mercoledì 25 gennaio 2017

25/01/17 - FORMICHE.NET - ECCO COME GENTILONI DARA' PIU' POTERI AL DIS DI PANSA SULLA CIBER SECURITY

Ecco come Gentiloni darà più poteri al Dis di Pansa sulla cyber security

C’è un’accelerazione verso una riforma del sistema della cyber security. La conferma è arrivata dall’audizione del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, davanti al Copasir e si va verso un maggiore coordinamento da parte del Dis, il dipartimento che in base alla legge del 2007 coordina le due agenzie di intelligence. In attesa di conoscere i dettagli, l’impressione è che si sia scelta la strada normativa più veloce, cioè un decreto del presidente del Consiglio, e nello stesso tempo che si voglia rendere più concreta e dinamica la lotta per una maggiore sicurezza informatica dando più potere al vertice dei Servizi. Il nuovo Dpcm cambierà perciò quello emanato da Mario Monti nel gennaio 2013 che organizzò per la prima volta il settore, ma che oggi sembra in parte inattuato e in parte anacronistico. Il presidente del Comitato di controllo sui Servizi, Giacomo Stucchi, disse in un’intervista a Formiche.net (e ha ripetuto il 24 gennaio nell’audizione di Gentiloni) che quattro anni in questo settore sono “un’era geologica” e che dunque un cambiamento è indispensabile. Nell’intervista Stucchi aggiunse che “è necessario rivedere completamente il tutto e sostituirlo, riscrivendo il decreto alla luce delle necessità emerse negli ultimi tempi” e, riguardo a un’intesa bipartisan, che “sulla necessità di attualizzare la normativa sulla cyber security siamo tutti d’accordo, poi bisognerà vedere il contenuto della proposta”. Se dunque un decreto pronto in poche settimane è sicuramente il mezzo migliore, bisognerà attendere il testo per capire come saranno superati gli attuali problemi, compresi quelli sulla (scarsa) collaborazione tra pubblico e privato, e se sarà una modifica o una sostituzione del decreto Monti. Anche quest’ultimo attribuisce al Dis un chiaro potere di coordinamento: il decreto del 2013, infatti, stabilisce che “il Direttore generale del Dis, sulla base delle direttive adottate dal Presidente del Consiglio dei ministri – volte a rafforzare le attività di informazione per la protezione delle infrastrutture critiche (materiali e immateriali), con particolare riguardo alla protezione cibernetica e alla sicurezza informatica nazionali – e alla luce degli indirizzi generali e degli obiettivi fondamentali individuati dal Cisr, cura il coordinamento delle attività di ricerca informativa finalizzate a rafforzare la protezione cibernetica e la sicurezza informatica nazionali”. E’ probabile che nella prossima normativa si stringerà ancora di più il legame tra il Dis (oggi diretto dal prefetto Alessandro Pansa) e il Cisr, il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, del quale fanno parte il presidente del Consiglio, l’autorità delegata all’intelligence (che oggi è lo stesso Gentiloni visto che manterrà la delega), i ministri di Interno, Difesa, Giustizia, Economia e Sviluppo economico e il direttore del Dis che ne è il segretario. Un rafforzamento potrebbe riguardare anche Aise e Aisi con un vicedirettore ad hoc. Sullo sfondo resta il problema dei fondi necessari: dal 1° gennaio sono materialmente disponibili i 135 milioni stanziati nella legge di Bilancio 2016, tolti i 15 milioni subito attribuiti alla Polizia postale, che però sono triennali. Angelo Tofalo (membro del Copasir per il M5s) continua a ripetere che occorrono 2 miliardi l’anno “altrimenti l’Italia resterà sempre indietro in questo campo”. Cifra oggettivamente irrealistica, ma non c’è dubbio che in prospettiva l’investimento debba aumentare. L’utilizzo del web da parte del terrorismo internazionale e gli incessanti attacchi informatici per tentare di rubare all’Italia segreti industriali, militari o genericamente “sensibili” avevano da tempo reso indispensabile un intervento. L’inchiesta che ha portato all’arresto i fratelli Occhionero, che avrebbero attaccato 18 mila account compresi quelli di Matteo Renzi, Mario Monti e Mario Draghi, ha impresso l’accelerata definitiva. Occorrerà ancora parecchio tempo prima che dagli Stati Uniti arrivino i contenuti dei server usati dagli arrestati e forse in quel momento l’Italia avrà una nuova normativa.

