salsomaggiore) sui 30 in cui si vota. Ancora prima del voto, insomma, è riuscita a spuntare quasi la metà delle candidature a sindaco bilanciando già il suo rapporto di forza con il Pdl e aspettando di fare i conti finali dopo i ballottaggi. Bologna è il simbolo della fragilità del primo partito della coalizione di centro-destra ma gli altri 14 Comuni sono la conferma che questa volta i leghisti hanno visto un «boccone ghiotto» come dice Paolo Stefanini che con il suo libro "Avanti Po" descrisse l'avanzata padana nelle terre "rosse" dell'Emila e della Toscana. «Le divisioni del Pdl – dice – sono l'occasione giusta per crescere ancora. Questa volta a spese del Pdl». Dunque, «la costola della sinistra» adesso non farà male al Pd ma mira al suo alleato per scalzarlo da dominus della coalizione. Lo stesso copione che si è visto – e si vede – in "Padania".«Sfatiamo questo mito che il Carroccio cresce a spese della sinistra. Qui a Bologna la sfida è sull'egemonia del centro-destra». Fausto Anderlini, sociologo, con le sue ricerche demoscopiche ha descritto da tempo il fenomeno "verde" nelle roccaforti ex Pci e, a ogni tornata elettorale, quel colore ha macchiato sempre più l'Emilia-Romagna. Un'escalation che è partita dal 2,5% delle politiche 2001 fino all'8% del 2008 per poi accelerare all'11% delle europee 2009 e ancora al 15% delle regionali 2010. Un'exploit che in alcune zone dell'Emilia ha raggiunto anche consensi oltre il 20% (come si vede dalla cartina) e ha permesso di espugnare piccoli luoghi simbolici come Viano, comune rosso in provincia di Reggio Emilia. «Ma non è il muro rosso che viene buttato giù, a cadere – stavolta – è il muro del Pdl», ripete Anderlini. È dunque questa la sfida leghista: vincere sul Pdl più che vincere tout court. Minimizza Angelo Alessandri, deputato e segretario della Lega in Emilia: «Fino a due anni fa invece abbiamo preso molto dal centro-sinistra, oggi forse è vero che c'è più competizione con il Pdl ma chi vota Lega è deluso dalla politica e qui, dati i numeri, vuol dire deluso dal Pd. Anche perché tra la gente e tra gli amministratori il "no" del Pd al federalismo non è compreso né accettato». In questo voto la Lega si cimenta pure in due luoghi "sacri" per gli amanti della musica e candida un suo uomo a Zocca, paese di Vasco Rossi (cantautore amatissimo da Pierluigi Bersani) e uno a Monghidoro, dove è nato Gianni Morandi.Al di là dell'Appennino, invece, la strada è in salita. «La Toscana oggi è com'era l'Emilia qualche anno fa. Per noi è una stagione di semina, di investimenti politici: non è ora che aspettiamo il risultato». Giacomo Stucchi, deputato leghista in ascesa, non è di casa in Toscana. Bergamasco, vicino a Roberto Calderoli, è stato inviato nell'altra roccaforte rossa da Umberto Bossi: tecnicamente è "legato federale", una funzione che affianca il segretario della Toscana proprio per dare un calibro in più a questa gara. Qui si vota in provincia a Lucca e poi per i sindaci di Grosseto, Arezzo, Siena: nessun candidato leghista, si parte da posizioni più arretrate. «Far passare la "Padania" qui era dura ma ora, con un'azione di governo credibile su sicurezza, immigrazione e federalismo, possiamo giocarci la nostra partita immaginando un'escalation come c'è stata in Emilia. Abbiamo bisogno di due anni ancora». E l'inizio si colora di una strategia che punta dritto all'attacco delle cooperative. «C'è un forte malessere sia per le Coop della distribuzione che stanno uccidendo i piccoli commercianti sia per le grandi imprese edili che hanno di fatto escluso gli artigiani o i piccoli imprenditori. Ecco – conclude Stucchi – noi diamo una sponda agli esclusi da questo sistema economico di potere». Situazione diversa in Emilia dove invece Lega e cooperative hanno maturato un rispetto, se non una sintonia. «Sono loro che hanno scelto di sganciarsi dalla sinistra diventando Spa e ora vogliono muoversi con più libertà», spiega Alessandri. Un pragmatismo diverso da quello Toscana dove la campagna della Lega è ben diversa da quella emiliana: è una campagna da "piccoli numeri" che però vuole crescere puntando sul malessere, sulla rabbia, sugli esclusi. «La sinistra – racconta Stucchi – è sparita dalle periferie, dai piccoli paesi, si è arroccata nelle grandi città e nei centri storici ignorando quello che avviene tra i ceti più bassi. La svolta di centro-destra a Prato è la dimostrazione che c'è un malessere che la sinistra non sa più governare». Un'altra prova per la «costola della sinistra» che rilegge una storia tra gazebo nei mercati e richiamo identitario che pare funzionare anche oltre il Po.© RIPRODUZIONE RISERVATAIl Carroccio «dilaga» oltre il PoToscanaUmbriaMarcheEmilia Romagna

martedì 10 maggio 2011

ITALIA OGGI - 10/05/11 - UNA BIONDA PER DESTRA E SINISTRA

Di Pierre de Nolac


Destra e sinistra unite: nel nome (e nel gusto) della birra… Con una visita allo stabilimento e all’archivio storico Peroni, il club dei parlamentari amici della birra ha scoperto una delle realtà industriali più apprezzate nel mondo (ora è la Cina il primo mercato). Così dal leghista Giacomo Stucchi (numero uno del sodalizio) al Pd Enrico Farinone, i partecipanti hanno compiuto un viaggio nella storia d’Italia: nel 1964 venne lanciata la “sportiva” Nastro Azzurro, e i filmati hanno raccontato la “nascita” di un attore quale Terence Hill, oltre alla regia di esponenti della cinematografia “impegnata” come Cito Maselli. E le bionde. Il commento di Stucchi? “Sono tre i vizi di un uomo, donne, fumo e vizi. La loro somma è una costante. Nella vita possono venir meno le sigarette e le donne, ma meno male che c’è una birra così”.

giovedì 5 maggio 2011

AGENPARL - 05/05/11 - BIRRA:PARLAMENTARI IN VISITA ALLA BIONDA PERONI

"La birra non può far male. L'acqua sì". Le parole del direttore dello stabilimento romano della Peroni, Luigi Sironi, fanno da spot, tra il serio e il faceto, alla visita del Club parlamentari amici della birra. In collaborazione con Assobirra, col direttore Filippo Terzaghi ed il suo vice Andrea Bagnolini, l'associazione presieduta dal leghista Giacomo Stucchi ha reso omaggio all'azienda che da 165 anni fa bere gli italiani. "Siamo un'associazione nata da circa un anno - fa sapere l'esponente del Carroccio - ma contiamo già quasi un centinaio di parlamentari iscritti a questo progetto di orgoglio nazionale e valorizzazione di un prodotto che, obiettivamente, ormai contraddistingue il made in Italy agroalimentare". Oltre 4,5 milioni di ettolitri all'anno, 900 milioni di euro di fatturato, sedi succursali a Bari e Padova, la più famosa birra italiana si sta allargando oltre confine: uno dei brand, Nastro Azzurro, sta rosicchiando il mercato che una volta apparteneva a Germania e Danimarca su tutti. Peroni esporta in 60 Paesi esteri, principalmente Stai Uniti, Polonia e Canada. "Per noi è un onore ospitare Gli amici della birra - esordisce durante il buffet di benvenuto l'amministratore delegato di Peroni, lo spagnolo Alfonso Bosch - perché ciò testimonia l'attenzione al nostro settore da parte dei parlamentari. Siamo una grande realtà internazionale, capace di dar lavoro a 136 dipendenti fissi, più un incremento occupazionale del 20% nei periodi estivi, quelli di maggior produzione e commercializzazione". Accompagnati rigorosamente da hostess bionde, come la migliore tradizioni pubblicitaria della ditta birraia, la delegazione parlamentare visita lo stabilimento, attraverso i padiglioni adibiti alla produzione. "La nostra azienda segue precisi standard di ecosostenibilità - assicura il direttore romano Sironi - addirittura producendo energia in loco, che viene messa in rete in inverno ed utilizzata in estate". Poi la frase ad effetto, tra applausi e sorrisi: "La birra non può far male. L'acqua sì". Uno scherzo, ma non troppo: "Nel 1200 a Bruxelles si stava diffondendo l'epidemia di peste - spiega Sironi - e il vescovo Arnoldo intuì prima degli scienziati che la diffusione potesse dipendere dall'acqua contaminata. Così ordinò che la gente bevesse solo birra. Arloldo riuscì a porre un freno alla pestilenza e oggi è il santo protettore dei bevitori di birra". Leggenda a parte, Sironi precisa: "La birra non ospita batteri patogeni, perché contiene alcol, è acida, priva di aria. In più il luppolo ha potere batteriostatico". Quindi, il viaggio nel tempo del gruppo di parlamentari in escursione: si aprono le porte del museo storico Peroni, vero archivio di campagne pubblicitarie, etichette, bottiglie, macchinari, documenti. E un filmato a dimostrare come l'Italia, con la Peroni, sia riuscita a superare la logica della bottega della birra diffusa in Germania, diventando produttrice del luppolo fermentato a livello industriale. È un viaggio nella storia d'Italia, non solo di una casa produttrice: nel 1964 viene lanciata la "sportiva" Nastro Azzurro, sponsor per anni di tutte le manifestazioni veliche: "È un brend - spiega Sironi - destinato ad un pubblico giovane, dinamico, che incrementa la gradazione alcolica da 4.7 a 5". Ed è il periodo, in ritardo, dell'approdo Peroni in Carosello. Durerà fino al 1976, con spot storici, come quelli di due giovanissimi Terence Hill e Claudio Lippi. Ma Peroni è essenzialmente la "bionda per la vita", un'invenzione di Armando Testa, padre indiscusso della pubblicità tricolore, che durerà sino al 2003. E l'analogia non sfugge al leader del Club dei parlamentari, Stecchi: "Sono tre i vizi di un uomo - conclude al momento dei saluti - , donne, fumo e vizi. La loro somma è una costante. Nella vita possono venir meno le sigarette e le donne, ma menomale che c'è una birra così". Di seguito, l'intervista al presidente dell'associazione Club Amici della Birra, Giacomo Stucchi (Lega Nord).

