giovedì 29 dicembre 2016

CORRIERE DELLA SERA - 29/12/16 - IL PIANO DEL VIMINALE: TRENI E STAZIONI, PIU' CONTROLLI.

Controlli rafforzati, soprattutto sui treni e nelle stazioni. Perquisizioni e attività investigativa. E un certo fastidioper quel ditino puntato verso le nostre forze dell'ordine dalla Germania: che lascia filtrare di aver avvertito l’Italia già sette mesi fa del fatto che Anis Amri era un jihadista pericoloso. Al Viminale, mentre si intensifica la caccia al giro di amicizie del presunto attentatore del mercatino di Natale, sale l'irritazione. Il risalto dato a quelle rivelazioni sull'alert lanciato alla nostra Digos viene letto come il tentativo di scaricare altroveerrori compiuti a Berlino. Perché mentre si lanciavano allarmi internazionali Amri ha potuto agire indisturbato e fuggire in Italia dove,per altro, si rimarca al Viminale, il tunisino è stato ferma todai nostri agenti, risolvendo (tragicamente, con la morte del ragazzo) un serio problema alle forzedi polizia tedesche che ne avevano perso le tracce? Lo dice, chiaro, il presidentedel Copasir, Giacomo Stucchi:«Cosa significache la polizia tedesca ci aveva segnalato a maggio che Anis Amri era pericoloso? Ce l'avevano a casa loro. Sette mesi fa era in Germania. E le autorità tedesche sapevano che era pericoloso perché l'Italia glielo aveva segnalato già un anno prima, a giugno – luglio 2015. Tanto è vero che stavano preparandosiad espellerlo. Grazie dell'avvertimento, ma noi lo sapevamo. Erano loro, che ce l'avevano sul proprio territorio, a dover agire». Quantoalle segnalazioni su avvistamenti del tunisino in Italia prima e dopo l'attentato il Viminale è piuttostoscettico. Dal 19 dicembre in poinon si contano più le persone che credono di aver visto Anis Amri. E costringono a verifiche.Distogliendoforze alla pista delle coperture italiane einternazionali, sulle quali Amri contava per fare forse come Salah Abdeslam. Fingersi martiree invece sparire. Pista che promette una svolta. Intanto si intensificano le misure di sicurezza anti-attentati. «C'è una forte preoccupazione razionale, non una fobia», spiegaStucchi. «Ciò che è accaduto trasforma soft­ target in hard-target. Ma la paura non deve bloccare ildivertimento. Io stesso farò Capodanno in piazza».

mercoledì 24 agosto 2016

IL GIORNALE (MILANO) - 23/08/16 - "ALTRO CHE 3.300 IN CITTA' IL NUMERO DEI MIGRANTI OGGI NON E' CALCOLABILE

Giacomo Stucchi, presidente del comitato di controllo sui  servizi (Copasir), senatore leghlsta, bergamasco, qual è oggi la situazione dei migranti? «C'è un errore clamoroso del govemo.Quando si accolgono persone nel territorio nazionale, a prescindere dal fatto che scappino o meno, si fa una scelta sbagliata. Bisogna rifarsi all'Onu, aiutare i veri profughi e rifugiati, non i migranti economici che poi diventa un modo elegante per definire clandestini.  Milano, il Comune  ha parlato di  3.300 migranti in città i numeri veri sono impossibili da definire. Questa tendenza sarà costante". Non sono più di passaggio. La prima cosa che fanno è domanda di protezione umanitaria, che coi tempi delle commissioni e dell'appello garantisce di restare assistiti per circa 4 anni. E questo vuoi dire qualche decina di migliaia di euro, circa 40mila curo a testa. E non è neanche vero che le spese sono coperte dall'Europa». Alfano dice che Ventimiglia non è la nostra Calais. Como e Milano?  l francesi sono molto attenti a fare controlli soprattutto dopo quei terribili attentati. La Svizzera ha una possibilità anche maggiore di controllo, perché non essendo nell'Ue. pur aderendo all'area di libero transito, ha gli strumenti per impedire arrivi  incontrollati".  Oggi anche al governo ammettono che fra i migranti potrebbero infiltrarsi anche cellule dell'lsis. «Ogni tanto ci sono indagini che testimoniano come si sia passati dalla possibilità alla probabilità. Per fortuna. grazie al lavoro del comparto sicurezza, non ci sono segnalazioni specifiche di soggetti con intenzioni ostili fra i presenti. L'arresto presunto In Libia di Moez Al  Fezzani, che ha vissuto a Milano? Mi limito a dire che voglio avere la conferma  che ci sia stato questo arresto. Fezzani ha frequentalo un centro lslamico di Milano. In base alle analisi di cui si può disporre, qual è la situazione su questo fronte?  C'è un'osservazione fatta per chiarire cosa viene detto e cosa viene professato,nei centri islamici e in altre realtà possibili punti di aggregazione di soggetti che porrebbero avere intenzioni "da chiarire". Questo controllo ha dato ottimi risultati, credo sia efficace. Ma ci sono strumenti per tracciare i flussi di denaro in arrivo dall'estero? La guerra di che c'è stata nella sua Bergamo è inquietante.  C'è un'attività importante dell' intelligence sulla reale provenienza di questi fondi. E ora c'è anche un ausilio, il Gift della Guardia di Finanza. Su Bergamo ho presentato un'interrogazione . Dei 25 milioni dalla Quatar Charity Foundatition ne sono arrivati 5, gestiti in modo ambiguo".  Approva la legge dalla Lombardia sulle moschee? «S'i, ogni Comune nel pgt deve disciplinare in modo puntuale la destinazione delle aree. Se ci sono aree previste si possono realizzare edifici di culto, , altrimenti non si deve costuire un edificio di culto, senza distinzione fra religioni". Burqa e burkini? Vietati? Il burqa è già vietato dalle legge Reale del '75, che impedisce di girare senza mostrare il volto. E andrebbe fatta applicare. Il burkini è una cosa diversa ma collegata. perché si tratta di un mezzo di sottomissione dei diritti della donna. E' inaccettabile per quello. Passi indietro verso il medioevo non si possono fare".

venerdì 19 agosto 2016

AFFARI ITALIANI 19/08/16 - - ISLAM, STUCCHI (PRESIDENTE DEL COPASIR): BURQA E BURKINI VIETATI IN ITALIA

In base alle informazioni in suo possesso, c'è il rischio concreto che potenziali terroristi islamici arrivino in Italia con i barconi? Ci sono già stati casi in tal senso? E quanti? "Non esiste nessun caso accertato fino ad ora della presenza in Italia di potenziali terroristi islamici arrivati sulle nostre coste sui barconi che attraversano il Mediterraneo. La possibilità che gli uomini di Daesh utilizzassero questo tipologia di trasporto era certamente remota in passato ma, probabilmente, lo è meno oggi. Lo dimostra anche il recente arresto in Tunisia di un soggetto pericoloso che cercava di raggiungere via mare l'Europa. Bisogna continuare a tenere elevato il livello dei controlli e a monitorare attentamente ogni singola situazione".Quanti sono i cosiddetti "lupi solitari" pronti a colpire seguiti dall'intelligence italiana? "Non è possibile dare una risposta. I lupi solitari si attivano autonomamente, spesso senza condividere con nessuno le proprie intenzioni e questo rende più difficile la loro individuazione preventiva. Ad oggi però, parlando in generale, grazie anche al prezioso lavoro svolto da chi opera nel comparto sicurezza, non vi sono evidenze di specifiche e puntuali progettualità ostili riferite al nostro Paese". L'intelligence italiana è preparata per garantire la sicurezza dei cittadini ed evitare attentati sul nostro territorio? "L'intelligence ricopre un ruolo strategico a tal fine. Se fino ad ora l'Italia non è stata interessata da eventi terroristici dalle conseguenze drammatiche lo si deve anche al grande impegno profuso quotidianamente dalle nostre Agenzie, oltre che a quando viene fatto, a valle, dalle Forze dell'ordine e dalle Procure". Il governo sta facendo abbastanza in termine di prevenzione contro il rischio di attentati terroristici? "Io credo che, in una logica di maggiore sicurezza complessiva, occorra potenziare ulteriormente il controllo del territorio con nuove risorse, mezzi e soprattutto personale. Inoltre è necessario capire con certezza chi è presente - o cerca di entrare - nel nostro Paese, valutando la loro reale situazione e allontanare tutti coloro che sono in Italia senza averne titolo ed in violazione delle norme in vigore". Ritiene che il burkini e il burqa debbano essere vietati anche in Italia? "Il divieto di mostrarsi in luoghi pubblici con il volto coperto è previsto dalla Legge Reale del 1975 quindi, a prescindere dagli aspetti religiosi della questione, l'utilizzo del burka, che nasconde completamente il volto della persona che lo indossa, non è consentito. Ma quello che più mi preme sottolineare è che burka e burkini sono due "strumenti" di negazione dei diritti delle donne. Sono la manifesta negazione di tante conquiste, la più importante quella della parità tra uomo e donna, costate spesso anche la vita a tante eroine nei secoli e nei decenni passati".