giovedì 19 gennaio 2017

FORMICHE - 19/01/17 - COME RAFFORZARE LA CYBER SECURITY DOPO IL CASO OCCHIONERO. PARLA STUCCHI (COPASIR)

“La normativa prevista dal decreto Monti del 2013 è da rivedere completamente e forse serve un nuovo decreto che lo sostituisca. Quattro anni di sviluppo tecnologico sul fronte della cyber security equivalgono a 50 anni nel mondo reale”. Giacomo Stucchi, 48 anni tra un mese, leghista e presidente del Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti, aspetta le notizie dagli Stati Uniti prima di esprimere un giudizio approfondito sull’inchiesta che il 10 gennaio ha portato all’arresto dei fratelli Occhionero, accusati di spiare migliaia di soggetti, tra cui ex presidenti del Consiglio come Matteo Renzi e Mario Monti e istituzioni. Quell’inchiesta, però, ha rilanciato la discussione sul sistema di sicurezza informatica in Italia, che ebbe una prima organica normativa con un decreto del presidente del Consiglio, nel 2013 appunto Mario Monti. A Formiche.net Stucchi spiega la situazione e anticipa il possibile nuovo percorso “perché, se anche finora non abbiamo preso nessun gol, gli attaccanti avversari migliorano sempre la loro performance”. Presidente Stucchi, al Copasir è in corso da mesi un’indagine sulla sicurezza informatica (di cui il vicepresidente, Giuseppe Esposito, è proponente e relatore assieme ad Angelo Tofalo). La vicenda Occhionero influenzerà i vostri lavori? Ci stimola a individuare altri soggetti da audire. Nel frattempo, entro fine mese visiteremo la struttura della nostra intelligence deputata alla cyber defence per valutarne direttamente il funzionamento e il livello di organizzazione e di difesa, come abbiamo già fatto in passato con altre strutture. E’ una sfida continua e le persone preposte sono qualificate, capaci e pronte ad affrontare gli attacchi che possono arrivare da hacker strutturati o indirizzati da governi stranieri. Si lamenta una mancanza di coordinamento, eppure nel decreto Monti è previsto un organismo collegiale di coordinamento che supporta il Cisr (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica) e che è presieduto dal direttore del Dis. Non funziona? Credo che l’impianto previsto dal decreto sia superato e nella sostanza abbia prodotto poco. E’ necessario rivedere completamente il tutto e sostituirlo, riscrivendo il decreto alla luce delle necessità emerse negli ultimi tempi. I quattro anni trascorsi dal gennaio 2013 a oggi equivalgono a un’era geologica in termini informatici, sono come 50 anni del mondo reale. Dunque vanno riviste anche le competenze che oggi sono del consigliere militare del presidente del Consiglio? Va rivisto tutto. In un convegno del settembre scorso il prefetto Alessandro Pansa, direttore del Dis, parlò della necessità di un progetto nazionale di cyber security. E’ a questo che state pensando? Il concetto è che vanno definite nuove procedure che disciplinino una serie di rapporti tra pubblico e privato le quali, se sommate, rappresenterebbero la spina dorsale della nostra sicurezza cibernetica. Pubblico e privato insieme significa ministeri e strutture della pubblica amministrazione, grandi aziende e ricerca universitaria. Finora com’è andata la collaborazione pubblico-privato? Se si deciderà di modificare il decreto Monti per quanto riguarda questo aspetto sarà proprio per aver constatato che qualcosa non ha funzionato o è partito solo a livello embrionale. Bisogna prenderne atto e cambiare indirizzo. I soldi a disposizione: dei 150 milioni stanziati con la legge di Bilancio 2016 per la cyber security dopo gli attentati di Parigi, 15 andarono alla Polizia postale e 135 sono ora a disposizione dei Servizi grazie a un decreto del 6 settembre scorso, come confermò l’allora ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Angelo