venerdì 15 aprile 2011

VIRGILIO.IT - 15/04/11 - PROCESSO BREVE/STUCCHI (LEGA): ORA PD SI CONFRONTI SU RIFORME

Dopo ennesima sconfitta parlamentare,non continui a leggere Cartapostato Roma, 14 apr. (TMNews) - "Dopo l'ennesima sconfitta parlamentare e preso atto che con questi numeri a favore del centrodestra non esistono le condizioni per dare una spallata al Governo, speriamo che il Pd riprenda il cammino del confronto sulle riforme e non continui invece nel prosieguo della legislatura a leggere in Aula la Costituzione". Lo afferma il deputato della Lega Nord e Segretario dell'Ufficio di Presidenza di Montecitorio, Giacomo Stucchi. "Sarebbe mortificante - aggiunge - per i parlamentari del Pd e deprimente per il Parlamento, così come per tutti i cittadini".

giovedì 14 aprile 2011

IL SOLE 24 ORE - 14/04/11 - GIUSTIZIA "ARCHIVIATA", SPUNTA L' ASSE PDL-LEGA SULLA CRESCITA

«Non ci possiamo permettere di perdere Milano». È una sintesi efficace che va dritta al punto quella che fa Giacomo Stucchi, deputato bergamasco della Lega, molto vicino a Maroni e Calderoli, che vuole archiviare in fretta la giornata di ieri. «C'era il processo breve da votare, l'abbiamo fatto, la maggioranza ne è uscita rafforzata ma ora dobbiamo concentrarci sulle elezioni amministrative. E la campagna non si fa con la nuova prescrizione ma con le misure economiche. Ripeto: non ci possiamo permettere di perdere Milano. Berlusconi e Tremonti lo sanno». Basta evocare quella sfida meneghina per capire come nella maggioranza ci sia la piena consapevolezza che ora vanno accantonate le battaglie del premier per ragionare davvero sulla priorità economica. È così che ora il pressing del partito di Bossi ma anche del Pdl si fa più forte sul ministro dell'Economia. E il programma di riforme presentato ieri viene considerato solo un assaggio. In realtà, nella maggioranza – e nel Carroccio – ci si aspetta qualche misura ad hoc per le piccole e medie imprese, partite Iva e artigiani a ridosso del 15 maggio, quando la bufera sul processo breve sarà lontana e i riflettori potranno essere tutti puntati sull'economia. Il Carroccio ci conta vista anche la sintonia con «l'amico Giulio».Pierluigi Bersani non ci crede. Non crede che davvero quella bassa crescita inchiodata all'1%, di cui ieri ha parlato di nuovo il Governatore Mario Draghi, diventi la priorità di Silvio Berlusconi. «Non lo è mai stata e dunque non mi aspetto che lo diventi adesso. L'economia per Tremonti e questo Governo è solo una technicality, qualcosa di cui non si discute perfino in consiglio dei ministri, figuriamoci in Parlamento. Abbiamo visto la creazione di una nuova Iri con un emendamento a un decreto, cose mai viste». Il leader del Pd scuote la testa mentre alla buvette consuma in fretta il suo pasto tra una votazione e l'altra sul processo breve. Forse ci saranno regali sotto elezioni? Forse la Lega farà pressing su Tremonti? «Forse. Ma finora da Bossi e dai lumbard ho sentito solo mugugni. E col mugugno – risponde il segretario – non si va da nessuna parte. Nemmeno con il loro elettorato del Nord».Lo scetticismo di Bersani si accompagna a quello dell'Udc dove non credono si faranno «interventi seri, semmai propaganda elettorale». La pensa così Gianluca Galletti, vice di Pier Ferdinando Casini alla Camera con la delega all'economia: «Ci proveranno di sicuro a fare qualcosa a ridosso delle amministrative – è la sua convinzione –. Prenderanno qualcosa dal programma di riforma di Tremonti per dare qualche segnale ma non funzionerà. Senza soldi non si può affrontare il tema della crescita». Certo, l'Udc seguirebbe il suo profilo di "opposizione repubblicana" nel dare il via libera a eventuali misure economiche. «Ci mancherebbe altro. Dopo aver usato il Parlamento un mese per il processo breve, ci farebbe piacere – dice Galletti – stare tra i banchi per esaminare qualcosa di utile al Paese, che affronti i problemi reali della gente. Non vediamo l'ora».Anche nel Pdl tira un'aria diversa. La morsa su Giulio Tremonti sembra meno stringente. «Oggi (ieri, ndr) lui era meno rigido, più dialogante con tutti. Credo che dopo la fase del rigore ora si avvierà quella del rilancio». Parlava così Osvaldo Napoli, vicepresidente del Pdl alla Camera, dopo le votazioni sul processo breve. Un voto che rafforza il premier – al momento – soprattutto dopo l'episodio dello scrutinio segreto che ha portato in dote sei voti in più al Cavaliere. E allora anche alla luce di un premier rafforzato, sembrava più facile ieri immaginare cordoni della borsa più lenti. «Dopo aver salvato i nostri conti, ora Tremonti darà uno stimolo al Pil. Senza contare che ora ci saranno due test importanti: Milano e Napoli. Dall'esito di queste due città dipenderà la maggiore o minore forza di Berlusconi e della sua legislatura», pronosticava sempre Napoli che, come tutti nella maggioranza, si aspetta misure proprio per affrontare un voto amministrativo che è in salita. Osvaldo Napoli (Pdl)Per il vicepresidente alla Camera del Popolo della libertà «dopo aver salvato i nostri conti, ora Tremonti darà uno stimolo al Pil»Napoli ricorda contare che a maggio ci saranno «due test importanti»: il voto amministrativo a Milano e Napoli. «Dall'esito di queste due città dipenderà la maggiore o minore forza di Berlusconi e della sua legislatura»Giacomo Stucchi (Lega)Deputato bergamasco del Carroccio molto vicino a Maroni e Calderoli, pensa che la maggioranza sia più forte dopo la giornata di ieri ma avverte: «Ora dobbiamo concentrarci sulle elezioni amministrative. E la campagna non si fa con la nuova prescrizione ma con le misure economiche. Non ci possiamo permettere di perdere Milano. Berlusconi e Tremonti lo sanno»

venerdì 8 aprile 2011

IL TEMPO.IT - 08/04/11 - SFASCISTI A MONTECITORIO

Anche i morti, a volte, possono diventare un ottimo argomento per insultare l'avversario politico. Purtroppo. Succede nell'Aula di Montecitorio che già nei giorni scorsi si era particolarmente distinta per alcune scene degne di una candid camera più che della Camera dei deputati. Succede dopo che il ministro dell'Interno Roberto Maroni termina la sua informativa sulle «misure adottate in relazione all'eccezionale flusso di immigrazione verso l'isola di Lampedusa». Un intervento iniziato esprimendo «il cordoglio mio personale e del Governo per la tragedia avvenuta nella notte tra il 5 e 6 aprile nel canale di Sicilia, nel corso della quale è affondato un barcone proveniente presumibilmente dalla Libia e diretto verso l'isola di Lampedusa con circa 200 persone a bordo». Maroni fa una prima ricostruzione dei fatti, poi passa a parlare dell'accordo siglato tra il governo e le Regioni e delle misure adottate. Alla fine l'emiciclo è unito nell'applaudire il titolare del Viminale. Tutti tranne uno. Il deputato pugliese dell'Idv Pierfelice Zazzera si alza ed espone un cartello con la scritta «Maroni assassino». Lo mostra ai fotografi in tribuna guadagnandosi i suoi dieci minuti di notorietà. I colleghi, Antonio Di Pietro in testa, sono sbigottiti. I deputati della Lega reagiscono immediatamente. Giancarlo Giorgetti raggiunge Zazzera, prende il cartello e glielo strappa. Dai banchi della maggioranza parte il grido «Fuori, fuori!». Silenzio attonito in quelli dell'opposizione. Gianfranco Fini ammonisce il parlamentare convocando subito l'ufficio di presidenza per le sanzioni. In Aula prende la parola Dario Franceschini che si «dissocia totalmente» dal cartello. Anche Di Pietro interviene chiedendo «scusa da parte del gruppo dell'Italia dei Valori». E mentre l'ufficio di presidenza decide sul suo «destino» anche Zazzera si scusa. Ma a metà: «Ho superato il limite e per questo chiedo scusa. Forse avrei dovuto scrivere "Lega assassina" per evitare tutte queste polemiche. Ma ci tengo a precisare, che il mio gesto non voleva essere un attacco personale al ministro Maroni, ma una provocazione e una denuncia politica per quanto sta accadendo con i migranti». Spiega che rinnoverà con una lettera a Maroni le proprie scuse. Il ministro le accetta e prova a gettare acqua sul fuoco: «Non sono permaloso». Scuse accolte anche dalla Lega con Giacomo Stucchi che sottolinea come «la presa di distanza del leader del partito è la sanzione più pesante». Rosy Bindi coglie la palla al balzo per rinfocolare la polemica giudicando «positive» le scuse di Zazzera «al contrario di quanto fatto dal ministro Ignazio La Russa». Il riferimento è al «Vaffa» lanciato dal titolare della Difesa in Aula. Per lui era arrivata una lettera di censura. Il deputato Idv dovrà scontare due sedute di sospensione che sono un avvertimento per il futuro: d'ora in poi non si accetteranno più intemperanze. Zazzera fa sapere che accetta la sanzione. Ci mancherebbe altro.

giovedì 7 aprile 2011

IL VELINO - 07/04/11 - IMMIGRATI, MARONI IN PARLAMENTO: PERMESSI PER CIRCOLARE IN UE

Oggi l'incontro con il ministro dell'Interno francese. I tunisini che sbarcheranno sulle coste italiane saranno rimpatriati. Barcone rovesciato era in acque maltesi.