giovedì 18 agosto 2016

LA PRESSE - 18/08/16 - STUCCHI (COPASIR): CI SONO SEGNALI DI RADICALIZZAZIONE ISLAMICA

Ma aggiunge: "Cerchiamo tutti di non cedere alla paura e alla fobia"
"L'arresto in Libia di Al Fezzani, più noto come Abu Nassim, è certamente una buonissima notizia. Tocca ora agli inquirenti svelare gli intrecci che Al Fezzani poteva avere in Italia". Giacomo Stucchi presidente del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza, commenta con la LaPresse l'arresto in Libia la notizia dell'arresto dell'uomo considerato il principale reclutatore dell'Isis in Italia. Presidente, dunque abbiamo la prova che nel nostro paese agiscono persone che si preoccupano di reclutare terroristi per conto dello Stato Islamico. E' prematuro dire che nel nostro paese esista e lavori una struttura che si occupa di reclutare terroristi. Ci sono in corso indagini dei nostri apparati di sicurezza ed è bene che li si lasci lavorare evitando di anticipare conclusioni. Ma allora le preoccupazioni da cosa derivano? Dal fatto che c'è una indubbia radicalizzazione nel mondo islamico conalcuni fenomeni anche nel nostro paese che non possono essere sottovalutati. Ricordo che pochi mesi fa è stato arrestato un giovane pugile marocchino che secondo le indagini, voleva partire con la moglie per unirsi all'Isis. Inoltre il giovane si diceva pronto per attentati a Roma e al Vaticano. Dunque segnali preoccupanti ci sono e vanno attentamente segnalati e controllati. E' questo il motivo per cui nelle ultime settimane si è alzato per così dire il livello di pericolo per possibili attentati nel nostro paese? Non ci sono segnali specifici. C'è come dicevo prima il segnale di una possibile crescente radicalizzazione di alcuni settore dell'islam in Italia. Parlo non a caso di preoccupazione e di attenzione che sono cose ben diverse dalla fobia. Però è difficile per la gente comune in vacanza distinguere come fa lei e come ha fatto il ministro degli Interni Alfano. Non c'è dubbio però ricordiamoci che dar conto della naturale preoccupazione che c'è per possibili attentati anche in Italia serve anche a tenere alta la tensione dei nostri apparati investigativi e far capire che la guardia non va abbassata. Poi sono consapevole che l'Italia come tutto l'occidente non può dirsi esente da attentati, non c'è e non esiste, insomma come è stato più volte spiegato, un rischio zero. Una paura condivisa dai nostri vicini francesi che dicono le statistiche, proprio in questi giorni di vacanza, abbandonano le loro spiagge per riversarsi sulle nostre spaventati da nuove possibili tragedie come quella recente di Nizza. E' vero che i francesi scelgono il nostro paese perchè si sentono più sicuri. Ho potuto verificarlo io stesso visto che sono in Liguria, molto frequentata dai nostri vicini, per alcune manifestazioni politiche. Detto questo mi preme lanciare un appello alla calma: cerchiamo tutti di non cedere alla paura e alla fobia e cerchiamo soprattutto di non cambiare nulla, o il meno possibile, nella nostra vita di tutti i giorni.

domenica 14 agosto 2016

IL MATTINO - 14/08/16 - "ISIS ALLO SBANDO IN FUGA SUI BARCONI"


"Affiliati lsis in fuga dalla Libia sui barconi": Giacomo Stucchi, presidente del Copasir,Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, rilancia l'allarme in un'intervista al Mattino. «Roma - spiega Stucchi è una metafora, vuol dire cristianità, Occidente: la minaccia è quindi generica, non necessariamente riferita a un progetto ostile verso la capitale. Ma il presidente del Copasir sottolinea: Con la liberazione di Sirte il rischio che i cani sciolti dell'lsis decidano di raggiungere l'Europa oon i barconi dei clandestini è diventato concreta.  E' quindi urgentissimo aumentare mezzi e personale per migliorare i controlli».Quella scritta in arabo su un muro di Sirte, «Da qui la porta per Roma, non stupisce né aggiunge preoccupazione alle non  poche preoccupazioni del senatore leghista Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. "Roma è una metafora, Roma vuol dire cristianità, vuoi dire Occidente: la minaccia è quindi generica, non necessariamente riferita a un progetto ostile verso la capitale" assicura Stucchi. Che indica invece altri e più pressanti motivi di allarme, in questo ponte di Ferragosto sospeso tra le nuove speranze  dei libici finalmente  liberi di tagliarsi barbe e levare burka e la sottile sensazione di attesa che anima, al di qua del Mediterraneo, popolazioni che si sentono sotto attacco. Con la liberazione dì Sirte - dice Stucchi - il rischio che cani sciolti dcll'Isis decidano di raggiungere I'Europa con i barconi dei clandestini è diventato concreto». Presidente Stucchi, finora questo scenario è stato considerato poco realistico: mai l'lsis avrebbe rischiato di "condannare'" a un sempre possibile naufragio propri affiliati, addestrati all'odio ed equipaggiati per uccidere. Cosa spingerebbe oggi quegli stessi uomini ad affrontare la traversata? "La logica che spinge da sempre i soldati di qualsiasi esercito in rotta. Quelli che ieri erano combattenti del Califfato, inquadrati e fedeli alla causa, oggi sono militanti in fuga, uomini sconfitti in cerca di una via d'uscita. Sappiamo che in molti si stanno dirigendo verso il sud della Libia, verso il deserto. Ma non possiamo escludere che altri, pochi o molti che siano, cerchino di raggiungere in qualche modo l'Europa.Verrebbero «in pace», con l'intenzione cioè di nascondersi e cambiare vita, o al contrario per portare a termine le "missioni" a loro affidate dai capi dell'lsis? « Trattandosi di gente allo sbando è davvero difficile dirlo. Certo, la sconfitta può rendere piu' feroce l'odio fondamentalista,la volontà di rivalsa,anche attraverso gesti "eroici" del lupo solitario di turno». Se questo è il rischio, esistono possibilità di difesa? "E' evidente che la difesa passa attraverso la capacità degli Stati nei quali approdano i barconi, l'Italia in primo luogo, di identificare tutti quelli che arrivano sulle proprie coste". Presidente, è quello che Bruxelles ci chiede c che noi non riusciamo a fare: i centri di prima accoglienza scoppiano, e dalle strutture che ospitano l migranti le fughe sono quotidiane. "Lo so bene: bisogna investire di più nel sistema di controlli, utilizzare più uomini, coordinare le banche dati, accelerare tutti i tempi. Al governo lo chiedo da tempo. Dovrebbe aiutarci l'Europa, ma se aspettiamo quella stiamo freschi". Il governo non vi dà ascolto? " Se aumentano gli sbarchi, se aumentano i soggetti in arrivo e non puoi incrementare attrezzature, il personale, lo scambio di informazioni allora ottenere efficacia diventa  difficile. Intervenire non è solo necessario, è urgentissimo".La scritta minacciosa su Roma è la quasi contemporanea decisione d innalzare il livello di allerta nei porti hanno diffuso nel Paese nuove paure. L'Italia è nel mirino? L'Italia è  nel mirino dei terroristi del Daesh come lo sono tutti gli Stati occidentali. Lo è oggi come lo è stata fino a ieri: se finora abbiamo evitato eventi tragici è perché abbiamo uno tenuto la guardia alta, in un quadro ottimale di sinergia tra le istituzioni, la magistratura e le forze dell'ordine. Ciò premesso, fra il muro di sirte e l'allerta nei porti non c'è alcun collegamento. Quella scritta è propaganda, è uno dei tanti proclami contro l'Occidente e i suoi valori, contro le sue radici laico - cristiane. Non è certo una novità che il Daesh abbia Roma fra i suoi obiettivi, ma al momento non esiste nessuna evidenza di progetti ostili alla capitale». Il rischio è generico, insomma? E? sempre alto ma generico. A Roma come altrove. Diciamo che la scritta di Sirte va intesa come un monito a non abbassare la guardia mai. Neanche adesso che Daesh è costretta a ritirarsi grazie ai raid americani". La stretta sui porti è un segnale in questo senso?  "Nei porti si è semplicemente provveduto ad  allineare il livello di sicurezza a quello già in vigore in aerostazioni e grandi stazioni ferroviarie. Dato il volume dei movimenti nella stagione estiva, è star o un adeguamento necessario. L'ottica è sempre quella della prevenzione". Secondo voci attribuite ai servizi segreti di Tripoli, tra le carte ritrovate a  Sirte ce ne sarebbero alcune che fanno riferimento a una rete jihadista in azione nella provincia di Milano, composta da clementi libici, tunisini e sudanesi. Il Copasir ne ha contezza? «Si tratta evidentemente di materia che interessa la magistratura, di indagini coperte dal segreto istruttorio. Nel Milanese ci sono state inchieste, arresti, espulsioni. Le carte di Tripoli potrebbero far riferimento a persone passate in quella zona e che adesso si trovano altrove.  lo posso solo confermare che in Italia la collaborazione tra intelligence, procura e polizia giudiziaria funziona molto bene, sapendo che sul terrorismo ogni informazione può fare la. Differenza e che nulla va sottovalutato». Questa sinergia funziona anche sul piano internazionale? C'è consapevolezza che non solo occorre scambiarsi informazioni,  ma bisogna farlo in tempo reale. La collaborazione fra servizi segreti è valida, mentre quella giudiziaria inciampa sull' ostacolo del segreto istruttorio. Se la procura di un Paese indaga su un soggetto che si è spostato lì da un altro Paese, dovrebbe poter conoscere le carte dell' inchiesta del Paese di provenienza. In attesa della nascita, che chissà se avverrà mai, di una superprocura europea, questo luogo di scambio di informazioni andrebbe  individuato". A proposito di luoghi dove si  scambiano informazioni, quanto è penetrante il controllo della nostra intelligence sulla rete? "Sappiamo che la radicalizzazione in Europa avviene in prima istanza utilizzando il web; lì avvengono i contatti tra potenziali attentatori, si cercano anche sistemi per immolarsi, si lanciano proclami. ll controllo sulla rete da parte dei Servizi e degli inquirenti è garantito, ma se vogliamo vincere la guerra non possiamo fermarci, dobbiamo correre sempre di più. Qualcuno non corre abbastanza? Non quanto corre la tecnologia: non facciamo in tempo ad adeguare i nostri strumenti, che ne vengono fuori altri più avanzati. I nostri "nemici" tengono il passo, noi facciamo fatica». Nella legge di stabilità il governo ha stanziato i 50 milioni per la cybersicurezza.  Non basteranno? Il punto è che bisogna investirli in fretta, mi auguro che lo si faccia. Oltre ai mezzi, serve personale già addestrato: quando si lavora per disinnescare pericoli non si può perdere tempo in corsi di aggiornamento». Come si concilia la necessità di agire in fretta e di  raccogliere il maggior numero di informazioni con il diritto alla privacy degli utenti che con il terrorismo non c'entrano niente? I controlli vanno fatti in modo mirato. Per dirla con una metafora: dobbiamo pescare nel grande  fiume del web le bottiglie di plastica che lo inquinano- i terroristi e i loro complici senza disturbare i pesci, i cittadini per bene".