Tofalo, membro del Copasir per il Movimento 5 Stelle, a Formiche.net ha parlato della necessità di 2 miliardi. Bisogna distinguere bene. I soldi della legge di Bilancio 2016 sono spendibili dal 1° gennaio di quest’anno, ma ci si era già mossi prima di averne la materiale disponibilità e permettono all’intelligence di fare cose positive. Se invece parliamo di piano nazionale per la cyber security dobbiamo comprendere tutti gli attori e ognuno deve contribuire per la propria parte. Se un’azienda privata decide di far parte del piano non può pensare di avere una serie di benefici senza contribuire anche economicamente. Che tempi prevede per la nuova normativa cyber? Ce la fate in questa legislatura? Per una struttura come quella attuale i tempi di adeguamento potrebbero essere lunghi soprattutto se si dovesse utilizzare una legge ordinaria; invece se la struttura fosse diversa, non ingessata, agile, attuabile anche con norme di rango inferiore, i tempi potrebbero essere brevi. Mi auguro che dal governo arrivi una proposta rapida per riuscire a definire il tutto in pochi mesi. Le intenzioni sono bipartisan? Sulla necessità di attualizzare la normativa sulla cyber security siamo tutti d’accordo, poi bisognerà vedere il contenuto della proposta. In un’intervista a Panorama all’inizio del 2013 l’allora direttore del Dis, Giampiero Massolo, disse che l’anno precedente un’azienda italiana aveva subito mille attacchi cyber al giorno e solo quando si rese conto di non farcela chiese aiuto all’intelligence. Si possono quantificare gli attacchi che aziende private e istituzioni subiscono? Più un’azienda è grande, più attacchi subisce. Inoltre, ci sono aziende di nicchia che hanno minore capitalizzazione rispetto ai grandi gruppi, ma che detengono informazioni preziose e sono a loro volta oggetto di innumerevoli tentativi quotidiani, dall’hacker singolo a quello governativo. Gli attacchi sempre più numerosi ci preoccupano e con l’evoluzione tecnologica è sempre più difficile per un portiere non prendere gol. Finora non abbiamo subito nessun gol, ma gli attaccanti hanno performance sempre maggiori, per esempio concentrando una serie di indirizzi Ip su un unico obiettivo creando un fronte di fuoco difficile da sopportare. Un’azienda “sensibile” riesce a difendersi? Chi è in difficoltà sa che può chiedere un supporto. Le aziende più importanti sono strutturate in modo adeguato, altre hanno bisogno di perfezionarsi sulla difesa. Tutte si adeguano tecnologicamente, in alcuni casi forse non c’è la consapevolezza di dover fare uno sforzo in più. Non bisogna dimenticare che quel tipo di investimento è molto costoso. C’è bisogno anche di una maggiore collaborazione tra le strutture operative, cioè tra Difesa, Polizia, Servizi? E’ necessaria anche se sono quotidianamente impegnate in un lavoro comune e dunque un collegamento costante tra loro c’è. Che idea si è fatto dell’inchiesta Occhionero? Finché non avremo i dati dagli Stati Uniti, dove sono basati alcuni server, non riusciremo a capire il reale perimetro della vicenda e ci vorrà del tempo. Si è parlato di 18 mila account, ma ci sono soggetti con più email e dunque il numero reale delle persone coinvolte è inferiore. Le intenzioni sono una cosa, i risultati un’altra. Sul fatto poi che agissero di propria iniziativa o per conto di qualcuno, per ora posso solo rilevare che il malware usato era vecchissimo, tanto che neanche gli antivirus più moderni riescono a intercettarlo. Come Copasir aumenteremo la frequenza delle audizioni: esauriti i soggetti istituzionali, stiamo ascoltando i professori esperti del settore e poi toccherà ai privati. Non dimentichiamo, però, che il Comitato non dev’essere mai monotematico: un’emergenza cyber non può farci dimenticare il terrorismo o la criminalità organizzata.