“Nelle ultime settimane sono sbarcate sulle nostre coste 25.867 persone. Nello stesso periodo dello scorso anno erano state 25, a dimostrazione che il sistema di controllo e prevenzione delle partenze è scomparso". Lo ha detto il ministro dell'Interno Roberto Maroni, riferendo in aula alla Camera sulla questione dei flussi migratori provenienti dal Nord Africa. “Si è verificato un fenomeno di intensità così forte in pochi giorni, che ha determinato la necessità di creare questi centri. Non c’era altra scelta, non c’era alternativa e credo che questi centri di prima accoglienza – ha aggiunto Maroni - siano stati utili, perché hanno consentito l’identificazione di questi cittadini, che consentirà di gestire il flusso per riportarli in Tunisia, per mettere nei Cie quelli che hanno precedenti penali, o per concedere il permesso temporaneo a quelli che hanno mostrato la volontà di recarsi in un paese europeo". Maroni ha sottolineato che "dall'inizio dell'anno gli sbarchi sulle coste italiani sono stati 390". “Ci sono segnali di ripresa che ci fanno pensare che possa intensificarsi il flusso di persone provenienti da paesi subsahariani, che fuggono da guerre e terribili condizioni umane e possono esser ricomprese nella categoria dei profughi''. Sul barcone con a bordo circa 300 migranti che si è ribaltato ha poi aggiunto che “Le autorità maltesi sostenevano di non avere assetti navali disponibili, per questo hanno contattato le autorità di Roma: in queste condizioni l'area SAR (Search and Rescue Council) impone l'intervento. Quello con le autorita' maltesi - ha proseguito - e' un problema che rimane aperto”. Sull'accordo con la Tunisia il titolare del Viminale ha spiegato che "Tutti i cittadini tunisini che sbarcheranno sulle coste italiane saranno rimpatriati". Questo passaggio dell'intervento e' stato sottolineato con applausi dai banchi del centrodestra. Il premier Silvio Berlusconi ha inoltre firmato il dpcm che prevede il rilascio di un "permesso di soggiorno temporaneo per protezione umanitaria" agli immigrati arrivati dalla Tunisia: si tratta di persone che hanno "mostrato la volontà di recarsi in un paese europeo, sono la stragrande maggioranza e l'iniziativa del governo consentirà loro di di girare nei paesi dell'area Schengen". Proprio sul permesso di soggiorno temporaneo, Maroni, nel corso dell'informativa svolta più tardi nell'aula del Senato, ha dichiarato che da parte della Francia c'è "un atteggiamento di ostilità" nei riguardi dell'Italia. "Il provvedimento - ha osservato il titolare del Viminale - permetterà a molti immigrati di lasciare l'Italia. La maggioranza dei tunisini vogliono andare in altri Paesi, a partire dalla Francia. Ma Parigi ha sin qui mantenuto un atteggiamento di ostilità. La libera circolazione nell'area Schengen è garantita da regole che devono essere rispettate''. Maroni ha aggiunto che la questione verrà affrontata il 26 aprile nel corso dell'incontro bilaterale Italia-Francia a cui parteciparanno il preisdente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il presidente francese Nicolas Sarkozy e i ministri dell'Interno e dell'Economia dei due paesi. Dopo l’intervento del ministro Maroni in aula si è scatenata la bagarre per via dell’iniziativa del deputato Idv Pierfelice Zazzera di esporre in aula uno striscione con su scritto "Maroni assassino". Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha immediatamente censurato il deputato, per il quale, a nome dell'Italia dei Valori, il segretario Antonio di Pietro ha chiesto scusa. L’ufficio di presidenza, ha poi deciso di sanzionare il deputato Idv con una censura e la sospensione di due giorni con decorrenza immediata. La decisone è stata presa all’unanimità sulla base della proposta del collegio dei Questori che ha tenuto conto del clima di questi giorni, dell'immediata presa di distanza del leader dell'Idv Antonio Di Pietro e delle scuse rivolte dallo stesso Zazzera al ministro Maroni. Zazzera è stato ascoltato dall'ufficio di presidenza: "Mi rendo conto di aver superato il limite - ha detto - chiedo scusa alla presidenza, all'aula e a tutti i colleghi, la mia voleva essere una denuncia politica". Il Pdl avrebbe voluto una sanzione più severa vista la "premeditazione" del gesto, ma si sono adeguati. Il rappresentante della Lega, Giacomo Stucchi, ha definito equa la sanzione e ha commentato: "Per quanto ci riguarda la sanzione più pesante è stata la presa di distanza di Di Pietro". Per parte sua il ministro Maroni considera chiuso l’incidente: “Non sono permaloso" ha detto ai cronisti al Senato. In serata il ministro durante la registrazione della puntata di 'Porta a porta' ha puntato l’indice contro la Francia, sostenendo che se intende negare ai cittadini extracomunitari la circolazione nel suo territorio dovrà “uscire da Schengen e sospendere il Trattato”. Secondo Maroni “un cittadino con un permesso di soggiorno, seppure provvisorio, può circolare liberamente” e l’unico modo per bloccare questa misura è che “la Francia esca da Schengen e che sospenda il trattato. Misure - ha concluso - che si adottano solo in casi veramente eccezionali”.

martedì 29 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 29/03/11 - PD-LEGA, PROVE PER UNA RIFORMA COSTITUZIONALE

Dalle due sponde opposte, del Pd e della Lega, il dialogo continua. Nonostante i malumori in ciascuno dei due partiti, nonostante i rischi che perfino i dialoganti vedono, il "nuovo asse" va avanti. C'è chi vede il primo seme in quell'intervista che Pierluigi Bersani rilasciò al quotidiano La Padania, anche se la vera svolta è stata l'astensione del Pd sul federalismo regionale. E ora? Ora, appunto, il dialogo non si ferma a dispetto di chi tra i Democratici e nel Carroccio continua a guardare di trasverso quest'alleanza contro natura. L'obiettivo strategico di tanto sforzo bipartisan è diviso in due fasi: la prima è completare un federalismo fiscale che – se va bene – verrà applicato dai prossimi tre fino ai prossimi sette anni e, dunque, non si sa se a gestirlo sarà il centro-destra o il centro-sinistra. «Parliamo con il Pd perché non vogliamo che si smonti un'altra volta – come fu per la dovolution – una riforma che è la nostra mission», risponde Giacomo Stucchi deputato leghista, numero uno nella potente provincia di Bergamo e molto vicino a Calderoli-Maroni. Ma questa è – appunto – la prima tappa. Perché il traguardo finale che i dialoganti si sono posti è la riforma costituzionale. E, cioè, il Senato delle regioni, la riduzione del numero dei parlamentari, la ridefinizione del bicameralismo. Nel Pd chi tesse e ha tessuto la tela con il Carroccio è stato soprattutto Enrico Letta che, non a caso, nel suo appuntamento annuale dello scorso week end – Nord Camp – ha ospitato il ministro Roberto Calderoli. Le sue aperture, vista anche la freddezza di un pezzo del suo partito, hanno una premessa necessaria. «Il paletto – chiarisce Letta – è che in nessun modo questo dialogo prelude a un'alleanza politica». Nel Pd i più critici verso il Senatur sono senz'altro Rosy Bindi e Dario Franceschini ma a mettere una parola chiara è stato Bersani nella direzione di ieri: «Siamo alternativi a Bossi». Insomma, esclusi gli atti politici impuri, si va avanti. «Con la Lega c'è una relazione che non è scabrosa nè pericolosa ma che è invece positiva: andare verso una riforma istituzionale complessiva. Bossi e i suoi – spiega Letta – hanno capito che sul federalismo il Pd è una forza autonomista e soprattutto è un partito che con i suoi amministratori governa mezza Italia. Non si può prescindere da noi». Le riflessioni del vicesegretario guardano soprattutto al futuro di un Pd di governo e non solo di opposizione. «A un Pd riformista conviene portare risultati in vista del momento in cui governeremo. E il federalismo fiscale senza il Senato delle regioni non può funzionare». Dunque, si fa rotta verso la revisione della Carta. In casa leghista quell'astensione del Pd è stata vissuta proprio come una prima mossa verso un traguardo strategico complessivo. «Dopo il federalismo fiscale c'è il funzionamento delle regole istituzionali del Paese, altrimenti è un disegno a metà. Noi abbiamo interesse ad aprire una discussione sulle regole e a fare le modifiche insieme al Pd». Così parlava un distensivo Giacomo Stucchi che insiste: «Conviene anche al Pd misurarsi sulla riforma: ormai è chiaro che per un anno non ci saranno elezioni». Come al solito i conti si fanno sempre con Silvio Berlusconi perché molti dei malumori in casa Pd sono dovuti proprio a lui. Ma Letta è ottimista: «Ho l'impressione che nel 2013 non ci sarà più né il premier né il Pdl mentre la Lega ci sarà. La freddezza nel Pd? Nel voto sull'astensione siamo stati compatti». Dall'altra parte, nel Carroccio, il rapporto con il premier non è in discussione «ma vogliamo distinguere il piano del governo da quello istituzionale», spiega Stucchi. Il punto è che il traguardo di una riforma istituzionale, se davvero la Lega lo porterà a casa, finirà per proiettarla su uno scenario meno padano e più italiano. Un approdo a cui già si lavora. Non è un caso che Stucchi ci risponda dalla Toscana dove, per conto di Bossi, è "commissario" in vista delle amministrative.