giovedì 4 agosto 2016

GEOPOLITICALCENTER - 04/08/16 - Le sfide dell’intelligence: intervista al presidente del COPASIR on. Stucchi

Oggi vi proponiamo un’intervista al Presidente del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, organo di controllo del parlamento sull’attività dei Servizi di Intelligence italiani, on. Giacomo Stucchi. Le sue risposte, ad alcune nostre domande sulle attuali questioni legate al terrorismo e alla difesa della Repubblica, ci offrono una visione chiara del pensiero di un importante esponente delle nostre istituzioni. GPC:Alla luce dell’attuale “ermeticità” degli ambienti islamisti quanto sarebbe importante ricorrere ancora a sistemi più classici dell’intelligence (HUMINT) alla luce del fatto che intercettazioni e controllo del web sembrano strumenti indispensabili ma non sufficienti ad eradicare il fenomeno terroristico? Pres. COPASIR:Nell’attuale complesso scenario, determinato anche da una rapida evoluzione delle interconnessioni di gruppi e individui che a diverso titolo operano in questa galassia del terrore che è il terrorismo di matrice islamica, un’attività di intelligence svolta attraverso la raccolta di informazioni con contatti interpersonali è fondamentale. Bisogna però tenere in considerazione che l’elemento preponderante del fenomeno terroristico di matrice islamica dell’ultimo periodo è l’indeterminatezza, sia delle persone che prendono parte all’azione sia delle modalità di esecuzione dell’atto terroristico. Tuttavia nulla deve rimanere intentato per fermare la “razionale follia” che determina l’azione dei terroristi. GPC:Foreing Fighetrs: da tempo il nostro gruppo propone la revoca della cittadinanza agli italiani che si recano a combattere in Siria. È possibile pensare ad una proposta di legge in tal senso? Pres. COPASIR:Si, non bisogna aver timore di ragionare anche in questa direzione. GPC: Contrasto alla radicalizzazione: risulta oggi molto complicato sanzionare le persone che vengono a radicalizzare prima di una loro azione, tuttavia potrebbe essere utile denunciare e fermare chi è parte attiva nel processo di radicalizzazione. Servirebbero nuovo reati come ad esempio “apologia di terrorismo”. Il parlamento sta lavorando in questa direzione? Pres. COPASIR:La legislazione vigente ha permesso che importanti operazioni antiterrorismo andassero in porto grazie all’ottimo lavoro delle procure, delle forze dell’ordine e dell’intelligence. Una sinergia che, sino a oggi, ha dato i suoi frutti sul fronte della prevenzione. Tutto bene quindi? Certamente no. Per questo anche la vostra idea potrebbe trovare spazio. GPC:Forze speciali: emerge da parte del governo sempre pi ù forte il desiderio di nominare membri dei servizi un numero sempre maggiore di operatori delle forze speciali da impiegare all’estero in operazioni militari “coperte”. Dove termina il ruolo di operatori dei servizi e dove inizia il ruolo di militari in missione operativa? Il COPASIR può verificare, mantenendo il dovuto segreto, il corretto impiego dei nostri militari/agenti all’estero? Pres. COPASIR:Più che un desiderio ritengo sia una necessità. In ogni caso il Copasir è già intervenuto quando si è trattato di manifestare al governo la necessità di modifiche normative alla legge quadro sui servizi, anche alla luce delle esperienze positive degli apparati di altri paesi, o di operare nelle pieghe delle leggi in vigore. Di certo i limiti dei ruoli ai quali lei fa riferimento sono sempre più sottili, ma si tratta di una diretta conseguenza dell’evoluzione degli scenari internazionali. GPC:Spesso e volentieri fenomeni di radicalizzazione avvengono in piccoli centri abitati. Quali possono essere gli “anticorpi” che Governo, Regioni e, soprattutto, Comuni possono istituire per prevenire tali fenomeni? Pres. COPASIR:Ho già sottolineato quanto sia vitale a monte il ruolo dell’intelligence e a valle il coordinamento tra forze dell’ordine e procure, sul quale bisogna andare avanti, per un efficace contrasto a tutte le forme di terrorismo; ma non c’è dubbio che, sul fronte della prevenzione, molto può essere fatto anche dagli enti che amministrano un territorio. Non ne farei però una questione connessa alla dimensione del luogo, cioè di un piccolo paese o di una grande città, piuttosto mi rifarei alla qualità dell’integrazione. La radicalizzazione può avvenire ovunque. Ma se, per esempio, in una determinata realtà un imam predica istigando alla violenza, chi ne fosse a conoscenza non può far finta di niente ma deve segnalare la cosa alla forze dell’ordine. Sindaci e amministratori, dal canto loro, devono fare la loro parte nel divulgare questa cultura della sicurezza. Per fortuna da noi al momento non ci sono né i numeri né le entit à dei problemi connessi all’integrazione che esistono in altre realtà, come la Francia o la Germania; tuttavia questo non autorizza nessuno, né a livello centrale né a quello periferico, a fare come lo struzzo nascondendo la testa sotto la sabbia facendo finta di non vedere situazioni di disagio che comunque esistono. GPC:All’indomani del fallito golpe in Turchia, in Austria e in Germania sono state organizzate manifestazioni a supporto del presidente Erdogan. In Austria, nella cittadina di Wiener Neustadt, il sindaco ha vietato l’esposizione da balconi e finestre la bandiera della Turchia, il governo tedesco ha impedito un discorso di Erdogan. Tenendo presente che, ancora oggi, stiamo assistendo a migliaia di dimissioni e arresti in Turchia, è possibile che possano innescarsi tensioni sociali all’interno dei paesi europei con le comunità turche? Pres. COPASIR: E’ difficile rispondere a questa domanda. Anche perchè prima bisognerebbe capire come sono andate veramente le cose nella fatidica notte del golpe. In tal senso credo che occorrerà ancora parecchio tempo prima che una qualche verità possa venire fuori. Nel frattempo, però, l’Europa e le comunità turche che da noi vivono non possono che stare dalla parte della democrazia e dei suoi valori di riferimento e quindi condannare apertamente tutte le scelte di Erdogan che vanno nella direzione opposta.