giovedì 12 gennaio 2017

IL GIORNALE- 15/01/17 - LA POLITICA SOTTO CHOC: «MA I CONTROLLI DOVE SONO?»

Stucchi (Copasir): «La cosa più grave è che per tutto questo tempo nessuno si sia accorto di nulla»
Con la vicenda dei fratelli Giulio e Francesca Maria Occhionero, indagati per aver messo a punto una «centrale» di cyberspionaggio ai danni di cariche istituzionali, politici, imprenditori, uomini dell'alta finanza e una lunga lista di nomi illustri del nostro Paese, a saltare - per ora - è la testa del direttore della Polizia postale, Roberto Di Legami. Ma la faglia che si apre è ben più profonda. «Siamo tutti non attrezzati e inadeguati, parlo delle nostre istituzioni, alla cybersicurezza. Una cosa non da poco. Quello che si sta scoprendo in queste ore è estremamente grave». Così ha commentato il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta. E in effetti, il tema in queste ore è quello dell'inadeguatezza delle istituzioni, ma anche delle aziende e delle organizzazioni che sono finite nel mirino dell'attività di dossieraggio, «per finalità che al momento possiamo solo immaginare» come ha lasciato intendere il garante della Privacy Antonello Soro, ai microfoni di Radio 1. «Non c'è dubbio che questo caso dimostra come quanto sia in ritardo il sistema di sicurezza cibernetica nel nostro Paese», ha aggiunto il capo dell'Autorità per la protezione dei dati. E in effetti, se fosse confermato «un sistema più ampio» dietro «Eye Pyramid», significherebbe che i due pirati informatici hanno agito in maniera indisturbata per anni. Nonostante i presunti precedenti emersi in occasione della famosa inchiesta sulla P4, nel 2011, e nonostante questa vicenda affondi le radici nella collaborazione dell'ingegnere informatico convertito all'alta finanza, per esempio, con la Westlands Securities, la società che avrebbe fornito consulenza per un progetto sul Porto di Taranto. Nei rapporti con Monte dei Paschi. E persino con Salvatore Buzzi, quello delle Coop di Mafia Capitale. «L'Amministrazione sta verificando la sussistenza di eventuali infiltrazioni nei sistemi di autenticazione del portale e contemporaneamente ha attivato tutti gli approfondimenti del caso con il Raggruppamento Temporaneo d'Imprese, gestore dell'ambiente di portale», si legge in una nota diffusa oggi dal Campidoglio. È evidente intanto che la palla, adesso, è fra le mani della Procura e quelle del Parlamento, dove il clamore di questo caso di spionaggio all'italiana ha aperto a non pochi interrogativi. «La cosa più grave è che si sia potuta sviluppare tutta una attività di questo tipo, per un lungo periodo, senza che ci fosse la possibilità di comprendere quello che realmente stava accadendo», è il commento del presidente del Copasir e senatore Lega Nord Giacomo Stucchi. Sui «lati oscuri e inquietanti» di questa «vicenda che si riferisce anche a questioni di sicurezza nazionale», il presidente dei deputati Cinque stelle, Vincenzo Caso, ha chiesto in conferenza dei capigruppo della Camera un'informativa urgente del Governo in Parlamento. Sarà il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, a far sapere quando e chi terrà l'informativa.