domenica 20 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 20/03/11 - "NON SI PUO' DIRE NO A TUTTO I PROFUGHI VANNO AIUTATI"

LAMPEDUSA. Dal nostro inviato Senatrice Maraventano direbbe ancora "Iu sugnu leghista!", come lei stessa si apostrofò al suo debutto in politica con la Lega Nord?L'ho detto e lo ridico. Aggiungo, semmai non fosse chiaro, che io sono nata leghista. Angela Maraventano è il deputato leghista più a Sud d'Europa. Lampedusana purosangue, la sua carriera ha inizio quando indignata per la morte di un cinquantenne isolano per infarto (nel poliambulatorio di Lampedusa mancava persino il defibrillatore), scrive a una decina di deputati di ogni schieramento politico per denunciare lo stato di degrado in cui versa l'unica struttura sanitaria dell'isola. L'unico a risponderle è il deputato leghista bergamasco Giacomo Stucchi, che una settimana dopo vola a Lampedusa per capire di persona che cosa sia successo. Eletta senatrice in un collegio dell'Emilia Romagna, ora si trova nella scomoda posizione di chi deve convincere i lampedusani ad accogliere i migranti tunisini "per motivi umanitari".Senatrice, come ha reagito due giorni fa mentre i suoi compaesani impedivano alle cinque motovedette cariche di tunisini di attraccare al molo?È stata un'esperienza scioccante. Tra loro c'erano cinquanta ragazzini che una volta scesi a terra nessuno voleva ospitare. Guardandoli negli occhi mi sono commossa.Nel 2009 però la pensava in modo diverso.Due anni fa presi di petto i trafficanti di carne umana che lucravano sugli spostamenti degli immigrati. Proposi ai lampedusani di trasferire il Centro di accoglienza alla base Loran della Nato, a parecchi chilometri dal cuore dell'isola. Ma loro mi presero a male parole. Io non mi arrendo: questa è un'emergenza umanitaria, il Nordafrica è attraversato da guerre e rivoluzioni. Il governo farà la sua parte, me lo ha promesso il ministro Maroni in persona.Lei cosa ha chiesto all'esecutivo?Qui serve tutto. Si dovrebbero costruire scuole nuove e istituire una zona franca. Ma non voglio strumentalizzare l'invasione dei maghrebini per avere delle cose che ci spettano di diritto. Non si possono far morire i lampedusani per aiutare i tunisini. E allo stesso tempo non si possono non prestare i primi soccorsi ai migranti.Quindi?Quindi gli isolani si devono decidere: non possono dire di no a tutto. Il capo dell'opposizione in consiglio comunale sostiene che toccherebbe a lei sfamare i nordafricani nel ristorante di sua proprietà, magari attingendo dallo stipendio di parlamentare.Aizzare la gente contro di me è una scelta che si commenta da sola. Questi sono momenti tragici. Oggi più che mai, rivendico lo slogan con il quale mi candidai alle Politiche del 2008: Lampedusa libera, Padania libera.

venerdì 18 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 18/03/11 - LA LEGA IN ORDINE SPARSO

ROMA Una celebrazione a metà, con ministri e sottosegretari presenti a Montecitorio – cinque in tutto – ma con le assenze in massa dei parlamentari. In realtà, in Aula i deputati padani erano due, Stefano Allasia – «scelto perchè sono piemontese» – e Sebastiano Fogliato (probabile sottosegretario all'Agricoltura nel rimpasto): 2 su 85. Una mossa studiata ad arte per restare nel solco della propaganda leghista anti-unitaria ma anche per rispettare un protocollo istituzionale oggi indispensabile per il Carroccio. E non solo perchè Roberto Maroni è il ministro dell'Interno – e la sua assenza sarebbe stata uno strappo senza precedenti – ma perchè il partito di Umberto Bossi non vuole compromettere il rapporto con il Quirinale. La ragione vera di quella presenza ieri, sia pure ai ranghi ridotti della squadra di governo leghista, ha questo significato: mantenere buone e distese relazioni con Giorgio Napolitano. Non è un caso se Umberto Bossi, presente alle celebrazioni di Montecitorio, abbia tenuto a sottolineare il «bel discorso» del presidente della Repubblica aggiungendo che «lui è una garanzia». Meno accorto è stato quando ha parlato di Silvio Berlusconi e dei fischi che ha ricevuto il premier nelle celebrazioni della mattinata a Roma: «Peggio per lui».Stesso spartito per Roberto Maroni che nel suo commento serale ha parlato solo e unicamente del capo dello Stato e del suo «apprezzamento per il discorso del presidente che «nella ricostruzione del Risorgimento non ha omesso il riferimento alle spinte federaliste». Certo, al Carroccio interessava piegare il discorso di Napolitano tutto sul versante delle autonomie locali e della loro importanza, come si è affrettato a dire Maroni, ma il Quirinale è un interlocutore politico troppo prezioso per la Lega per far calare il gelo. Questa è la sostanza che il Carroccio ha voluto proteggere, il resto è la consueta e prevedibile propaganda padana. Fatta di mancati applausi all'inno – anche a Montecitorio – dello snobismo verso le coccarde che il Senatur dice di usare «sull'albero di Natale» mentre sfoggiava il simbolo di San Patrizio. Già perchè la Lega preferisce la festa irlandese ma questo è ancora folklore.Ma insomma quelle assenze parlamentari erano per farsi notare di più? «Ma no, molti parlamentari sono sindaci o presidenti di provincia, sono amministratori locali e quindi avevano la necessità di essere nei territori più che a Roma. Forse qualcuno ha sottovalutato la nostra esigenza di essere nei luoghi». A parlare è Giacomo Stucchi, deputato di Bergamo – provincia molto influente nella geopolitica leghista – e probabile prossimo capogruppo leghista alla Camera. Anche lui sminuisce ma chiarisce che «dai capigruppo Reguzzoni e Bricolo è stata lasciata una partecipazione libera» e, dunque, nessuno si è presentato. Chiaro che invece è stata una scelta concertata, come accade per tutte quelle che riguardano la Lega, e che l'unico segnale che andava dato era verso Napolitano.

mercoledì 16 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 16/03/11 - IL QUORUM INCUBO DEI DEMOCRATICI

ROMA Il quorum continua a essere l'incubo dei Democratici. Anche se la tragedia del Giappone ha cambiato le carte in tavola sull'appoggio dei referendum, non tutti nel partito sono convinti che sia necessario accelerare. E non tutti pensano che sia opportuno mettersi alla testa di un movimento referendario che rappresenti, in sostanza, un messaggio politico anti-Cavaliere. Ieri Pierluigi Bersani ha spinto il Pd – quasi – sulle barricate annunciando che il Pd farà campagna per i quesiti, che il governo sbaglia sul nucleare e che – per questa ragione – in Parlamento è stata presentata una mozione per l'election day. Però nella segreteria – che c'è stata nella mattinata di ieri – la linea è stata più cauta. «La nostra non deve essere una campagna per dare una spallata a Silvio Berlusconi. Non dobbiamo dare l'idea che esista un'altra ora X in cui sarà possibile far cadere il premier. Questo sarebbe pericoloso perché, in assenza di quorum, rischieremmo un boomerang». Le parole sono di Enrico Letta che riflette sui rischi di esporre il partito a una prova assai difficile come è quella referendaria che da anni non riesce a centrare l'obiettivo del superamento del quorum. Certo, in questi giorni la tensione emotiva sul nucleare è molto forte per quello che sta accadendo in Giappone e, quindi, il no al nucleare potrebbe trascinare i cittadini alle urne e superare la barriera del 50% anche sugli altri due quesiti, acqua pubblica e legittimo impedimento. «Ma non possiamo ragionare sull'oggi», ribatte Letta ricordando che «mancano tre mesi al 12 giugno, data dei referendum, e che tre mesi fa pensavamo di poter dare la spallata al premier attraverso Gianfranco Fini». Dunque, serve cautela. Soprattutto per chi come Enrico Letta, da ex ministro dell'Industria, ha posizioni "laiche" sia sull'acqua pubblica che sul nucleare. Che i mesi in politica siano ere geologiche lo fa notare soprattutto Pierluigi Castagnetti che non vuole «sciacallaggi politici sulla tragedia che stanno vivendo i giapponesi». E comunque anche l'ex popolare del Pd ritiene che sarà determinante quello che accadrà lì. «In ogni caso mi pare che il quorum resti difficile da raggiungere a meno che il mondo non dovrà fare i conti con una tragedia davvero epocale, che non mi auguro». Soprattutto, Castagnetti ritiene che sarà il governo, in primo luogo, a fare marcia indietro. «Non credo che le posizioni resteranno quelle di oggi se Tokyo subirà una catastrofe nucleare. Penso che sarà Berlusconi, per primo, a cancellare il piano del nucleare per l'Italia». L'opinione di Castagnetti trova già conferme. Basta girarsi e guardare dalla parte della Lega. Già ieri Luca Zaia l'ha detto chiaro che «in Veneto non si faranno centrali, è anche una zona sismica – quindi – finché ci sarò io non se ne parla». Insomma, il Carroccio di certo non si farà spiazzare dall'opposizione su un tema così vicino al sentimento popolare. E non è un caso che Giacomo Stucchi, deputato di spicco della Lega (in predicato per diventare capogruppo nel caso in cui Marco Reguzzoni diventi viceministro allo Sviluppo economico), ieri metteva all'indice le «strumentalizzazioni» dell'opposizione sul nucleare ma – sulla scelta del governo – diceva anche che «c'è modo e tempo per discutere». Dunque, una marcia indietro è più che una possibilità.