domenica 17 luglio 2016

IL TEMPO - 17/07/16 - AUMENTARE OVUNQUE I CONTROLLI

La sfida dinanzi alla quale il terrorismo di matrice islamica ci pone è difficile e complessa. Quanto accaduto a Nizza può essere replicato ovunque in Occidente. Perché dappertutto può esserci l'attore solitario che compie l'attentato con modalità che, ancorché non del tutto inedite, sono comunque difficili da controllare e prevedere. Il pericolo proviene da parte di chi rimanendo nel paese dove si trova mira a colpire gli occidentali con ciò che ha a disposizione. Un auto, un coltello, qualunque cosa può quindi diventare strumento di morte in qualsiasi luogo. La sicurezza è minacciata financo nella vita quotidiana di ognuno di noi e la strage di Nizza ci insegna che i luoghi di aggregazione, soprattutto all'aperto durante il periodo estivo, ove vi sia un numero elevato di persone, potrebbero essere scelti da chi vuole compiere degli attentati. Occorre perciò aumentare, in Italia come altrove, i controlli delle forze dell'ordine su possibili soft target, ovvero piazze, teatri, luoghi che raccolgono in un certo momento molte persone. È evidente che controllare tutto è impossibile ma ciò che importa è dare ai cittadini la percezione di sicurezza. Perchè se questa venisse a mancare allora il terrorismo avrebbe raggiunto il suo principale obiettivo che è quello di incutere terrore nella società civile e di portarla a modificare il proprio stile di vita. Attualmente nel nostro Paese non c'è nessun allarme puntuale su un evento specifico in un dato luogo. Ma è logico però pensare che ci siano tutta una serie di realtà e di soggetti che vengono ritenuti problematici e per questo attentamente monitorati. In Italia, per fortuna, abbiamo un sistema che nell' ottica della prevenzione sta funzionando, ma che necessita di maggiori risorse e investimenti. La sinergia tra il lavoro svolto, a monte, dall'intelligence e a valle il coordinamento tra forze dell'ordine e procure, sul quale bisogna andare avanti, si è rivelato ad oggi la miglior forma di contrasto a tutte le forme di terrorismo. Ma l'imponderabile, purtroppo, è sempre dietro l'angolo. Per questo bisogna essere vigili su tutti i fronti, a cominciare da quello degli sbarchi dei migranti. Nessuno può escludere  che tra loro non vi siano possibili terroristi islamici. E' logico che vengono fatti tutti i controlli che bisogna fare in questi casi, soprattutto quando il livello di allerta aumenta, ma più soggetti arrivano contemporaneamente e più il lavoro di analisi per capire con certezza chi si ha di fronte, se non vengono potenziati mezzi e personale, non potendo svolgersi in condizioni ottimali, diventa difficile e improbo.

sabato 16 luglio 2016

AVVENIRE - 16/07/16 - "L'ASTICELLA DEL TERRORE SALE, SUBITO PIU' RISORSE" Stucchi (Copasir): in questi casi prevenzione più ardua, attenti agli "internal fighters"

Ogni volta, l'asticella del terrore si alza. in questo caso, è bastato un camion lanciato a forte velocità in un luogo affollato per fare quasi un centinaio di vittime... con simili modalità di attentati, purtroppo, la sfida della prevenzione per gli apparati di sicurezza diventa sempre piu' ardua...." Dopo la strage sul lungomare di Nizza, il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica Giacomo Stucchi (Lega Nord) ragiona con Avvenire sui nuovi scenari di potenziali minacce: "L'uso di un veicolo, in sè, non è del tutto inedito. C'erano già stati attentati con auto lanciate contro le fermate degli autobus, in Israele e in altri Paesi - considera il presidente del Copasir - . In questi casi, gli attentatori avevano per fortuna causato meno vittime. ma quegli episodi costituiscono i primi segnali di questa ulteriore modalità di colpire persone inermi..."Un camion, un "lupo solitario", la folla come obiettivo. niente bombe, pochi preparativi. Così le speranzedi "agganciare" i terroristi prima di un attentato si riducono al lumicino....Purtroppo è così. Dobbiamo essere realistici: si tratta di un problema enorme, perchè per prevenire situazioni simili si dovrebbe immaginare di poter controllare qualsiasi eventuale obiettivo, cosa impossibile. Cosa invece si può ragionevolmente fare? Oltre che sui siti istituzionali già sorvegliati, si potrebbe intensificare i controlli sui cosidetti soft target, piazze, teatri, luoghi che come unica caratteristica, hanno quella di ospitare in un certo momento la presenza di tante persone, come avvenuto a Nizza. I francesi avevano vigilato benissimo durante gli Europei, ma chi voleva colpire ha atteso un evento successivo e un bersaglio più accessibile. Servirebbero ancora più agenti da schierare nelle città italiane? In generale, in questo frangente, credo che governo e Parlamento non debbano stare a lesinare sulle risorse da investire nel comparto sicurezza. Non solo in agenti ma in nuoce competenze, strumentazioni elettroniche e informatiche, perchè quotidianamente aumentano sia il numero dei soggetti "problematici" che quello dei luoghi da "attenzionare". E' un equilibrio difficile, occorre dare una percezione di sicurezza, ma non si può neppure pensare a una militarizzazione totale delle nostre città: non sarebbe fattibile in termini di risorse e darebbe anche un messaggio sbagliato. Tutto ciò che serve a contrastere chi vuole distruggere i nostri valori e le nostre comunità va fatto, ma senza stravolgere la nostra vita quotidiana. sarebbe l'errore più grave... L'attacco a due passi dal confine italiano fa salire l'allarme anche da noi? La nostra intelligence lo ripete da tempo: nessun Paese è purtroppo, al sicuro da questo tipo di minaccia. L'attacco di Nizza è stato compiuto da un franco-tunisino, forse senza o con poche complici. E' la strategia del teorico del Daesh Al Adnani: rimanere nel Paese dove ci si trova a coplire gli occidentali con ciò che si ha, anche una vettura. Così i foreign figthters che prima partivano dall'Europa per combattere in Siria e Iraq, possono diventare internal fighters. C'è rischio di emulazione? Si può innescare un meccanismo agghiacciante di competizione fra chi punta a realizzare attentati sempre più cruenti per avere un posto nella storia del terrore. Il Copasir si occuperà presto della vicenda? Lo faremo la prossima settimana con due audizioni già previste, ma che ora saranno attualizzate alla luce di quanto avvenuto: la prima con l'autorità di governo delegata all'intelligence, il sottosegretario Marco Minniti, e la seconda col capo della Polizia Franco Gabrielli. Faremo il punto sulla situazione, sia sotto il profilo internazionale che della sicurezza interna.

venerdì 15 luglio 2016

AFFARI ITALIANI - 15/07/16 - STRAGE NIZZA, STUCCHI (COPASIR): IN ITALIA NUMERO "PREOCCUPANTE" DI TERRORISTI

"Quello che è successo a Nizza potrebbe accadere in ogni singola realtà occidentale, quindi anche in Italia". Lo afferma al ad Affaritaliani.it il presidente del Copasir Giacomo Stucchi, commentando il drammatico attentato terroristico accaduto a Nizza, in Francia. Impossibile prevenire attacchi di questo tipo? "Più è complessa e numerosa la composizione della struttura che progetta l'attentato e è più 'agevole' acquisire informazioni e quindi prevenire lo stesso. Più è ridotta la composizione numerica di chi vuole compiere l'attentato, arrivando fino all'attore solitario, e più il tutto diventa difficile". L'intelligence italiana ha qualche segnale di allarme specifico per quanto riguarda il nostro Paese? "Non c'è in questo momento nessun allarme puntuale su un evento specifico in un dato luogo. Ma è logico però pensare che ci siano tutta una serie di realtà e di soggetti che vengono ritenuti problematici e per questo attentamente monitorati". Quante persone vengono 'monitorate' dall'intelligence italiana? "I foreign fighters partiti sono un centinaio ma quelli diventano un problema se e quando rientrano. In Italia i soggetti problematici noti sono un numero non irrilevante, seppur inferiore ad altri Paesi occidentali ". Più o meno di mille? "Non posso essere più preciso ma sono un numero che genera legittime preoccupazioni". L'estate e le vacanze soprattutto al mare, in spiaggia, possono essere un pericolo ulteriore di attentati terroristici? "Nizza ci insegna che i luoghi di aggregazione, soprattutto all'aperto durante il periodo estivo, ove vi sia un numero elevato di persone, potrebbero risultare interessanti per chi vuole compiere degli attentati. Sono soft target. Servono quindi maggiori controlli e presenza delle FFOO anche in questi luoghi per aumentare il livello di sicurezza. Bisogna esserne consapevoli. Però è fondamentale anche stare attenti a non far vincere il terrore che paralizza". Tra i migranti che arrivano con i barconi in Italia potrebbero esserci anche terroristi islamici? "Nessuno lo può escludere. Chiaramente vengono fatti tutti i controlli che bisogna fare in questi casi, soprattutto quando il livello di allerta aumenta. Ma è altrettanto evidente che più soggetti arrivano contemporaneamente e più il lavoro di analisi per capire con certezza chi si ha di fronte, se non vengono potenziati mezzi e personale, non potendo svolgersi in condizioni ottimali diventa difficile", conclude Stucchi.