venerdì 6 gennaio 2017

IL TEMPO - 06/01/17 - GIACOMO STUCCHI (COPASIR): "INTELLIGENCE E PREVENZIONE COSI' ABBIAMO EVITATO IN ITALIA"

«Confermo che esiste una grande attenzione da parte di tutto il comparto sicurezza nel valutare ogni situazione delicata. Ad oggi non risulta alcuna progettualità ostile specifica contro obiettivi nel nostro Paese. Viviamo uno stato di elevata allerta e quindi vi è un controllo di tutte le realtà che si ritengono più sensibili». A parlare è Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, dopo le stragi di Berlino e Istanbul. In Italia l’allerta è ai massimi livelli. «Proviamo a fare chiarezza senza creare il panico? La lotta al terrorismo di matrice islamista è globale perché a essere in gioco ci sono tutti i valori dell’Occidente, in primis quelli della democrazia e delle libertà. La paura è comprensibile. I cittadini devono essere consapevoli che ogni giorno le forze dell’ordine e l’intelligence si impegnano al massimo, pur con dotazioni che devono essere sempre più adeguate alle nuove sfide, per garantire la sicurezza di tutti. Non è certo per una questione di fortuna se da noi, fino ad oggi, non ci sono stati attentati di matrice jihadista; è il risultato di un prezioso lavoro silenzioso svolto quotidianamente da tante persone capaci e preparate. Ciò non significa, tuttavia, e dobbiamo essere onesti nell’ammetterlo, che noi non si sia nel mirino al pari delle altre comunità occidentali e che, quindi, nel futuro non possa accadere qualcosa». Esiste un network jihadista con ramificazioni anche in Italia e che potrebbe fornire supporto per attentati? «Rispetto a Charlie Hebdo e ai fatti del Bataclan le stragi di Berlino e di Istanbul evidenziano delle reti jihadiste molto più ridotte e per questo più difficili da individuare. Spesso chi compie un attentato è l’unico soggetto a conoscenza del piano che intende portare a termine e questa mancanza di condivisione impedisce ogni fuga di notizia. Per l’intelligence, quindi, si tratta di una nuova sfida con la quale confrontarsi. Ma i terroristi non sono fantasmi che spuntano dal nulla e, come dimostra la cronaca degli ultimi giorni, spesso coloro che agiscono o progettano attentati sono coperti da uomini o strutture che danno loro appoggio». Si può parlare di presenza di cellule attive in Italia? «Per le informazioni ad oggi in mio possesso direi di no. Il pericolo esiste e la sfida più dura è proprio quella di prevenire eventuali attivazioni». Quando si parla di terrorismo di matrice islamica il collegamento all’immigrazione è inevitabile. Quanto è reale il rischio? «Personalmente non ho mai escluso questa possibilità. Fino alla scorsa estate era logico supporre che l’arrivo in Europa di un terrorista "strutturato" - un soggetto cioè su cui Daesh aveva investito molto in termini di formazione - difficilmente poteva avvenire tramite un barcone, mettendo così in pericolo la sua vita. Dopo le sconfitte nei mesi scorsi di Daesh in Libia e parecchi miliziani allo sbando è ragionevole pensare che le cose siano cambiate. Non parlo natural- mente dei veri profughi. Un controllo capillare su tutti coloro che arrivano sulle nostre coste con imbarcazioni di fortuna per accertarne identità e intenzioni è quindi fondamentale per abbassare il possibile rischio». La Libia è il nostro tallone di Achille. Come si può arginare il fenomeno dell’immigrazione? «Oggi la situazione in Libia è sempre più fuori controllo. La comunità internazionale deve aiutare concretamente la Libia chiedendo in cambio un reale presidio delle coste e ottenendo la realizzazione in loco di siti per l’accoglienza dei migranti, che permettano agli stessi di presentare le richieste d’asilo. Ma il punto vero, l’intervento necessario da compiere in tema di politiche migratorie, se si vuole dare un segnale chiaro anche ai trafficanti di esseri umani, è quello dei respingimenti». Si può parlare di una presenza di soggetti radicalizzati che mettono a rischio la sicurezza nazionale? «Dalla radicalizzazione al terrorismo il passo può essere breve e, comunque, nessuno può escludere che alcuni soggetti possano essere indotti ad agire da criminali esercitando e portando violenza nelle nostre città. La strategia giusta consiste nel non abbassare mai la guardia. Occorre aumentare i controlli sul territorio, nelle carceri, sul web e in particolare nel dark web, dove si svolge il 90% delle attività problematiche di tutta la rete internet, ricordando da ultimo che oggi è proprio il web, per la sua facilità di frequentazione, ad essere luogo in cui è più agevole iniziare un percorso di radicalizzazione».

