giovedì 25 aprile 2013

L'ESPRESSO - 25/04/13 - DOVE VA A PARARE LETTA

Il vicesegretario del Pd «non può» fallire, altrimenti si torna al voto. Ma adesso deve mettere a posto tutte le caselle dei ministeri. Insomma, siamo alla divisione della torta. E il coltello ce l'ha in mano Berlusconi
 
Stretto, e in salita. Il cammino di Enrico Letta verso Palazzo Chigi in groppa a un governo di larghe intese pare una mulattiera. Come previsto. Veti incrociati sui nomi, paletti preventivi, ciottoli, frane, incrostazioni. Il disagio evidente del Pd all'abbraccio col Caimano. E il dubbio - riferito da un dirigente democratico - sulle reali intenzioni del Cavaliere, che «non si capisce se vuole il governo o vuole andare a votare». Saranno giorni di fuoco, almeno fino a sabato: quando il Cavaliere di ritorno dagli Stati uniti potrà impartire la benedizione - o l'estrema unzione - agli accordi fin lì trovati. Sono partite, comunque, le consultazioni: omaggio alla natura politicista dell'esecutivo in via di creazione (la mattinaSel, Scelta civica, Lega, il pomeriggio Pdl Pd e M5S), senza i tanti salamelecchi con le parti sociali (Letta ha fatto sapere di averle già incontrate in occasione delle interminabili consultazioni di Bersani, e tanto basta).  Vuol far presto, ha detto e ripetuto, ma deve fare anche i conti con uno schema «nuovo», «non più quello con cui si era fatto i conti in precedenza», trovare «l'equilibrio» sul programma (il Pdl vuole a tutti i costi l'abolizione dell'Imu, ma per Letta non pare sia praticabile) ma anche sul come «costruire la squadra» di un esecutivo che nelle intenzioni del premier incaricato dovrebbe durare un paio d'anni. Quanto sia nuovo lo schema, e difficile l'equilibrio, Letta ha cominciato a saggiarlo già mercoledì, nelle prime prove pratiche di governo Pd-Pdl. Quando i nomi delle opposte fazioni hanno cominciato a cozzare l'uno contro l'altro, in un lancio incrociato di fulmini e saette.  Orrore in casa Pd per l'ipotesi di Mariastella Gelmini all'Istruzione, per esempio. Raccapriccio nel Pdl per l'ipotesi di Anna Maria Cancellieri all'Interno: scottato dagli scioglimenti per mafia di comuni come quello di Reggio Calabria, il partito di via dell'Umiltà sognerebbe per quel posto Schifani. «Schifani? Ma io un governo con dentro Schifani non lo voto», ha detto Sandro Gozi a "Un giorno da Pecora". Suscitando lo sdegno di Cicchitto, ma in verità dando voce a un sentimento assai diffuso nel Pd: «Ai democratici andrebbero bene giusto Quagliariello e Frattini, i più politicamente scoloriti: gli altri no», dice una fonte assai vicina al Nazareno. Certo nessuno di coloro che hanno fatto parte degli esecutivi del Cavaliere, che sono quasi tutti i dirigenti del partito. Ma il punto è proprio questo: il Pdl - che pretende dicasteri di peso, come quello di Maurizio Lupi allo Sviluppo e Renato Brunetta all'Economia - vuole un governo in cui le larghe intese si vedano chiaramente, con un ruolo non marginale per sé, e nomi"di peso e«sostegno reale e visibile» del Pd, come ha detto ieri Alfano (vicepremier in pectore insieme con, forse il montiano Mario Mauro); e che il Pd a questo abbraccio col 'giaguaro' non può sottrarsi, dopo essersi affidato a corpo morto a Napolitano e aver dato in pasto al progetto il proprio vicesegretario. La verità dell'operazione Letta, ragionano infatti a Palazzo, sta in quel 'non a tutti i costi' che il premier incaricato ha pronunciato ieri al Qurinale, come a evocare la sua spada di Damocle. Infatti, se il mai nato esecutivo Bersani era il primo tentativo di una legislatura appena iniziata, questo di Letta appare come l'ultimo tentativo di una legislatura a rischio chiusura.  Ma a tutti i costi Letta deve provare a «trovare le condizioni»per farlo partire. Lo vuole Napolitano, che ha ribadito essere«l'unica alternativa possibile» (allo scioglimento delle Camere). Ma in fondo ormai deve volerlo anche il Pd: è il baluardo contro l'ipotesi di elezioni anticipate, che il Cavan questo momento rischierebbero di essere un bagno di sangue.  Per una volta, almeno, non è un problema di numeri: il nuovo esecutivo, se parte, avrà un bacino potenziale di 456 voti a Montecitorio e 239 al Senato, vale a dire uno scarto, rispettivamente, di 140 e 79 voti. Potenza di fuoco che salirebbe ancora se, come pare, anche la Lega si risolvesse a entrare in partita: «Se Letta ci dirà che seguirà la linea dei saggi, noi saremo molto attenti», dice Giacomo Stucchi senza porre altre condizioni.  Quanto al rischio di un nuovo "caso Marini", questo appare assai improbabile: se non altro perché il voto di fiducia non è segreto, ciascun parlamentare Pd dovrà dire apertamente sì o no al proprio vicesegretario. Si tratta dunque di trovare l'equilibrio. Tra forze, però, che paiono avere ancora molte resistenze (Pd) e molti piani di riserva (Pdl).

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