mercoledì 2 marzo 2011

IL SOLE 24 ORE - 02/03/11 - IL PARTITO PRO-COLLE NEL CENTRO-DESTRA

Forse non sarà gelo ma qualcosa che gli somiglia sì. È quello che provano molti esponenti – anche di primissimo piano – della maggioranza quando Silvio Berlusconi riaccende il conflitto con il Quirinale. Con una semplificazione si potrebbe parlare di "partito del Colle", cioè di un corposo numero di deputati e ministri che sta un passo indietro nelle polemiche lanciate contro Giorgio Napolitano e privatamente se ne lamenta. Qualcuno lo fa anche apertamente, come ha fatto ieri Roberto Calderoli che – non per la prima volta – ha messo una distanza tra la Lega e il premier. «Ho avuto sostegno, aiuto e collaborazione non solo da Napolitano ma anche dai suoi collaboratori». Fair play istituzionale ai massimi livelli. E strategia politica chiara: perché il Carroccio è fedele al Cavaliere ma non esita ad allontarsene quando sceglie lo scontro istituzionale con il Quirinale o con la magistratura. Che la Lega sia pro-Colle non è solo un fatto di forma. Lo dice con un certo garbo e con altrettanta chiarezza Giacomo Stucchi, deputato molto vicino a Calderoli. «Siamo dalla sua parte e poi, detto con sincerità, il suo stop sul decreto milleproroghe ha consentito a noi di non votare alcune norme davvero indigeste». Nella forma e nella sostanza, quindi, il partito di Bossi sta con Napolitano e non hanno peso le polemiche sulle celebrazioni per l'unità d'Italia perché anche il Carroccio le ha rubricate come propaganda. Con maggior fermezza – e costanza – troviamo accanto al Colle Gianni Letta, da sempre attento custode dei rapporti con Giorgio Napolitano e con il suo staff. Tra tutti, Letta è nel Governo la persona che ha più sintonia istituzionale con il Quirinale ma non è l'unico. Il ministro Angelino Alfano è un altro "schierato" con il Colle e un attento ascoltatore della voce che arriva dal Quirinale soprattutto su un terreno tanto delicato com'è quello sulla giustizia. Non un pasdaran, insomma, come alcune volte – o spesso – vorrebbe il Cavaliere. E lo stesso vale per Giulio Tremonti: il ministro dell'Economia non si è mai lasciato andare a critiche o riflessioni sugli appunti del Colle. E poi c'è la truppa di ex democristiani. A comininciare dal ministro Gianfranco Rotondi: «Io sono abituato a spegnere tutto, si figuri i conflitti con Napolitano!», è il suo esordio. E proprio nel suo ruolo di "pompiere" ci tiene a sottolineare che «le uscite del premier non riguardano la persona o il ruolo politico di Napolitano. Tutt'altro. Non stiamo parlando di Scalfaro, per capirci. Berlusconi è insofferente alla burocrazia, al fatto che pesa l'eredità del fascismo che ha limitato i poteri del premier. Per quanto mi riguarda io ho una fiducia totale in Napolitano». Rotondi viene dalla Dc come Beppe Pisanu, anche lui nel partito pro-Colle. E – come fa notare il deputato Osvaldo Napoli – superberlusconiano ma, anche lui ex Dc, «tutta quell'area ex scudocrociato soffre il conflitto istituzionale anche se a Berlusconi perdona le polemiche perché si limitano a un'insofferenza burocratica. O perché respingono tentativi di presidenzialismo strisciante come quando alcuni costituzionalisti ammettono la possibilità che il Colle possa sciogliere le Camere senza il sì del premier». Lina Palmerini

IL SOLE 24 ORE - 02/03/11 - SABATO A BERGAMO IL RADUNO DEI "BIG"

La chiamano «la cima Coppi», cioè la tappa più alta del Giro d'Italia. È così che i leghisti hanno ribattezzato il traguardo di oggi del federalismo municipale. Non c'è timore della vigilia. Ieri al gruppo del Carroccio facevano i conti sui numeri della fiducia: i sì "sicuri" vengono dati a 316 ma – dicono – ci potevano essere anche quelli dell'Svp, se non ci fosse stata la fiducia, e forse perfino qualche astensione nel Pd. Comunque il dato politico è che la prima tranche della riforma passa e, per il partito di Bossi, la data è perfetta. È il tempismo che gioca a loro favore perché proprio sabato, il 5 marzo, a Bergamo sono già organizzate le celebrazioni per i 25 anni di nascita del partito bergamasco che in Lombardia è quello più forte, più vasto. Nel palco ci sarà il pienone di big: Umberto Bossi, Roberto Calderoli, Roberto Maroni, Giancarlo Giorgetti, Giacomo Stucchi, deputato e probabile prossimo capogruppo alla Camera, che oggi "controlla" la provincia di Bergamo. Duemila persone già prenotate alla Fiera, tutti paganti (il biglietto per la cena è di 20 euro). È chiaro quindi che sabato ci sarà il primo grido di vittoria della Lega, vissuto nel contesto più verace e popolare. Tutto quel malessere della base di cui a lungo hanno parlato i giornali – se davvero c'è – verrà così allontanato dagli slogan di vittoria del Senatur.Ma quella di oggi è appunto solo una tappa. Il prossimo punto nell'agenda leghista è il rimpasto di governo. Dopo le celebrazioni dell'unità d'Italia, il partito di Bossi si aspetta almeno due novità importanti nella squadra: Marco Reguzzoni – attuale capogruppo a Montecitorio – al posto che fu di Adolfo Urso come viceministro dello Sviluppo economico; Sebastiano Fogliato che diventa sottosegretario all'Agricoltura, ministero a cui il Carroccio non vuole rinunciare e quindi "imporrà" una sua presenza nel posto che era di Antonio Buonfiglio, dopo le sue dimissioni per essere passato con Fli. Ci saranno poi spostamenti interni: Sonia Viale da sottosegretario all'Economia tornerà con Maroni all'Interno e Michele Davico che, dall'Interno, dovrebbe diventare sottosegretario della Cultura. Chiuso il capitolo rimpasto, si arriverà davvero al dunque. Perché il prossimo decreto sul federalismo – quello che riguarda le Regioni e i costi standard, quello che affonda sul tema-sanità – sarà davvero il più ostico. È qui che infatti si aprirà il vero conflitto nel Pdl (e con il Pdl) tra Nord e Sud. Il Carroccio ne è consapevole e teme quella tappa perché è a ridosso dell'appuntamento più importante: le amministrative. In ballo c'è Milano (Matteo Salvini potrebbe diventare vicesindaco), Como, Varese, Mantova, Torino e perfino Bologna. Quella sarà la prova verità di una Lega che oggi fa il conto di poter strappare consensi al Pdl e portarli nella sua cassaforte. Una lettura esattamente inversa a quella di chi pensa che invece la solidarietà con Berlusconi starebbe portando via voti al Carroccio. Nel partito del Senatur non c'è questo timore, anzi. La convinzione è che la fedeltà al premier affiancata – però – alle vittorie sul federalismo e alla gestione dell'emergenza-immigrazione, non farà che portare acqua al mulino padano. È in questa chiave che i leghisti hanno letto le parole del Cavaliere sabato scorso a Milano, proprio come conferma dei timori Pdl. Il premier sabato aveva detto non solo che «dobbiamo fare come la Lega, stare sul territorio» ma, prima della partita Milan-Napoli, aveva così tifato la sua squadra: «il Milan deve battere il Sud». Per i "padani" è stata una chiara invasione di campo.