mercoledì 4 gennaio 2017

IL SOLE 24 ORE - 04/01/16 - AMBASCIATA APERTA IN LIBIA, MISSIONE ITALIANA: UNIFICARE OVEST ED EST

Se veramente esiste, in queste ore, una “guerra” a Tripoli sembra proprio sia quella che si sta combattendo a colpi di comunicati stampa e notizie fatte filtrare da non meglio precisate “fonti privilegiate” di piccoli gruppi o milizie che giocano tutto sul conflitto ancora irrisolto tra il Consiglio presidenziale di Serraj sostenuto dall’Onu e il Parlamento di Tobruk guidato da al Thani di cui il generale Haftar rappresenta il braccio armato. Ma l’Italia, unico Paese occidentale che ha oggi sul terreno ben 300 militari a Misurata addetti all’ospedale da campo e, da pochi giorni, ha riaperto l’ambasciata punta a unificare il Paese tra Ovest ed Est. A questo scopo, tra pochi giorni, il nostro Governo invierà un carico di medicinali e aiuti di emergenza anche nelle città dell’Est a riprova che il nostro ambasciatore in Libia, Giuseppe Perrone, intende rappresentare l’Italia in tutto il Paese e non solo presso il Consiglio presidenziale di Tripoli guidato da Serraj. Proseguono, nel frattempo, anche le missioni preparatorie per la messa a punto di progetti di carattere economico e infrastrutturale. Proprio oggi tecnici dell’Enel arriveranno a Tripoli per la messa a punto di un progetto di centrali elettriche nella capitale libica.Come se non bastasse, tuttavia, la “guerra mediatica” non sembra placarsi. Secondo alcune “fonti” Khalifa Ghwell, l’ex premier libico protagonista nei giorni scorsi dell'’assalto ad alcuni edifici governativi a Tripoli (che però erano vuoti e lonati dal quartier generale di Serraj) «sta lavorando a una alleanza con il governo di Tobruk» e intende «riconquistare Tripoli e formare un esecutivo congiunto con quello guidato da al Thani». Drammatizzazioni che fonti del governo italiano ridimensionano notevolmente, mentre smentiscono molte delle notizie diffuse nelle ultime 24 a cominciare dal fatto che militari italiani sarebbero addetti alla sicurezza di Serraj. «Nessun militare italiano è impegnato per la sicurezza del primo ministro Serraj né agisce come sua guardia del corpo - precisa il ministero della Difesa rilevando che - non c’è alcuna interferenza negli affari interni libici da parte di personale militare italiano, la cui presenza è limitata al contingente che opera presso la missione sanitaria Ippocrate». Nelle stesse ore il ministero degli Esteri di Tobruk ha bollato la riapertura dell’ambasciata italiana nella capitale libica come una «nuova occupazione» e «il ritorno militare» dell’Italia a Tripoli. Anche in questo caso la risposta di Roma è stata chiara: il governo di Tobruk guidato da al-Thani non è un’entità riconosciuta dalla comunità internazionale e mira soltanto a creare tensioni attraverso «strumentalizzazioni» che i media possano montare mentre l’unica autorità legittima e riconosciuta in Libia è il Consiglio presidenziale insediato a Tripoli sotto la guida del premier Fayez al Sarraj, sostenuto dall’Onu. Il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, ha invece smentito la notizia (diffusa da alcuni organi di informazione e ripresa da M5S) che il direttore dell’Aise, Alberto Manenti, sia stato costretto nei giorni scorsi a fuggire dalla Libia» e ha esortato a evitare «in questa fase di prendere per buone fonti libiche che più volte in passato hanno dimostrato di non essere attendibili».Tobruk ha poi utilizzato la presenza della San Giorgio per denunciare che «una nave militare italiana carica di soldati e munizioni è entrata nelle acque territoriali libiche». Ma la Marina militare libica ha chiarito che nessuna nave italiana ha violato le acque territoriali libiche: l’unico movimento registrato è appunto «quello della San Giorgio, che è entrata nelle acque territoriali nell’ambito della missione di addestramento concordata tra le forze libiche e quelle italiane». Più precisamente si tratta della nave ammiraglia della missione europea Eunvafor Med operazione Sophia che già in altre quattro occasioni è entrata nei porti libici solo per accogliere a bordo oltre 70 militari della guardia costiera libica che sulle navi europee (non solo italiane) vengono addestrati da alcuni mesi per imparare a contrastare il traffico di esseri umani ed evitare in futuro che migliaia di migranti trovino la morte a poche centinaia di metri dalle coste libiche, proprio lì dove, senza una richiesta esplicita del Governo Serraj, nessuna nave italiana od europea può operare.L’unica imbarcazione che di sicuro è entrata in acque territoriali libiche è stata alcuni giorni fa la portaerei russa Ammiraglio Kuznetsov, a bordo della quale è salito il generale Khalifa Haftar per discutere in videoconferenza con il ministro della Difesa russo, Serghiei Shoigu, «di lotta ai terroristi in Medio Oriente».