FANPAGE.IT - 15/07/16 - STUCCHI (PRESIDENTE COPASIR): "ANCHE L'ITALIA E' A RISCHIO MA LA NOSTRA INTELLIGENCE FUNZIONA"

"Noi dobbiamo cercare di individuare i terroristi in un momento delicato: le attività di intelligence fino ad ora hanno funzionato in Italia dando risultati che hanno permesso di evitare che accadesse qualcosa, ma siccome che il numero di soggetti e luoghi da controllare aumenta, dobbiamo anche noi incrementare le risorse". Ai microfoni di Fanpage.it

martedì 5 luglio 2016

IL SECOLO D'ITALIA - 03/07/16 - L'ISIS, CONTORDINE DEL CALIFFO. IL DIKTAT E': ”UCCIDERE GLI OCCIDENTALI OVUNQUE”

L’ordine è uno solo: uccidere gli occidentali ovunque. Di più: sarebbe in corso una vera e propria gara tra chi fa più vittime. Rivela sempre nuovi e sempre più inquietanti risvolti l’odio etnico e religioso che arma il pugno degli spietati miliziani del terrore agli ordini del Califfo Al Baghdadi. Un odio atavico elevato all’ennesima potenza dalla rabbia jihadista seguita ai colpi messi a segno sul piano militare dall’alleanza internazionale anti-Isis che, in Siria come in Iraq, ha riguadagnato terreno e riconquistato posizioni strategiche, costringendo i miliziani alla ritirata. L’Isis, intervista al presidente del Copasir“È un bene che in Iraq, in Siria, e ora anche in Libia, si stia riducendo l’area di influenza dell’Isis, ma il contraccolpo, da quanto ci dicono i servizi segreti, è evidente” A parlare è il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, che in un’intervista alla Stampa spiega anche come ormai “il Califfo non chiama più i foreign fighters a combattere da loro, ma li invita a colpire dovunque si trovino. Al limite, l’indicazione che hanno è di spostarsi in Occidente. E il primo obiettivo restano gli infedeli. Cioè noi. Stanno tornando alle origini, agli attacchi suicidi”. E ancora: “L’Isis ha cambiato strategia. Dal conflitto simmetrico, tra eserciti, in campo aperto, stanno passando a un conflitto asimmetrico. Pochi uomini che si immolano per ottenere un risultato enorme”, spiega Stucchi. Il ritorno dell’Isis a una vecchia strategia di guerra E allora, ecco spiegato l’attacco all’aeroporto di Istanbul. La strage di Dacca. I continui agguati esplosivi a Baghdad. “Piuttosto che perdere dieci miliziani in battaglia, meglio mandare uno o due aspiranti suicidi a colpire un obiettivo facile, con tanta gente innocente. E meglio ancora se occidentali. Così è garantita un’eco mondiale, devastante per l’opinione pubblica”. Una strategia lucida e agghiacciante che, purtroppo, sta confermando la sua spietata applicazione sul campo ad ogni efferato attentato terroristico organizzato su punti lontani dello scacchiere di guerra e di morte preso in considerazione dai miliziani dell’Isis.”Il passaggio di Daesh alla seconda fase, se possibile, preoccupa ancor più di prima, perché s’è visto che potrebbe esserci tanta gente che simpatizza per loro, e poi perché colpiscono sempre più spesso obiettivi facili, i cosiddetti soft target‘”, prosegue infatti Stucchi. L’Italia nel mirino dell?Isis? Ecco come e perché Guardando all’Italia come possibile target nel mirino dell’Isis, dunque, “se i luoghi a rischio, gli hard target, sono più o meno presidiati, i soft target sono troppi. Impossibile presidiare ogni ristorante, bar, cinema, piazza di paese. Così è diventata una lotta impari”. Una guerra sleale combattuta a colpi di stragi facili da pianificare e impossibili da prevenire, come dimostrato negli attacchi di Parigi del 13 novembre o dei più recenti agguati in Belgio. “Ai nostri servizi risulta che è in corso una sorta di gara a chi fa più danni”, evidenzia Stucchi. “Gli aspiranti suicidi sognano di sterminare più infedeli che possono, e allo stesso tempo sperano che il loro nome venga ricordato per l’eternità come quelli che hanno ucciso più di tutti”. Terribile, quanto realistico.

lunedì 4 luglio 2016

FLY ORBIT - 04/07/16 - ATTENTATO A DACCA, STUCCHI(COPASIR): «TEMIAMO NUOVE AZIONI»

A distanza di giorni dall’attentato a Dacca, capitale del Bangladesh, nel quale hanno perso la vita nove italiani, emergono dettagli sugli attentatori. Sono venti le persone rimaste uccise venerdì sera mentre si trovavano alla Holey Artisan Bakery di Dacca, non lontano dalla ambasciata italiana. Secondo il ministero dell’interno del Bangladesh, i terroristi sono tutti provenienti da famiglie ricche, con una buona educazione scolastica: solo uno non aveva frequentato le migliori scuole del paese. Nessuno straniero. Avrebbero abbracciato la jihad assecondando una moda, sostiene il ministero dell’Interno del paese asiatico che continua a non ritenere attendibile la rivendicazione dell’ISIS. Le indagini sono ancora in corso. A Fly Orbit News, il senatore Giacomo Stucchi, presidente del Coparis, il comitato di controllo sui servizi italiani, ha dichiarato che il quadro internazionale riguardo il monitoraggio delle cosiddette schegge impazzite che fanno riferimento all’ISIS e non solo è «molto complesso e delicato: i numeri rimangono preoccupanti. La loro decisione di optare per un conflitto asimmetrico rende ancor più ardua la loro sconfitta e ci fa temere ulteriori azioni, contro obiettivi occidentali, dagli esiti drammatici». Per quanto riguarda l’Italia, dice il senatore Stucchi, «nella comunità dell’intelligence si ritiene molto realisticamente che in generale non sia possibile parlare di una situazione di sicurezza assoluta e che al contrario vi possano essere, in un contesto di massimo sforzo profuso per garantire la tutta la sicurezza possibile, possibili situazioni che comportino una certa dose di razionale preoccupazione».

domenica 3 luglio 2016

NAZIONE Carlino IL GIORNO - 03/07/16 - "SAPEVANO DOVE TROVARE GLI ITALIANI"

GLI ITALIANI erano un obiettivo dei terroristi di Dacca. Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, non respinge l'ipotesi: «Nei prossimi giorni avremo incontri che ci permetteranno di approfondire questo aspetto. Non è da escludere che l'obiettivo fosse proprio colpire appartenenti alla comunità italiana, anche se non mi sento in questo momento di confermarlo in via definitiva. Quel locale era frequentato da occidentali c in particolare dagli italiani. Che solitamente ce ne fossero tanti in quel posto era noto». Lei come spiega il fatto che i nostri connazionali fossero nel mirino dei jihadisti? "Vogliono colpire un Paese attaccando i suoi cittadini, indipendentemente che questo avvenga a Dacca, a Bagdad, a Roma o a Milano. Uccidendo lanciano un segnale. Perché l'Italia? Perché è meno militarista di altri stati e per questa ragione si tenta di radicalizzarla con gli attentati? Per loro si tratta di colpire coloro che non seguono le indicazioni del profeta Maometto. Hanno una visione islamista di contrapposizione bellica per la quale quelli che non stanno con loro debbono essere eliminati». Italiani e anche altri? "Noi, i francesi, gli americani e i belgi ai loro occhi siamo infedeli. La vita di un italiano vale nel momento in cui gli viene tolta. Il messaggio è: non siete sicuri, vi colpiamo dove e quando vogliamo». C'è un cambiamento di strategia globale? "Daesh ha perso tantissimo territorio in Siria. Anche in Libia ha problemi. Questo comporta che vengano privilegiate le reazioni asimmetriche. E vero, l'attacco di Dacca è stato gravissimo. Purtroppo poche ore fa a Bagdad  ce n'è stato un altro che ha lasciato una scia di sangue impressionante, oltre 120 morti. Sono azioni, sostenute dal Califfo con messaggi pubblici, che lasciano l'opinione pubblica colpita, sbigottita, preoccupata. Fra lstanbul e Dacca c'è però una differenza. Quale? «A Istanbul hanno per così dire osato l'hard target, l'obiettivo duro. Hanno giocato pesante, sfìdando lo Stato turco in un luogo che era particolarmente protetto c sorvegliato. In Bangladesh il target, l'obiettivo, era soft. come tanti altriin giro per il mondo». Prendere possesso di un ristorante non era particolarmente arduo. «Ma poi c'è stata l'azione incredibile di uccidere, quasi uno per uno, coloro che non conoscevano il Corano. Hanno alzato ulteriormente l'asticella della crudeltà». Come possiamo difenderci? In 'Italia abbiamo un sistema che per fortuna, ma sopratutto per l'impegno dcll'intelligence e delle forze dell'ordine e, a valle della magistratura, finora ha permesso di tenere sotto controllo la situazione. È logico però che più aumentano i soggetti pericolosi, più cresce la galassia che gira attorno a quegli individui e più si moltiplicano i luoghi che debbono essere controllati,più serve avere a disposizione nuovi strumenti, nuovo personale e nuovi mezzi per poter condurre in modo pari questa guerra. Più si incrementano i numeri che le dicevo più è difficile dare risposte. Bisogna essere realisti. "Quindi in concreto? «Bisogna avere il coraggio di dire che una situazione di sicurezza assoluta non è possibile garantirla. Si fa tutto il possibile. Non bisogna illudere nessuno affermando che non accadrà assolutamente nulla, ma neppure cadere nella paura paralizzante dell'attentato incombente. Però si deve capire che la situazione è cambiata rispetto a qualche anno fa e che in termini di sicurezza oggi siamo scesi probabilmente di un livello. Anche le nostre abitudini, pur non dovendole mutare in modo radicale, sono state condizionate.