IL CORRIERE DELLA SERA.IT - 02/03/11 - LA CAMERA VOTA IL FEDERALISMO COMUNALE

ROMA- La Camera conferma la fiducia al governo approvando la risoluzione di maggioranza relativa al testo sul federalismo fiscale municipale. La risoluzione è passata con 314 sì e 291 no e 2 astenuti.Silvio Berlusconi era in aula alla Camera con il fazzoletto verde della Lega nel taschino della giacca. Subito dopo il voto di fiducia, racconta Giacomo Stucchi, «Maroni mi ha preso il fazzoletto e l'ha messo nel taschino di Berlusconi». Il quale ha ostentato serenità e soddisfazione per il risultato ottenuto, anche se 314 non rappresenta la maggioranza assoluta dell'Aula: «Sono tranquillo, sapevamo che c'erano alcuni malati e due in missione - ha detto il premier -. Altrimenti saremmo a quota 322». Anche se in realtà i voti mancanti all'appello sono stati solo 5 (un leghista non ha votato, due pidiellini erano assenti e due in missione) e quindi anche se fossero stati tutti presenti la maggioranza sarebbe stata di 319 voti e non 322.IL VOTO - Ad astenersi sono stati i due deputati delle Minoranze linguistiche, Brugger e Zeller. I deputati in missione erano sette, di cui due del Pdl (i presidenti di commissione Gianfranco Conte e Paolo Russo), Salvatore Lombardo e Carmelo Lo Monte dell'Mpa (che pure aveva svolto la dichiarazione di voto per il suo partito), la Liberaldemocratica Daniela Melchiorre, Luca Volontè dell'Udc e Mario Brandolini del Pd. A non partecipare al voto sono stati in 15. Per la maggioranza erano assenti Giancarlo Abelli e Giuseppe Palumbo del Pdl, Daniele Molgora della Lega, Antonio Gaglione e Calogero Mannino del gruppo Misto. Quanto all'opposizione, non hanno risposto alla chiama Andrea Ronchi e Giulia Cosenza di Fli, Roberto Commercio e Ferdinando Latteri dell'Mpa, Sergio Piffari di Idv, Marco Fedi e Maria Paola Merloni del Pd e Anna Teresa Formisano e Luca Volontè dell'Udc. Alla chiama non ha risposto neppure il liberaldemocratico Italo Tanoni. L'unico gruppo presente con il 100% dei suoi deputati è stato Iniziativa Responsabile. Umberto Bossi con il ministro Roberto Calderoli, il capogruppo Marco Reguzzoni e il sottosegretario Francesca Martini (Ansa)BOSSI: «BUONA LEGGE» - Raggiante, come prevedibile, il leader della Lega, Umberto Bossi, che ha definito il voto di Montecitorio «un giro di mattoni in più, siamo quasi al tetto. Ora abbiamo iniziato anche il federalismo regionale». «La perfezione non esiste», ma quella sul fisco municipale «è una buona legge» aveva detto lasciando l'Aula della Camera dopo aver votato la fiducia al governo sul decreto legislativo. Dopo la fiducia della Camera sul federalismo municipale è più probabile che si finisca la legislatura? «Noi vogliamo completare il federalismo, poi vediamo. Restiamo con in piedi per terra», risponde Bossi. Che è sibillino anche nel rispondere a chi gli chiede se l'asse con Berlusconi tenga: «Per adesso tiene». Poi il leader della Lega precisa: «Berlusconi è stato l'unico a darci i voti per il federalismo. Gli altri mi hanno detto 'Fai saltare il miliardario e domani ti votiamo il federalismò, ma Berlusconi i voti in Bicamerale me li dava subito. Non ci possono chiedere di mettere a repentaglio un risultato acquisito». E sull'atteggiamento dell'opposizione aggiunge: «Se uno accetta di far pace vota a favore, poi può essere che si aprono degli spazi...». QUATTRO MESI - Incassato il fisco municipale, Bossi guarda ora al prossimo decreto legislativo, quello sul fisco regionale e provinciale con la complicata partita dei costi standard della sanità: «Arriva la parte più difficile», riconosce il leader leghista. Forse anche per questo da Roberto Calderoli è arrivato l'annuncio che con ogni probabilità i tempi della delega saranno prorogati di 4 mesi: il ministro leghista porterà la richiesta in Cdm, e se è accolta la delega scadrà non più il 21 maggio ma il 21 settembre. Quattro mesi in più per scrivere il federalismo, ma 4 mesi in più anche per il governo.

giovedì 24 febbraio 2011

IL SOLE 24 ORE - 24/02/11 - PARTE LA CORSA AL DOPO-BOSSI I 40ENNI PRONTI ALLA SCALATA

Quel monolite che è stato la Lega, quello del tutti uniti, tutti col fazzoletto verde, ha da tempo subito una mutazione che ha archiviato l'idea di un partito senza spine e senza liti. Non siamo ancora alle correnti ma quella sostanziale macro-frattura che separa il cosiddetto "cerchio magico" – quello di Marco Reguzzoni, Federico Bricolo, Rosi Mauro – dal blocco Giorgetti-Maroni-Calderoli (peraltro diversi tra loro) sta creando tensioni sempre più evidenti. Innanzitutto la prima divisione è sulla linea politica. Il cerchio magico, quello fatto da uomini e donne che sono anche fisicamente più vicini a Umberto Bossi, è considerato più filo-berlusconiano e, quindi, più fedele al Cavaliere e al suo Governo. Dall'altra parte invece, il "trio" si considera non-berlusconiano e decisamente propenso a tenersi le "mani libere" anche se Roberto Maroni è il più dialogante con il Pd mentre Calderoli e Giorgetti sono molto vicini a Giulio Tremonti. Comunque non sono fedelissimi ad Arcore. E la distinzione non è trascurabile in questi giorni visto che il dilemma della Lega è ancora lì: stare con il premier fino alla fine o sganciarsi dopo il federalismo? L'interrogativo resta ma intanto l'altra battaglia che si è aperta è quella per la conquista di posti-chiave. In prospettiva c'è un tema che finora è stato tabù: quello della successione al Senatur e ciascun fronte prepara propri posizionamenti in vista di quel giorno. In ascesa c'è tutta una pattuglia di giovani parlamentari e amministratori, nati tra gli anni '68 e '71, che è pronta al passaggio generazionale e che si muove in sintonia con un fronte o con l'altro. In ascesa di certo è Massimo Garavaglia, 42 anni, laureato in Economia, super-tecnico e vicepresidente della commissione Bilancio, uomo di punta di Giancarlo Giorgetti. È il più giovane senatore della Repubblica – è stato eletto due giorni dopo aver compiuto 40 anni – e tutto ciò che esce dal ministero dell'Economia e approda al Senato è di sua esclusiva competenza e gestione. È pure nel "comitato nomine" della Lombardia, istituito dal potente Giorgetti per creare un punto di raccordo sui posti-chiave lombardi (ma i maligni dicono per contrastare gli appetiti del "cerchio magico"). L'altro nome in forte ascesa, ma della squadra avversa, è sicuramente Marco Reguzzoni, classe '71, di Busto Arsizio. Lui è una delle stelle di punta del cerchio magico, molto amato da Bossi e dalla sua famiglia, oggi capogruppo alla Camera "imposto" dal Senatur e con grandi aspirazioni – e dovuti sostegni – per scalare i vertici della Lega in Lombardia, il ruolo più importante per chi vuole comandare nel Carroccio (oggi c'è Giancarlo Giorgetti). Un domani ci potrebbe essere proprio lui tra i competitors per la successione. Ora, però, le ostilità tra le due squadre hanno portato a un "patto" che prevede un avvicendamento al posto di capogruppo tra Reguzzoni e un "uomo" dell'altra squadra. Se la sostituzione ci sarà, il pupillo di Bossi (ma amato pure dal premier) diventerebbe viceministro allo Sviluppo economico, magari con delega al commercio estero, dopo aver messo a segno la legge sul "made in Italy". Alla presidenza del gruppo alla Camera invece dovrebbe arrivare Giacomo Stucchi, brillante quarantenne, nato nel '68, che ha ormai sotto il suo "controllo" la potente provincia di Bergamo ed è molto vicino sia a Calderoli che a Maroni.Altro nome sotto i riflettori è quello di Matteo Salvini, giovanissimo europarlamentare, direttore di Radio Padania e probabile prossimo vice-sindaco di Milano. Un posto ambitissimo – e un vero "colpaccio" per un giovane di 38 anni – ma anche qui torna la competition con il cerchio magico che potrebbe sponsorizzare Davide Boni, consigliere regionale lombardo. In ascesa è pure Giovanni Fava, classe '68, vicesegretario di Giorgetti alla Lega Lombarda (come Reguzzoni) e possibile candidato alla provincia di Mantova.In mezzo ai posizionamenti politici c'è poi la corsa per i posti che pesano nell'assetto economico-finanziario. Perché la Lega avrà un ruolo chiave nella prossima tornata di nomine di primavera e i nomi che metterà sul tavolo questa volta hanno buone chance di passare. In primis c'è quello di Danilo Broggi, 51 anni, amministratore delegato di Consip, molto vicino a Maroni e candidato allo stesso ruolo nelle Poste. Ma questa volta rientra tra gli interessi della Lega anche la partita su Finmeccanica: se davvero ci sarà lo sdoppiamento tra la carica di presidente e amministratore delegato, in quest'ultimo ruolo la Lega potrebbe fare il nome di Giuseppe Orsi – oggi alla Agusta Westland (sede vicino a Varese) – o di Giuseppe Bono che è in Fincantieri. Buone possibilità di diventare presidente dell'Enel ha Gianfranco Tosi, consigliere di amministrazione che per due mandati ha tentato di scalare la presidenza. Questa volta potrebbe essere quella buona.