CRONACHE MACERATESI - 04/01/16 - TERRORISMO E INFILTRAZIONI MAFIOSE, L'ALLARME DI STUCCHI: “ARRIVATE DIVERSE SEGNALAZIONI"

CIVITANOVA - Il senatore della Lega Nord, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica, ha parlato così nell'incontro al Cosmopolitan. Toccati anche i temi dell'immigrazione e le slot machine come riciclo di denaro sporco. Proposta per l'Hotel House: "Va eliminato e gli inquilini ricollocati altrove" Il rischio di infiltrazioni malavitose nella ricostruzione post terremoto, l’Hotel House come problema da affrontare subito, controllo serrato dell’immigrazione specie nei porti e nei territori periferici per evitare il rischio che arrivino elementi legati ad organizzazioni terroristiche, ma anche il proliferare delle sale slot come fenomeno di riciclaggio del denaro sporco. Ha toccato questi temi, oggi al Cosmopolitan di Civitanova, il senatore Giacomo Stucchi (Lega Nord), presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica.“Conosco bene le vostre zone – ha esordito Stucchi – perché le frequento regolarmente. Vi sono città abbastanza ricche da essere appetibili per chi vuole porre in essere traffici illeciti. Nell’ambito della commissione da me presieduta sono arrivate diverse segnalazioni di situazioni poco chiare da parte dei vostri rappresentanti istituzionali, a cui è stato dato seguito con controlli approfonditi, che sono tuttora garantiti, dal comparto sicurezza, in collaborazione con le istituzioni locali”. L’analisi di Stucchi è iniziata dalla ricostruzione post terremoto: “Arriveranno molti soldi che potrebbero sollecitare gli appetiti delle organizzazioni criminali, la white list è importante per permettere di operare con sicurezza e garantire ai prefetti l’utilizzo di strumenti quali le interdittive come accaduto con Expo, per non permettere a certa gente di essere presente nei cantieri. Sappiamo che le organizzazioni criminali hanno il potere di interferire sugli appalti non soltanto pubblici, ma anche per la ricostruzione privata. Pensiamo ai grandi centri commerciali o grandi insediamenti abitativi, per cui la criminalità organizzata riesce a condizionare l’assegnazione dei lavori”. Stucchi ha invitato a tenere sotto controllo le assegnazioni e le modalità di esecuzione dei lavori, spingendo a dare la preferenza ad imprese locali nella ricostruzione.“La guardia sulla ricostruzione privata va tenuta alta, la preferenza va data all’economia locale – ha aggiunto il senatore – le imprese del territorio devono saper trarre, dalla tragedia del terremoto, che rischia di spopolare i territori e far spostare la gente altrove, la possibilità di usare le proprie maestranze, generare e tenere posti di lavoro, facendo ricadere la ricchezza sul territorio”. Inevitabile vista l’attualità parlare per Stucchi di