LA STAMPA - 03/07/16 - "L'ORDINE DEL CALIFFO E' UCCIDERE GLI OCCIDENTALI OVUNQUE"

Il presidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, il senatore Giacomo Stucchi, della Lega, normalmente è un ottimista. Oggi, no. «Dobbiamo essere realisti. La situazione è sempre più grave». Eppure si dice che l'lsis sul campo arretra. «È verissimo. Ma ha anche cambiato strategia. Dal conflitto simmetrico, tra eserciti, in campo aperto, stanno passando a un conflitto asimmetrico. Pochi uomini che si immolano per ottenere un risultato enorme». Era sbagliato combatterli militarmente? «No, è un bene che in Iraq, in Siria, c ora anche in Libia, si stia riducendo la loro arca di influenza, ma il contraccolpo, da quanto ci dicono i servizi segreti, è evidente. Il Califfo non chiama più i foreign fighters a combattere da loro, ma li invita a colpire dovunque si trovino. Al limite l'indicazione che hanno è di spostarsi in Occidente. E il primo obiettivo restano gli infedeli. Cioè noi. Stanno tornando alle origini, agli attacchi suicidi. Sembrerebbe un bene che Isis rinunci all'idea del Califfato in terra d'islam c che sia costretta alla clandestinità. Sono in evidente arretramento. Però reagiscono nel modo che per loro è il più produttivo. Piuttosto che perdere dieci miliziani in battaglia, meglio mandare uno o due aspiranti suicidi a colpire un obiettivo facile, con tanta gente innocente. E meglio ancora se occidentali. Così è garantita un'éco mondiale, devastante per l'opinione pubblica». In effetti è impressionante il bollettino di guerra. «Guardi, il passaggio di Daesh alla seconda fase, se possibile, preoccupa ancor più di prima. Perché s'è visto che potrebbe esserci tanta gente che simpatizza per loro. E poi perché s'è visto che colpiscono sempre più spesso obiettivi facili, i cosiddetti soft target. L'effetto terroristico è lo stesso. Il che, per venire all'Italia, ci deve spaventare: se i luoghi a rischio, gli "hard target", sono più o meno presidiati, i "soft target" sono troppi. Impossibile presidiare ogni ristorante, bar, cinema, piazza di paese. Così è diventata una lotta impari». Lei conosce molti dossier riservati. Le risulta che per questi attentati giungano indicazioni precise del Califfo? «Ai nostri servizi risulta che è in corso una sorta di gara a chi fa più danni». Vogliono entrare nel Guinness degli orrori? «Qualcosa del genere. Gli aspiranti suicidi sognano di sterminare più infedeli che possono, e allo stesso tempo sperano che il loro nome venga ricordato per l'eternità come quelli che hanno ucciso più di tutti. Cercano di segnare un record per entrare nella storia. Ma questo non è sport, questa è morte».

lunedì 27 giugno 2016

LOMBARDO VENETO MAGAZINE - 27/06/16 - STUCCHI, PRESIDENTE COPASIR: "IL TERRORISMO NON HA MAI VINTO MA...”

lombardovenetomagazine.it
Se è vero, com’è vero, che il terrorismo è un nemico comune a tutti gli Stati, allora la lotta per il contrasto di questo fenomeno è una battaglia comune. Per combatterla, quindi, un punto fondamentale e imprescindibile è la condivisione delle informazioni di intelligence fra i Paesi occidentali. Una lezione che, dopo gli attentati a Parigi e in Belgio, comincia a essere tenuta sempre più in maggiore considerazione. Dai fatti del Bataclan in poi l’atteggiamento dei Paesi occidentali, in particolare della Francia, è forse cambiato e si è senza dubbio assistito a un incremento dello scambio di informazioni; ma anche al rafforzamento del principio che non condividere tale impostazione depotenzia la lotta contro un nemico possente. All’interno della comunità delle intelligence europee lo scambio di informazioni in materia di contrasto al terrorismo è quindi molto elevato; e lo sarà anche dopo il voto sulla Brexit che non cambierà nulla in tema di lotta al terrorismo poiché gli accordi più importanti (bilaterali o multilaterali) sono tra le intelligence di singoli Stati e questi rimarranno in vita. Certo, non tutti gli ostacoli a una completa condivisione di intelligence a livello internazionale sono stati rimossi. Un problema cruciale, per esempio, sta nel fatto che tali informazioni siano detenute dalle procure dei singoli Paesi; e quindi, essendo protette da segreto istruttorio, è di fatto impossibile condividerle. Per questa ragione bisogna trovare una soluzione per permettere di agire su tutto il territorio occidentale. Oggi la necessità prioritaria è interloquire sul terrorismo con le procure europee, perché se un soggetto è indagato per terrorismo e si sposta in un altro Stato si deve poter indagare su questa persona. Anche questo tipo di indagini, del resto, fa parte di quell’attività di prevenzione che sino ad oggi, in Italia, ha dimostrato di funzionare bene. Molto è dovuto al lavoro svolto a monte dall’Intelligence, ma molto anche dalle forze dell’ordine e dalle procure. La recente operazione del Ros di Bari, per esempio, che ha portato all’arresto di una persona domiciliata presso il Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Bari-Palese, testimonia che bisogna controllare con grande scrupolo chi entra in Italia e capire bene chi abbiamo di fronte. Ma per fare questo occorrono più fondi per l’intelligence e per le forze polizia, serve investire in mezzi e personale perché, come dimostra la cronaca quotidiana sugli sbarchi, aumenta continuamente il numero delle persone da controllare. Noi non siamo immuni dalla minaccia terroristica, non possiamo illudere i cittadini e dire loro che non succederà nulla, ma le nostre forze di polizia e l’intelligence stanno lavorando al meglio, facendo tutto il possibile sul fronte della prevenzione. Il controllo del territorio è capillare e, ad oggi, non ci sono piani di attacchi o progettualità ostili che possano essere indirizzati in maniera specifica contro di noi. Questo non vuol dire che vi sia una situazione di sicurezza assoluta. Bisogna avere il coraggio di evidenziarla e serrare sempre più le maglie della rete di una sicurezza partecipata. Le sfide sono il terrorismo internazionale, la minaccia cyber ma anche gli attacchi alla sicurezza economico-finanziaria. La dimensione sfidante dell’Intelligence è cambiare le cose sul terreno. Guardare in lungo e in largo. Consapevoli del fatto che, pur avendo il terrorismo di oggi mutato pelle, e tenendo presente tra l’altro che storicamente nessuna forma di terrorismo ha mai raggiunto l’obiettivo per cui è nato, il controllo del territorio rimane decisivo nella diuturna lotta per sconfiggere il terrorismo sotto le sue molteplici forme. Del resto le situazioni di disagio sociale vissute nei quartieri ultrapopolari che hanno portato alcuni soggetti verso il terrorismo degli anni Settanta sono le stesse che si vivono oggi nelle banlieu nostrane, dove covano le maggiori ostilità nei confronti della cultura occidentale. Il problema è la perdita degli spazi sociali, il disagio delle periferie. L'Intelligence opera a protezione dei diritti e della libertà, oltre ad essere presidio di democrazia. Un sistema che funziona ma necessita, come tutti gli organismi, di controlli. Il nostro ruolo è delicato: il controllo democratico. Come Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) verifichiamo che tutto ciò che fanno le Agenzie avvenga rispettando le regole cui sono sottoposte, non solo le leggi ordinarie. Il rispetto della privacy, innanzitutto. Purtroppo la storia dei nostri Servizi è stata a volte legata a vicende che si tingevano di ‘grigio’. Ora la percezione dei nostri 007 è cambiata e vengono visti come uomini e donne dello Stato che lavorano per proteggere tutti. E’ davvero ‘una nuova narrazione’ e un indice di fiducia che l’Eurispes certifica a quota 64%. Fino a qualche anno fa sarebbe stato un consenso del tutto impensabile! Senatore Giacomo Stucchi Presidente del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica

mercoledì 8 giugno 2016

CITTA' DEI MILLE - GIU/LUG 20016 - 007 ITALIANI "SOTTO CONTROLLO" BERGAMASCO

Dal 2013 alla guida del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, c’è il senatore Giacomo Stucchi: «Nel nostro Paese c'è un sistema che funziona, grazie al lavoro dall'Intelligence e delle forze dell'ordine» 
A controllare chi ci controlla (per il nostro bene) è un bergamasco. Dal 2013, alla guida del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, c’è infatti il senatore leghista Giacomo Stucchi. Per legge  - art. 30 della Legge 124 del 2007 -, l’Intelligence italiana deve rendere conto della propria attività al Comitato di palazzo San Macuto. Partiamo dall'inizio: come nasce il Copasir? Nel 2007 è stata superata la Legge 801 del 1977, riguardante i Servizi segreti, ed è stata approvata la 124, che disciplina il nuovo sistema del Comparto Intelligence. Sono stati eliminati Sisde e Sismi, e create Aisi (Agenzia informazioni sicurezza interna) e Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), coordinate dal DIS, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Il DIS svolge la stessa funzione del DNI statunitense, che però di agenzie ne coordina sedici. Il Copasir è l'evoluzione del vecchio Copaco (Comitato parlamentare di controllo), previsto dalla legge 801/77, ma con più poteri. Numero elevato quello delle agenzie USA? Sì, ma anche i Ranger fanno parte del loro sistema di Intelligence, perché controllano una riserva strategica come l'acqua, che deve essere tutelata da possibili inquinamenti ad opera di terroristi. Aisi e Aise cosa gestiscono? Le due agenzie operano su obiettivi prioritari e strategici, indicati dal Governo. Il Presidente del Consiglio (art. 3 della legge 124) può delegare le funzioni che non sono ad esso attribuite in via esclusiva a un ministro senza portafoglio o a un sottosegretario - denominati Autorit à Delegata. In questa legislatura, tale compito delicato è affidato al senatore Marco Minniti. E' l'Autorità delegata a trasmette al Comitato tutte le informazioni legate alle attività del Comparto Intelligence, anche mediante specifiche relazioni, a cadenza periodica. Inoltre informa il Copasir dei risultati raggiunti e - in alcuni casi anche ad operazione in corso - spiega le attivazioni delle Agenzie per fronteggiare le minacce asimmetriche che si pongono sullo scacchiere internazionale come sul versante interno. Veniamo al ruolo del Copasir Ha dieci componenti, cinque deputati e cinque senatori. Cinque devono essere di maggioranza, cinque di opposizione. Per legge il comitato deve essere guidato da un presidente di opposizione. Si tratta del ruolo più delicato, all'interno del Parlamento, riservato all'opposizione. In situazioni particolari, al presidente viene fornito un quadro completo di quanto accade, con informazioni in tempo reale. Poi chi guida il Copasir informa i membri del Comitato. Un ruolo di peso Una bella responsabilità. Il Copasir è l'unico organismo autorizzato a lavorare in concomitanza con le sedute di Camera e Senato, anche se sono previste votazioni. I temi che trattiamo sono così delicati che sarebbe impossibile fare diversamente. Quali autorità incontrate? Nelle audizioni, i massimi vertici della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, dell'Esercito, Procuratori generali, oltre che i direttori delle Agenzie (AISE e AISI), il Direttore Generale del DIS, ministri facenti parte del CISR e ad altri soggetti in possesso di informazioni utili per il nostro lavoro. Affrontiamo tematiche legate alla sicurezza del Paese. Abbiamo una necessaria 'regola d'ingaggio': non possiamo dire nulla di quanto di specifico apprendiamo ed elaboriamo nel corso dei lavori del Copasir. Una buona parte dell'attività della nostra Intelligence può essere resa pubblica, e viene resa nota con una Relazione annuale sulla politica dell'informazione per la sicurezza, pubblicata su www.sicurezzanazionale.gov.it, il sito del Comparto Intelligence. La Relazione è anche uno strumento strategico per decodificare scenari fluidi e costruire anticipazioni. Nella Relazione di quest'anno peraltro si sottolinea il confronto e la collaborazione con il Copasir, spiegando che "Il Comparto è coprotagonista nella feconda e armonica collaborazione con il Copasir, di una straordinaria e sempre aperta pagina di democrazia parlamentare...". Una parte delle informazioni che raccogliamo, invece, rimane classificata per ragioni di riservatezza e sicurezza nazionale. Si rendono noti i risultati del lavoro, tenendo presente che spesso i successi dell'Intelligence sono quelli che non possiamo raccontare e che 'non sono mai accaduti'. Il sistema è complesso? E' una Intelligence che opera a protezione dei diritti e della libertà, oltre che presidio di democrazia. Un Sistema che funziona ma necessita, come tutti gli organismi, di controlli. Il nostro ruolo è delicato: il controllo democratico. Verifichiamo che tutto ciò che fanno le Agenzie avvenga rispettando le regole cui sono sottoposte, non solo le leggi ordinarie. Il rispetto della privacy, innanzitutto. Purtroppo la storia dei Servizi, in Italia, è stata a volte legata a vicende che si tingevano di grigio, ora la percezione è cambiata e dei nostri 007 - uomini e donne dello Stato che lavorano per proteggere tutti - c'è una nuova narrazione. E un indice di fiducia che l'Eurispes certifica a quota 64%. Fino a una manciata di anni fa - quando ancora c'era il 'mito' dell'impermeabile e degli occhiali scuri - sarebbe stato impossibile pensarci. Con che frequenza si riunisce il Comitato? Abbiamo fatto più di 200 riunioni in due anni e 10 mesi. Durano in media un paio d'ore. Il precedente Comitato, presieduto prima da Francesco Rutelli e poi da Massimo D'Alema, in cinque anni ha svolto 150 riunioni. Non è che loro non lavorassero, semplicemente è cambiato il mondo. In che senso? Fino al 2013 sul fronte estero, Daesh quasi non esisteva, c'erano solo i problemi dei Paesi della primavera araba e poco altro. Non c'era il Datagate, esploso nel giugno 2013, pochi giorni prima che ci insediassimo: è stato un altro duro banco di prova, perché la tutela dei dati personali delle comunicazioni è un nostro tema. Siamo stati a Washington, all'NSA, a Bruxelles, a Tallin, per riunioni internazionali volte a fronteggiare unitariamente l'emergenza. Ci sono differenze di vedute tra noi e gli Usa. Infatti in Italia il dato, cioè il contenuto di una conversazione, e il metadato, cioè quando-dove-numero del ricevente e del chiamante, sono tutelati allo stesso modo. Negli Stati Uniti i metadati non sono tutelati. Oggi gran parte delle conversazioni passa da Whatsapp, Facebook, Skype: i server sono americani, quindi applicano la loro giurisdizione. Sono dati che servono a fronteggiare il terrorismo L'obiettivo è questo. E la messa a terra del discorso è semplice: se voglio controllare l'inquinamento di un fiume verificando se vi siano o meno bottiglie di plastica nelle sue acque, lo devo fare senza disturbare i pesci. Dobbiamo darci delle regole ma senza depotenziare la lotta al terrorismo. Per fare questo abbiamo interlocuzioni continue con i soggetti che si occupano di queste materie, comprese le società che in Italia operano nel campo delle telecomunicazioni. Devono garantire di essere pronte a fronteggiare attacchi esterni: la rete delle telecomunicazioni è un'infrastruttura critica e un suo mal funzionamento potrebbe mandare in crisi il sistema Paese. Sono pericoli tangibili Per questo vengono seguiti, con l'impiego di tante persone.   