IL GIORNO - 24/02/11 - BERGAMO STA CON BOSSI: "FEDERALISMO A TUTTI I COSTI"

Bergamo, 24 febbraio 2011 - La festa per i 25 anni del movimento a Bergamo la celebreranno, con tutta la solennità del caso, il 5 marzo, a Chiuduno, alla presenza del leader, Umberto Bossi, e di tutto lo “stato maggiore”, compresi il ministro per la Semplificazione normativa (il regista del federalismo municipale) Roberto Calderoli e il sottosegretario alle Infrastrutture, Roberto Castelli. Basterebbero solo gli incarichi della “trojka” (anche se Castelli è bergamasco d’adozione) per rendersi conto di come la Lega Nord orobica, in un quarto di secolo, sia cresciuta al punto da conquistarsi la ribalta nazionale. Un risultato che ha sorpreso molti, ma non chi visse gli albori: «Siamo sempre stati determinati – dice l’attuale assessore all’Urbanistica in Regione Lombardia, Daniele Belotti, nel 1994 eletto, giovanissimo, segretario provinciale – perché sappiamo cosa vogliamo. E la parola d’ordine è rimasta federalismo. Cominciò Bossi a parlarne negli anni Ottanta: adesso, finalmente, sembra che ci siamo». Parole che arrivano proprio mentre il Senato, a Roma, dà il via libera al decreto bloccato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. A marzo, secondo quanto anticipa il presidente della Provincia, Ettore Pirovano, deputato, toccherà alla Camera. Ma la base leghista, di questo tira e molla tra istituzioni, cosa ne pensa? «C’è chi aspetta da vent’anni e vorrebbe tutto e subito – dice Pirovano – ma ci sono anche quanti hanno una visione più attenta e capiscono. L’importante, come ci ha insegnato Bossi, è rimanere calmi e freddi». Che a riporre fiducia nelle proposte del Carroccio in Bergamasca sia uno zoccolo molto duro di elettori lo dimostrano, del resto, i numeri: pur se distante dal picco storico del 43,2% raggiunto nel 1996, la Lega oggi rimane il primo partito con il 36,88% dei consensi ottenuti alle regionali del 2010, cioè oltre il 10% in più degli alleati del Pdl, «e – dice con orgoglio il segretario provinciale Cristian Invernizzi, assessore alla Sicurezza a Palazzo Frizzoni – 53 sindaci in provincia e 112 sezioni. Come giudico lo “stato di salute” del movimento nel nostro territorio? Darò 10 quando supereremo il 50%. Per ora mi fermo a un 8 e mezzo». Perché la forza della Lega, nonostante qualche defezione in corso d’opera, è proprio questa: fedeltà alle scelte di Bossi, compattezza e determinazione. Come spiegano due amministratori locali, il sindaco di Seriate, Silvana Santisi Saita, e quello di Alzano, Roberto Anelli, «Lega e Pdl sono rimasti gli unici punti fermi per la gente. Il territorio ha dato mandato alla Lega di portare avanti il federalismo e si aspetta che in questa legislatura lo porti a casa». Pure i rapporti con il premier Silvio Berlusconi, visti in quest’ottica, imbarazzano meno: «Nel nostro partito – dice Invernizzi – non esistono berlusconiani e antiberlusconiani. Esistono solo i “bossiani”. Lui detta la linea, e noi gli diamo fiducia». «Come – chiosa il deputato Giacomo Stucchi, che entrò in Parlamento nel 1996 – accade in una buona famiglia. Gli anni sono passati ma le cose non sono cambiate». Così, mentre la parola “secessione” sembra, per ora, finita in soffitta («Dobbiamo prendere atto, pragmaticamente, che in questo momento discuterne è irrealistico», rileva Invernizzi), il movimento guarda avanti: «I problemi degli altri partiti non ci riguardano – dice Pirovano - Noi abbiamo tanti giovani che mostrano qualità e chiarezza di idee. Nei miei primi anni li usavamo, sbagliando, come manovalanza. Ma adesso camminano con le loro gambe».

giovedì 17 febbraio 2011

IL SOLE 24 ORE - 17/02/11 - LA LEGA: NON CI SFILIAMO, LA META E' VICINA

«La meta è vicina sarebbe sciocco staccare la spina proprio ora che siamo a un passo». La meta è quella del federalismo e Giacomo Stucchi, deputato leghista di Bergamo molto vicino a Roberto Calderoli e Roberto Maroni, spiega così la scelta «pragmatica» della Lega di continuare a sostenere il premier e il Governo. In fondo, si tratta di due mesi ancora prima di tagliare il traguardo e nel frattempo nessuno fa il conto che arriverà una sentenza per il premier o che mancheranno i numeri in Parlamento. È su questo punto che il Senatur ha chiesto lumi al premier nel vertice notturno di mercoledì a Palazzo Grazioli e il Cavaliere ha rassicurato il suo alleato. I leghisti hanno chiesto ai massimi vertici del Pdl a che quota è la maggioranza e, ieri, il numero magico toccava i 318 deputati incluso il voto di Luca Barbareschi. Inoltre – facevano sapere nel Pdl – se sul federalismo non si metterà la fiducia, anche i due deputati della Svp potrebbero votarlo mentre si attende qualche astensione nel Pd. Con questi calcoli, la riforma federale passerà la prova dell'Aula nonostante il pareggio in Bicameralina ed è ovvio che la Lega non veda motivi per sfilarsi adesso. Almeno finchè non cada qualche altra tegola imprevista e imprevedibile che costringa il premier alle dimissioni. Ma anche per questo scenario il Carroccio si tiene pronto con i suoi due assi: Giulio Tremonti e Roberto Maroni, possibili nomi per una successione a Berlusconi nel caso non ci siano più i tempi per un voto anticipato. Se invece si andrà avanti nella legislatura l'obiettivo strategico si sposta dal federalismo alla "conquista" del Nord. In sintesi, il Carroccio pensa che da questa situazione di difficoltà del premier e di massima incertezza per il futuro del Pdl, si possa trarre il massimo vantaggio. Con un Pdl in crisi nel post-Berlusconi, le camicie verdi pensano di poter fare banco portando via un bel pacchetto di consensi al Popolo delle libertà. E l'ambizione della Lega arriva fino al punto di immaginare di poter imporre una premiership nella prossima corsa elettorale.E il Pd? Ieri, dopo Pierluigi Bersani, è toccato a Massimo D'Alema ripetere il corteggiamento alla Lega definita «partito vero, non come il Pdl che è una somma di cortigiani». Ma il Carroccio bada alla sostanza e finchè non vede voti favorevoli (o al massimo aastensioni) sul federalismo non consentirà che semplici approcci. Tra l'altro, il partito di Bossi è piuttosto diviso su questo aspetto tra chi da sempre guarda con attenzione il centro-sinistra – come Roberto Maroni – e chi invece ha sempre chiuso a quella possibilità, come Marco Reguzzoni, capogruppo alla Camera, uno degli uomini più vicini al Senatur. Proprio il ministro dell'Interno ieri ha definito i rapporti con il Pd «ottimi, anzi corretti, sin dal '97». E invece i toni di Reguzzoni erano un po' diversi: «Non capiamo il Pd: dice di essere federalista ma poi vota contro. Noi siamo con Berlusconi, anche nel caso sollevi il conflitto di attribuzione per la Consulta, perché il nostro obiettivo è fare le riforme». In casa leghista spiegano, poi, che non ci sarà alcun cambio di alleanza visto che insieme al Pdl si governa in tre regioni chiave: Piemonte, Lombardia e Veneto. «Piuttosto le aperture del Pd nei nostri confronti dimostrano quanto siamo centrali oggi nella politica italiana», dice soddisfatto Stucchi mettendo la Lega la centro della partita. Qualsiasi partita: che sia la prosecuzione della legislatura, il cambio del premier o il voto anticipato.