terrorismo, con un apprezzamento positivo verso il nuovo ministro dell’Interno Minniti, definito un “uomo concreto”. Su questo fronte il senatore leghista ha evidenziato l’ottimo lavoro di tutti gli attori in campo, sia sul fronte della prevenzione che della repressione che hanno consentito di arginare sinora episodi preoccupanti, denunciando la carenza di risorse del settore intelligence e delle forze dell’ordine, di fronte al moltiplicarsi di fenomeni eversivi e situazioni da monitorare. Il controllo dei flussi migratori in entrata è per Stucchi una condizione necessaria a garantire la sicurezza nazionale, dal rischio di infiltrazioni terroristiche. “Dobbiamo sapere chi abbiamo in casa – ha sintetizzato – sono contro la logica del militarizzare tutto e del vivere blindati. Al momento per l’Italia non si rilevano progettualità specifiche per attentati, ma tutti noi dobbiamo fare uno sforzo maggiore per garantire tranquillità ai cittadini”.Piccola deviazione tematica riguardo alla sicurezza sul web. “Quando utilizziamo applicazioni di messaggistica istantanea dobbiamo essere consapevoli che qualcuno può leggere riferimenti alla nostra vita – ha detto il senatore – ad esempio la legge consente ai russi di immagazzinare i dati che passano sui cavi che attraversano il proprio territorio, cosa che in passato hanno fatto anche gli americani”. Riguardo alle sale slot ed al loro proliferare Stucchi ha segnalato il rischio del riciclaggio di denaro sporco, mentre per il gioco online ha invitato a diffidare dei siti non riconosciuti dai monopoli di Stato, in quanto rischiosi per dilapidare denaro da parte di chi gioca. Ultimo tema l’Hotel House di Porto Recanati. “È una realtà da affrontare e risolvere, volendo esistono progetti innovativi per trovare una collocazione a chi li dentro è regolare – ha puntualizzato Stucchi – e poi attuare interventi urbanistici, magari di eliminazione dell’immobile simbolo di una situazione degenerata. Non so se questa possa essere la soluzione effettiva, ma dalle mie parti è stato un sindaco di centrosinistra a proporre questa soluzione per le sei torri di Zingonia, nel bergamasco. Ha convinto gli altri sindaci di cinque comuni e a giugno prossimo gli stabili saranno abbattuti. I regolari sono stati ricollocati in altre abitazioni anche grazie alla collaborazione dell’ente per l’edilizia popolare e la Regione Lombardia ha benedetto il progetto con cinque milioni di euro”. Prima di lui sono intervenuti il commissario provinciale della Lega Nord Maria Letizia Marino, i consiglieri regionali Marzia Malaigia e Luigi Zura Puntaroni, il segretario regionale del partito Luca Paolini ed il presidente regionale Giordano Giampaoli, ricordando gli arresti di presunti terroristi a Civitanova e Porto Recanati e le criticità del fenomeno immigrazione.