Altre attività del Comitato? Teniamo anche incontri internazionali, in cui ci confrontiamo con i Comitati omologhi al nostro, soprattutto europei. Il confronto parlamentare è infatti quello che consente, al di là della diplomazia ufficiale dei governi, di capire se il proprio strumento di controllo funziona o meno. Oppure se altri Paesi hanno strumenti più efficaci. Che poteri avete? Non pochi. Esprimiamo pareri sui bilanci del Comparto Intelligence che, pur non essendo vincolanti, vengono quasi sempre totalmente recepiti. In alcuni Paesi i comitati ad esempio possono obbligare il governo a spostare risorse da un obiettivo all'altro. Da noi non c'è questo strumento ma opera una sorta di moral suasion, per cui se decidiamo che c'è qualcosa di fondamentale da aggiungere o da cambiare sui documenti a noi sottoposti - non solo i bilanci - il governo ne prende atto. Il Comitato dà anche tutta una serie di pareri che riguardano l'interna corporis delle Agenzie. Ogni settimana analizziamo una quantità rilevante di documenti. Il Presidente li riceve tutti e li mette a disposizione dei componenti. C'è sempre collaborazione tra maggioranza e opposizione? Ad oggi abbiamo approvato ogni atto all’unanimità. Hanno avuto disco verde tanti testi, diversi, e su questioni molto dedicate. Un altro dei vantaggi del Comitato è che, essendo le sedute segrete, non vi è spazio per la polemica politica. I nostri verbali pubblici riportano solo orari di inizio e fine riunione. E i contenuti sono secretati. Non è mai successo che trapelasse qualcosa? A volte capita, ma solo per i titoli, non per i contenuti. In alcuni casi però, soprattutto per faccende molto delicate - come recentemente per i due italiani morti in Libia, per il caso Regeni o per operazioni in corso - si decide che qualcosa debba essere riferito in maniera corretta ai media, raccontando il frame di un evento o alcuni tag fondamentali, anche per evitare fantasiose ricostruzioni che non servirebbero a nessuno. E spesso questo compito è delegato al Presidente. Dopo i fatti del Bataclan, ad esempio, la scorso 13 novembre, il giorno successivo ci siamo riuniti d'urgenza. All'uscita dalla riunione nei corridoio c'erano decine di giornalisti ad aspettarci: in quei casi devi trovare il modo di rispondere, fino al massimo consentito. Non si può lavorare di fogging. La prevenzione lì ha fallito. E da noi? Nel nostro Paese c'è un Sistema che funziona bene. Molto è dovuto al lavoro svolto a monte dall'Intelligence, ma molto anche dalle forze dell'ordine e dalle procure. Il controllo del territorio è capillare e, ad oggi, non ci sono piani di attacchi o progettualità ostili che possano essere indirizzati in maniera specifica contro il nostro Paese. . Questo non vuol dire che vi sia una situazione di sicurezza assoluta. Bisogna avere il coraggio di evidenziarla e serrare sempre più le maglie della rete di una sicurezza partecipata. Le sfide sono il terrorismo internazionale, la minaccia cyber ma anche gl attacchi alla sicurezza economico-finanziaria. La dimensione sfidante dell'Intelligence è cambiare le cose sul terreno. Guardare lungo, e in largo. Questo terrorismo, però, è profondamente diverso Ha mutato pelle, ma il controllo del territorio resta decisivo. Del resto le situazioni di disagio sociale vissute nei quartieri ultrapopolari che hanno portato alcuni soggetti verso il terrorismo degli anni Settanta sono le stesse che si vivono oggi nelle banlieu nostrane, dove covano le maggiori ostilità nei confronti della cultura occidentale. Il problema è la perdita degli spazi sociali, il disagio delle periferie. Per Bergamo, ad esempio, la realtà di Zingonia risulta anche per questo problematica. A livello cittadino, ci potrebbero essere individui pericolosi tra gli ultrà? Se determinate tifoserie possano avere collegamenti con gruppi estremisti politici, occorre capire quali e in che modo. A Bergamo questo problema non c'è: parlo di situazioni che riguardano l’Intelligence, naturalmente, non a fattori di ordine pubblico.   Tornando al terrorismo, sapete chi sono i soggetti da tenere d’occhio Si sa chi sono i soggetti problematici ma finché non ci sono reati non si può procedere. L'Intelligence agisce a monte, analizzando situazioni sospette, con i metodi ammessi dalla legge. A valle, c'è il lavoro di procure e forze dell'ordine. Che effetto fa essere a capo di un organismo di controllo parlamentare sull'Intelligence? Ho possibilità di conoscere molto di quello che accade e posso accedere a tante informazioni, attuali o legate alla storia repubblicana. Ma ho anche la consapevolezza di un compito istituzionale che mi porta sempre a cercare il meglio per il nostro Paese e i suoi interessi. Potreste anche essere ricattabili. E in qualche modo? E' un rischio reale. Infatti dico sempre: "meno cose so, meglio è". Come diceva Condor nel celebre romanzo. Ma purtroppo non posso non sapere... Mi consolo con un detto di Sun Tzu: 'Investi su spie destinate a vivere'. Ma con un sorriso. È un lavoro a tempo pieno, quello del presidente del Copasir? Da mattina a sera, e spesso anche nel fine settimana. Ma è bello stare nel campo, 'operativo' anch'io. Comunque una vita molto interessante, considerando tematiche, viaggi e incontri. Quanto dura il mandato? Fino alla fine della legislatura, e di solito l'incarico non viene rinnovato. Si vengono a conoscere già troppe cose in 5 anni. E il vincolo di riservatezza vale non solo durante l'incarico, ma per tutta la vita. Ci porta dietro il tunnel di dati che si è attraversato, ma soprattutto l'esperienza di aver lavorato davvero al servizio dello Stato. Una donna potrebbe ricoprire questo ruolo, visto che veniamo considerate delle chiacchierone? Perché no? All'interno del comitato c'è Rosa Villecco Calipari, deputata Pd e collega capace e competente.   Chi nomina il Comitato? I presidenti dei gruppi parlamentari danno i nominativi ai Presidenti di Camera e Senato. Sono nomine spesso molto ambite,  nel mio caso però mi è stata chiesta la disponibilità da Maroni, visto che già nel '99 ero stato componente del Copaco, ma ho accettato solo dopo essermi consultato con Silvia (Lanzani, compagna di partito e nella vita, ndr ), perché un ruolo del genere incide anche sulla vita privata. Siete a disposizione 24 ore su 24? Sì. Ricordo ad esempio che dopo pochi giorni dalla nomina sono stato chiamato un sabato mattina, molto presto, perché dovevano comunicarmi un'informazione riservata. Lo fecero per telefono, utilizzando le procedure del caso. A proposito di tutela delle comunicazioni, le racconto un aneddoto. Quando sono stato nominato, ho detto scherzando a un amico dei 'Servizi segreti': "Adesso però basta controllarmi il telefono". Lui si è messo a ridere e mi ha risposto: "Noi non lo faremo, ma ci sarà almeno una dozzina di Servizi di Paesi stranieri che da oggi in poi lo faranno". Qualche novità che vuole segnalare, riguardo all’Intelligence? I roadshow fatti dai Servizi nelle università italiane. Sono stati finora 24, da Nord a Sud del Paese. Ci hanno messo la faccia, raccontando chi sono e cosa fanno. Una volta l'arruolamento avveniva soltanto con i transiti dalla Pubblica Amministrazione, quasi sempre comparto Difesa e Sicurezza. Oggi, oltre al bacino 'tradizionale, all'Intelligence servono esperti di informatica, matematica, lingue rare. Quindi è importante il contributo che possono dare questi nuove energie e menti, di cui gli atenei sono ricchi. È la prima volta che l'Intelligence lo fa e sono stati finora 'arruolati' 30 giovani, i migliori dalle università italiane. Un esperimento che ha portato 'sangue fresco' alle Agenzie ma soprattutto ha contribuito ad allungare il campo di competenze e passione. Nodi attivi di una rete nuova. Dopo la formazione alla Scuola del Comparto -il campus dell'Intelligence nazionale - entreranno in attività, portando il loro contributo. Cosa pensa la gente della nostra Intelligence? C'è molta stima. Uscendo da ragionamenti abbastanza accomodati, è cambiato l'algoritmo: si è passati dalla cultura della segretezza alla cultura della sicurezza. I Servizi lavorano per difendere la gente; sono composti da uomini e donne che, per proteggere gli interesse del Paese o aiutare cittadini in difficoltà, a volte mettono a repentaglio la propria stessa vita. Quando leggo di connazionali sprovveduti, che si recano in zone pericolose, penso a questo. Da un anno però se una persona compie un viaggio in un Paese a rischio finendo nei guai, e i familiari chiedono l'aiuto dello Stato al termine della vicenda, giustamente, lo Stato richiede il rimborso delle spese sostenute per risolvere la vicenda. Responsabilità è una parola-valigia che non dovremmo mai dimenticare.