mercoledì 16 febbraio 2011

IL SOLE 24 ORE - 16/02/11 - LA LEGA "FEDELE" MA SI TIENE PRONTA AL DOPO

ROMAIn una delle giornate più drammatiche per Silvio Berlusconi, la Lega continua a stargli accanto. È anche questo il senso di quel summit in tarda serata a Palazzo Grazioli con Umberto Bossi, accompagnato dallo stato maggiore leghista. Per il momento la spina non viene staccata ma è – appunto – una decisione che vale per l'oggi. Perché sul dopo-Berlusconi – che sia tra un mese o tra un anno – si comincia già a ragionare. E un segno è stata l'intervista a Pierluigi Bersani pubblicata da La Padania, quotidiano leghista, in cui il segretario Pd apre sul federalismo e sul partito di Bossi. Piccoli semi piantati nel campo avverso visto che il Carroccio dà per scontato che si è aperta la fase del post-berlusconismo e che è imprevedibile cosa ne sarà del Pdl. Dunque, si cominciano a immaginare scenari nuovi che possono essere solo con il Pd – in alternativa al Pdl – data l'incompatibilità con l'Udc e con il partito di Fini. Ma queste sono proiezioni future, per non restare spiazzati dal declino berlusconiano, intanto conta l'oggi. E l'oggi è fatto di federalismo fiscale, l'unica bandiera che conta. E dunque ieri, mentre finiva la riunione in via Bellerio del partito, a Roma il gruppo parlamentare faceva quadrato sul Governo. «Ciò che conta per noi adesso è portare a casa il federalismo fiscale. A votarlo è il Pdl per cui si va avanti con loro, non stacchiamo la spina. I magistrati? Credo che si possa vedere una certa persecuzione nei confronti del premier dopo la delibera del Parlamento di due settimane fa contro l'autorizzazione a procedere e la richiesta di rito abbreviato». Marco Reguzzoni, capogruppo dei deputati leghisti, ragionava così dopo il summit notturno con il premier. Insomma, sangue freddo. E nel pomeriggio, al Senato, stesso messaggio da Federico Bricolo: «Se con l'accanimento giudiziario contro Berlusconi, qualche magistrato pensa di indebolire il Governo si sbaglia: oggi voteremo il Milleproroghe e la prossima settimana il federalismo municipale con la maggioranza unita».Ecco l'urgenza e la ragione del sostegno al premier: far passare il federalismo ora che si è arrivati a ridosso dell'approvazione dei decreti. Ma cresce l'inquietudine in casa legista. Giacomo Stucchi, deputato di Bergamo molto vicino sia a Roberto Calderoli che a Roberto Maroni, ammetteva che «c'è una legittima preoccupazione ma senza eccessi». La Lega sa che in questo momento non può sbagliare una mossa. «Non c'è panico – insisteva Stucchi – e ogni richiesta di un passo indietro fatta in questo momento al premier, come fa Bersani, è in contrasto con la presunzione di innocenza. Detto questo non ci metteremo a sparare contro la magistratura». Quello che non si può immaginare è, dunque, una Lega che si faccia trascinare in un conflitto totale con la magistratura o con il Quirinale.

sabato 12 febbraio 2011

12/02/11 - IL GIORNALE DI VICENZA - "TERMINI DI PAGAMENTO FISSATI PER LEGGE A TUTELA DELLE PMI"

NORMATIVA. Presentata ieri in Apindustria una proposta dei parlamentari vicentini De Marchi: «I tanti ritardi hanno messo in ginocchio le aziende»
Fissazione per legge dei termini di pagamento a 45 giorni da fine mese o 60 giorni dalla data della fattura, possibilità per le imprese virtuose che lamentano ritardati pagamenti di delegare alla Camera di commercio l'incasso del credito, costituzione di un fondo rotativo all'Ente camerale per erogare l'80 per cento di quanto delegato, inserimento dei cattivi pagatori nel Registro informatico dei protesti.Sono questi i principali punti della legge proposta alla Camera dai parlamentari vicentini Manuela Dal Lago (prima firmataria), Daniela Sbrollini, Manuela Lanzarin, Giorgio Conte, Massimo Calearo Ciman e dal collega bergamasco Giacomo Stucchi. La norma prende il via da un tavolo di lavoro attivato nel maggio 2009 in Apindustria Vicenza e condotto dal vicepresidente Enrico Dall'Osto che ieri ha illustrato dati e legislazioni europee relative al problema dei mancati pagamenti.Alla conferenza hanno partecipato, oltre al presidente di Apindustria Filippo De Marchi, i parlamentari Dal Lago, Sbrollini, Calearo Ciman e Paolo Franco, che si farà promotore della legge al Senato, l'europarlamentare Pdl Sergio Berlato, Diego Caron, presidente del comitato Piccola Impresa di Assindustria Vicenza, il segretario generale della Camera di commercio Giuliano Campanella e il docente di diritto pubblico Marcello Fracanzani, che ha contribuito alla formulazione della proposta di legge.«I dati in nostro possesso - afferma De Marchi - attestano la diffusa criticità relativa ai pagamenti, sia nei termini concordati, che si collocano in una forcella che oscilla dai 60-90 giorni ai 90-120, sia nei ritardi ad ottenere il pagamento a fronte di beni e servizi resi, che si aggirano su una media di oltre 43 giorni, incrementando in maniera esponenziale il lasso temporale in cui si verifica il pagamento effettivo del credito. È chiaro che oltrepassato il limite accettabile di ritardo l'imprenditore non è più in grado di fare la sua attività, ma funge sostanzialmente da finanziatore, principalmente della grande industria e solo in misura minore, circa il 3%, della pubblica amministrazione».Quello dei ritardi nei pagamenti, infatti, è uno dei problemi che più affliggono le aziende. La situazione è andata peggiorando visto che, se nel 1996 l'Italia era terzultima in Europa in termini di pagamento medi (87 giorni), davanti Grecia e Portogallo, nel 2009 è caduta all'ultimo posto, con un tempo di pagamento di oltre 110 giorni, di cui 48 di ritardo. Nell'attesa, poi, il rischio di non vedersi riconoscere il credito sale e questa perdita in due anni (2008-2010) è passata dall'1,6 per cento al 2,6 per cento. Nello stesso periodo il ritardo sui pagamenti è passato da 28 a 48 giorni.Chi è che rimanda i pagamenti? Principalmente le grandi imprese, solo il 13,8 per cento delle quali salda alla scadenza, contro quasi il 48 per cento delle micro.«In questo campo - sottolinea Dall'Osto - Francia e Spagna hanno attivato leggi ad hoc. La nostra si ispira alla Francia, ma abbiamo apportato alcune modifiche perché se un francese si rivolge alla magistratura in 6-8 mesi il processo è concluso, mentre in Italia ci vogliono 6-8 anni se va bene».Quali i tempi della legge? «Il progetto di legge arriverà nella commissione Attività produttive della Camera da me presieduta la prossima settimana - afferma Dal Lago - dove ho voluto che relatore fosse un imprenditore, Santo Versace del Pdl. A fine estate potrà arrivare in aula».

martedì 1 febbraio 2011

IL SOLE 24 ORE - 01/02/11 - IL SI' AI DECRETI ENTRO MARZO, POI ELEZIONI

Raramente capita di vedere la Lega divisa ma nell'attuale fase politica succede anche questo. Succede che l'aut aut di Roberto Maroni – «se giovedì non passa il decreto si vota» – viene corretto e smentito dal suo collega Calderoli, che si fa portaparola del pensiero di Umberto Bossi. E infatti, l'aria che tirava in via Bellerio, la sede del Carroccio dove ieri erano riuniti il Senatur e i suoi, non era quella di chi sta staccando la spina al governo e facendo in fretta le valigie. Tutt'altro. L'aria era quella di chi vuole temporeggiare e provarle tutte in nome del federalismo prima di scegliere la strada del voto anticipato. Che resta l'opzione più probabile – sia chiaro – perché i leghisti si rendono conto che senza voti in Parlamento non si governa ma prima vogliono prove tangibili da mostrare agli elettori. E giovedì potrebbe essere uno di quei giorni in cui una parità alla bicameralina può diventare uno snodo politico forte verso le elezioni. Anche se non ancora così forte da chiederle davvero. La Lega sa di dover puntare a ogni costo all'incasso dei quattro decreti da qui a fine marzo e, dunque, giovedì più che battere i pugni per le urne, cercherà di far approvare il testo "respinto" in commissione. Questa è la strategia per il momento, come racconta Giacomo Stucchi, parlamentare leghista di Bergamo molto vicino al ministro Calderoli. «Abbiamo dalla nostra parte il parere dei comuni e vorrei ricordarle che a guidare l'Anci c'è un sindaco di sinistra com'è Sergio Chiamparino. Mi pare evidente, quindi, che il "no" dell'opposizione sia tutto strumentale e per niente legato ai contenuti. Proprio per questa ragione, anche a fronte di un parere non positivo giovedì, la Lega potrebbe chiedere al governo di andare avanti lo stesso e approvare il decreto». Insomma, si cambia solo l'iter ma non si abbandona il traguardo di mettere a segno il federalismo. La Lega, si sa, è l'unica che ha un rapporto stretto e genuino con il territorio. E la spinta ad aspettare prima di far saltare tutto viene proprio da lì, come spiega Massimo Garavaglia, senatore milanese molto vicino a un altro big del Carroccio, il "potente" tremontiano Giancarlo Giorgetti. «Al di là di quello che si legge sui giornali o si vede in Tv, l'80% della base leghista vuole il federalismo più delle elezioni. Lo vogliono gli artigiani e i nostri amministratori. È chiaro – continua Garavaglia – che noi punteremo a portare a casa tutto, anche il decreto sui costi standard nelle regioni. Se poi non sarà possibile in alcun caso allora l'unico bivio sarà quello delle urne. Ma chiariremo ai nostri elettori che chi non ha voluto il federalismo è il partito della patrimoniale. Per tenere i conti a posto, infatti, o si fa la riforma federale o si sceglie la via delle tasse». Insomma, giovedì si proverà ancora ma nel frattempo si "costruiscono" le battaglie da campagne elettorale. E una è proprio questa: federalisti contro "patrimonialisti". Intanto si prende tempo. Perché anche la mossa di Silvio Berlusconi di offrire un dialogo bipartisan al Pd sull'economia (respinto da Bersani) è dilatoria, fatta solo per prendere tempo. Ed è in questo tempo che la Lega proverà ancora a centrare il suo traguardo. «Una eventuale bocciatura, giovedì, non metterà la parola fine. I nostri interlocutori sono gli amministratori e loro ci hanno dato il via libera», l'onorevole Stucchi insiste e addirittura sposta l'asticella al 27 marzo, dead line degli altri decreti. Ma allora non si andrà più alle urne? «Si potrà votare a fine maggio. Nel '87 si votò a giugno». La risposta di Stucchi è pronta, segno che il calendario della Lega ha già dei giorni selezionati. Non a marzo ma a maggio.